Winston Churchill, a cinquant’anni dalla morte qual è la sua eredità?
Winston Churchill rappresenta ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 24 gennaio 1965, uno dei leader democratici più discussi dell’Europa del Novecento. Il suo decisionismo, così come la sua capacità di costruire una carriera politica anche a costo di cambiare spesso orientamento politico, l’attenzione, quasi maniacale, con cui si dedicò alla costruzione della sua immagine e della sua leadership, ne fanno un leader moderno, le cui caratteristiche peculiari rappresentano un elemento degno di analisi ancora oggi. Ne abbiamo parlato con Paul Addison, docente di Storia presso l'Università di Edimburgo, ex direttore del Centro di Studi sulla seconda guerra mondiale e autore di un'interessante biografia dedicata all'ex Primo Ministro britannico, Winston Churchill. L'eroe inatteso, pubblicata in Italia da Utet, nel 2005 e con la traduzione di M. Piperno Beer.
Winston Churchill a cinquant’anni dalla morte: quale può essere il giudizio storico più vicino alla realtà? Quello che, secondo lei, meglio restituisce l’immagine più veritiera di Churchill?
Sebbene si possa essere d’accordo sui fatti della vita di Churchill, le relative spiegazioni e interpretazioni cambieranno sempre in certa misura a causa di fattori soggettivi. Uno di questi fattori è senz’altro di ordine cronologico: col cambiare dei tempi cambiano anche i punti di vista riguardo la storia. Alla morte di Churchill nel 1965 c’era ancora una popolare e profonda gratitudine per la sua leadership durante la guerra, cosa di cui chiunque abbia più di 40 anni conserva ancora un ricordo vivido. Tuttavia, a questo fece seguito un‘opposizione intellettuale al “Mito di Churchill”, che prese la forma di un’analisi critica e dettagliata delle sue azioni, sia politiche che militari, accompagnata dalla sensazione che i valori da lui incarnati – soprattutto l’imperialismo – fossero obsoleti. Alcuni storici britannici hanno portato questo revisionismo generale fino a una vera e propria iconoclastia nel tentativo di distruggere e screditare completamente la sua reputazione. Molti sono semplici revisionisti: considerano Churchill un genio imperfetto, un uomo dotato di qualità eccezionalmente brillanti, quali coraggio, audacia e immaginazione, ma il cui giudizio era incostante e spesso difettoso. Ai giorni nostri, in cui la sfiducia per l’élite politica è così diffusa, Churchill si erge come un uomo preparato a offrire una leadership coraggiosa e soluzioni reali ai problemi, un uomo mai corrotto o che non faceva mai un uso cinico del potere. Quindi, secondo me, il giudizio più accurato sarebbe che Churchill al suo apice è stato il più grande politico britannico del suo tempo, sempre premettendo che non era sempre al suo apice.
Nella biografia dedicata a Churchill e pubblicata in Italia da Utet, lo ha definito sin dal titolo “the unexpected hero”. Perché inatteso? E quanto Churchill lavorò deliberatamente alla costruzione di una sua immagine eroica?
Churchill aveva una semplice ma incrollabile fede nel ruolo dell’uomo nella storia. Lavorò sodo sull’aspetto più banale della politica, ma la sua ambizione più profonda era di svolgere una parte eroica nella vita della sua nazione. In questo senso era come uno studente mai cresciuto. Questa fede in se stesso si accostava a quella per cui l’intero popolo britannico, indipendentemente dalla sua fede politica o dalla sua classe sociale, fosse patriottico e determinato a combattere per la libertà quanto lo era lui. Quando, dunque, nel 1940 si presentò l’opportunità per una leadership eroica, questa era esattamente l’opportunità per cui lui si era preparato per tutta la vita, e svolse quel ruolo con tale eloquenza e convinzione che milioni di cittadini – sebbene non tutti – erano commossi, e pronti a fidarsi e seguirlo. Sebbene lui pose grande attenzione alla presentazione di sé e alla propaganda – le sue apparizioni pubbliche nelle città bombardate, il linguaggio dei suoi discorsi e così via – era una performance che sorgeva dal cuore.
