“Vuoi giocare?” Una poesia ungherese, il suo autore e la sua traduttrice
Vuoi giocare? non è la poesia più bella di Dezső Kosztolányi (1885-1936), non è nelle classifiche delle prime trenta poesie ungheresi dove ai primi posti troviamo comunque la sua Ebbrezza all'alba, ma fa parte del novero delle poesie spesso citate e molto amate. Va sottolineato che l'Ungheria ha una lunga storia lirica e riserva una cura particolare alla sua tradizione poetica, un'arte coltivata con molto impegno e passione anche oggi.
Kosztolányi era uno degli intellettuali più originali e prolifici del primo Novecento ungherese: come poeta, romanziere, giornalista, saggista e traduttore ci ha lasciato un'opera monumentale di inestimabile valore. Era anche un esperto linguista e partecipò al rinnovamento della poesia magiara, alla rivolta della nuova generazione di poeti contro l'accademismo della tradizione. Il semplice elenco dei suoi volumi di poesie, novelle, romanzi, saggi, articoli e traduzioni occuperebbe un'intera pagina, ci limitiamo quindi all'antologia Modern költők (Poeti moderni) di circa 500 pagine, del 1914, che fu uno dei più grandi avvenimenti della letteratura ungherese, perché riguarda anche la poesia italiana. In essa Kosztolányi presenta le traduzioni di poesie di ben centodue poeti stranieri con tanto di breve ritratto di ciascuno. Fra gli italiani troviamo Ada Negri, Gabriele D’Annunzio, Arturo Graf, Lorenzo Stecchetti, Giosuè Carducci, Luciano Croci, Edmondo De Amicis, Filippo Tommaso Marinetti, Paolo Buzzi, Aldo Palazzeschi, presenti con ventitré poesie. Queste traduzioni servivano a Kosztolányi anche per trovare una propria voce, un suo linguaggio poetico.
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Nel 2003 l’opera omnia di Dezső Kosztolányi ha ottenuto il premio “Eredità ungherese”, un'onorificenza conferita ogni anno a figure ritenute capaci di conservare l’identità ungherese nel tempo e contemporaneamente in grado di offrire anche un contributo di grande valore alla cultura europea.
Dezső Kosztolányi è noto al pubblico italiano soprattutto come romanziere, è l'autore di Anna Édes (prima edizione: Edizioni Anfora, 2014, traduzione di Andrea Rényi e Mónika Szilágyi, cura e note di Mónika Szilágyi; a breve la seconda edizione sempre delle Edizioni Anfora, con la prefazione di Antonella Cilento),Kornél Esti (Mimesis, 2012, traduzione e cura di Alexandra Foresto),Allodola (Sellerio, 2000, a cura di Matteo Masini), Il medico incapace(Rubbettino, 2009, traduzione di Roberto Ruspanti) e Nerone (Castelvecchi, 2014, traduzione di Silvio De Massimi), sebbenenel 1970 Guanda avesse pubblicato anche una raccolta di sue poesie a cura di Guglielmo Capacchi, oggi purtroppo non più in commercio.
Qui con