Churchill fu uomo del Novecento, dotato di una grande capacità di farsi interprete delle istanze innovatrici e dei pericoli del secolo in corso, ma, per certi, versi conservò un imprinting vittoriano, come ad esempio nella gestione dei rapporti con le colonie. In quale misura questa duplice connotazione ha influenzato la sua strategia politica e le conseguenti decisioni operative?
Churchill era un uomo notevole con una grande varietà di qualità. Il leader del Partito Laburista Clement Attlee, che lavorò a stretto contatto con lui durante la seconda guerra mondiale, affermò che Churchill era un politico dai molti strati: uno strato del XVIII secolo, uno del XIX e uno del XX, e possibilmente uno del XXI – a quel tempo lontano nel futuro. Era un vittoriano nel suo imperialismo, ma parlando all’Università di Harvard nel settembre 1943, Churchill disse: «Gli imperi del futuro saranno gli imperi della mente». Credeva nel capitalismo e nel mercato libero, ma fu uno dei primi politici a suggerire l’intervento dello stato per mitigare la povertà e la disoccupazione. Da giovane era un ufficiale della cavalleria, ma durante la prima guerra mondiale fu un pioniere dei carri armati. Esultava per la guerra, ma era terrorizzato dalla possibilità che il genere umano potesse essere distrutto da una guerra nucleare. Venerava il passato, ma rimuginava con l’immaginazione nel futuro, come il suo amico H.G. Wells.
La carriera politica di Churchill, oggi, sarebbe tacciata di trasformismo (accusa che, per certi versi, gli mossero anche alcuni suoi contemporanei): nasce conservatore, abbraccia quella che lui stesso definisce “Democrazia Tory”, siede nella Camera dei Comuni tra le file dei liberali, non disdegna il “Nuovo Liberalismo”, lo ritroviamo tra i conservatori. È davvero trasformismo a supporto della carriera politica, oppure storicamente si possono individuare altre ragioni alla base di questi cambiamenti di partito? E quanto questi mutamenti corrisposero a effettivi cambiamenti di prospettiva politica?
Churchill stesso sottolineò che è veramente difficile in vita sapere cosa ti ha portato a compiere certe azioni – comprendere le tue motivazioni. In quanto politico estremamente ambizioso, Churchill era determinato a raggiungere l’apice. E questa ambizione fu chiaramente un elemento nella sua decisione di passare ai Liberali nel 1904 e di tornare ai Conservatori nel 1924. Ma molti storici accettano che nel 1904 la sua fiducia nel mercato libero fosse genuina. E non ci sono nemmeno molti dubbi che, nel 1924, il suo ritorno ai Conservatori fosse in armonia con la sua opposizione al Bolscevismo all’estero e al Socialismo in patria. È possibile sostenere che le sue motivazioni fossero sempre a breve termine, e che consistessero in qualcosa che fosse appena un po’ superiore all’opportunismo. Ma è anche possibile sostenere che in gioventù fosse assorbito da ottimistiche e paternalistiche prospettive di progresso, che, successivamente, furono fatte a pezzi dalla prima guerra mondiale e dall’insorgere di forze politiche e sociali che l’hanno condotto verso la resistenza e il reazionarismo. Vedo della verità in entrambe le spiegazioni e vedo la sua carriera come il lavoro di due differenti livelli che spesso entrano in conflitto – come durante la seconda guerra mondiale, quando dovette porre in secondo piano il suo odio per il Comunismo in favore della necessità di un’alleanza con l’Unione Sovietica. Confusamente, Churchill era sia un idealista che un realista, e cercò di far convivere i due aspetti.
La politica sociale di Churchill subì molti cambiamenti di direzione, non tanto alla luce dei risvolti politici, quanto come diretta conseguenza della capacità di coniugare gli interessi di alcune classi di lavoratori con quelli dell’intera nazione, nonostante prese di posizione molto dure quando questi entravano in collisione. Da un punto di vista storico, possiamo definire la politica sociale di Churchill semplicemente duttile rispetto all’evolversi del tempo? Oppure, è possibile un giudizio più duro?
Churchill era un aristocratico e un paternalista che credeva in un compassionevole ordine sociale diretto dalla classe dominante. Le sue riforme sociali edoardiane erano espressione di questo. Lui era, inoltre, per la stessa logica, contro i conflitti di classe e contro tutti quelli che sostenevano che le classi di lavoratori dovessero ribellarsi contro l’ordine sociale e stabilirne uno proprio. La sua attitudine verso il partito Laburista, tuttavia, era attenuata dal supporto che il partito Laburista stesso e le Trade Unions avevano dato quando era in carica come Primo Ministro durante la guerra e gli sforzi bellici in generale. Mentre lui continuava a disapprovare l’economia socialista dopo il 1945, e lo fece più in teoria che in pratica, non sostenne alcuno sforzo per porsi a capo di una controrivoluzione quando tornò ai suoi uffici nel 1951.
Churchill fu uno strenuo assertore della politica sionista, mirando alla costruzione di un focolaio ebraico in Palestina dopo la prima guerra mondiale; focolaio che, di lì a qualche anno, nei disegni di Churchill, sarebbe dovuto diventare un vero e proprio Stato ebraico con milioni di ebrei, ma senza intaccare la sovranità palestinese e araba, che rassicurò molto in questo senso. Quanto di quel disegno è andato perduto e quanto, invece, si può ancora salvare?
Curchill mostrò una forte simpatia per il sionismo dopo la sua visita in Palestina nel 1921, che lo convinse che gli ebrei erano persone rivolte al progresso e gli arabi rivolti al passato. Di conseguenza non c’era alcun dubbio sulle sue simpatie, ma era pur sempre forzato dalla consapevolezza che il suo essere a favore del sionismo lo rendeva una figura isolata nell’establishment britannico e, dunque, che una strategica realpolitik richiedeva il mantenimento di buoni rapporti con il mondo arabo. Tutto quello che lui potè fare durante la guerra e nel periodo post-bellico come Primo Ministro fu di cercare di far pendere la bilancia un po’ più in favore del sionismo, cosa che riuscì a fare, mentre manteneva l’influenza britannica in Giordania e Iraq. Non era interessato nelle lamentele dei rifugiati palestinesi e sostanzialmente continuò la vecchia tattica imperialistica del compensare un interesse regionale con un altro. Non c’era quindi un progetto comparabile alla soluzione a due Stati dei nostri giorni, e nessuno può neanche giudicare quello che Churchill avrebbe detto se fosse stato qui presente.
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Churchill fu sostanzialmente contrario al socialismo fin dall’epoca di Lenin e Trockij, ma, durante la seconda guerra mondiale, non esitò ad allearsi con Stalin, contro la Germania nazista. Quanto ha inciso il calcolo della strategia militare su questa decisione politica?
Durante la seconda guerra mondiale, Churchill fu costretto a subordinare la sua precedente posizione anti-Sovietica al primario obiettivo strategico e militare di sconfiggere la Germania nazista. Come sostenne in privato all’epoca: «Se Hitler invadesse l’inferno, farei quantomeno un rapporto favorevole al Diavolo». L’alleanza anglo-sovietica non creò alcuna differenza all’opposizione di Churchill al Comunismo in linea di principio, ma lo persuase, col passare del tempo, che forse era possibile raggiungere almeno un accordo con l’Unione Sovietica.
Anche i rapporti con il fascismo possono ricondursi a due momenti: a una prima attrazione per Benito Mussolini seguì, infatti, una presa di distanza. Quale fu in concreto il rapporto tra Churchill e Mussolini?
In un primo momento, Churchill ammirò Mussolini per il suo successo nella soppressione del Comunismo in Italia, e in seguito sperò che si alleasse alla Gran Bretagna e alla Francia contro Hitler. Le relazioni che ebbe con Mussolini dimostrano che Churchill non basò la sua politica estera sull’anti-fascismo, ma solo sull’anti-nazismo. Verso la fine degli anni ’30 fu persino chiaro che era preparato ad accogliere il supporto di Stalin nell’opposizione contro Hitler. Churchill, in definitiva, non aveva una politica estera ideologica, ma seguiva il tradizionale bilanciamento degli obiettivi di potere.
Churchill esercitò un fascino indiscusso sia sui suoi sostenitori che sui suoi oppositori e seppe usare questo fascino a suo favore in più occasioni. Possiamo considerarlo come un esempio di leaderismo democratico in un’Europa in cui il leaderismo era rappresentato da Hitler, Franco, Stalin e Mussolini? Quale differenza è possibile individuare tra il leaderismo di Churchill e gli altri appena citati?
Sebbene Churchill non seguisse una politica estera ideologica negli anni ’30, rimase un reale sostenitore della democrazia britannica, che lui riteneva parte integrante dell’identità nazionale della Gran Bretagna. Quindi non fu mai tentato di entrare a far parte dell’Unione Britannica di Fascisti, e non chiese mai di proibire o sopprimere il Partito Comunista britannico. Le mire belliche di Churchill non assumevano necessariamente che le nazioni liberate fossero democrazie (si veda la Jugoslavia) e nemmeno che la democrazia dovesse prevalere in Spagna o in Portogallo. Tuttavia, rappresentava il simbolo e l’incarnazione della democrazia, soprattutto quando fu sconfitto nelle elezioni generali del 1945!
Churchill fu un convinto assertore dell’Unione Europea, anche se la sua idea era la formazione di una terza potenza democratica accanto a Inghilterra e Stati Uniti. In quale misura questa impostazione può aver influito sull’attuale politica dell’Inghilterra e sulla sua posizione verso l’Ue?
Churchill era un forte sostenitore dell’unità tra le nazioni dell’Europa occidentale e sperava di poter incoraggiarne il processo. Nel 1946 parlò della necessità di costruire gli «Stati Uniti d’Europa», cioè ciò che noi conosciamo oggi come Unione Europea. Credeva che la Gran Bretagna dovesse essere al centro di tre sfere: l’alleanza anglo-americana, il Commonwealth, e l’Europa, e nulla suggerisce che lui fosse preparato ad abbandonare la sovranità della Gran Bretagna in favore di un’unione politica con gli altri Stati europei. Svolse un ruolo davvero importante nella creazione del Consiglio d’Europa e della Dichiarazione Europea dei Diritti Umani, ma fu solo sotto il governo di Tony Blair che la Dichiarazione fu inclusa nella legge britannica. Churchill è a volte considerato come il padre fondatore dell’Europa dagli europeisti britannici, ma sostanzialmente Churchill mirava alla riconciliazione di Germania e Francia, non all’appartenenza della Gran Bretagna a una autorità sovranazionale.
Churchill fu anche uno storico, ma secondo molti fu soprattutto un attento divulgatore della sua immagine. Da storico, come giudica le opere di Churchill?
Le memorie delle due guerre mondiali da lui scritte erano egocentriche, e davano una personale interpretazione degli eventi; eppure, erano molto superiori alle memorie scritte da altri politici, grazie alla quantità di documenti che pubblicò. Erano vicine a memorie storiche professionali nel senso che cercavano la base delle interpretazioni nelle fonti primarie. La sua biografia del padre, sebbene ovviamente di parte, conteneva molte cose che echeggiano la storia, e la sua biografia di Marlborough rimane insuperata come resoconto della sua attività in qualità di generale.
Qual è l’eredità di Churchill su cui l’Inghilterra e l’Europa possono ancora fare affidamento?
La sua eredità è la sopravvivenza e di fatto l’espansione della democrazia parlamentare in Gran Bretagna e in Europa. La democrazia parlamentare, tuttavia, è in forte difficoltà, minacciata dal diminuito potere delle élite politiche nell’economia globalizzata, una tendenza crescente verso la plutocrazia e la corruzione, e l’insorgenza di movimenti populisti che minacciano di destabilizzare il governo mobilitando pregiudizi e fantasie.
Si ringrazia Marianna Silvano per la traduzione.
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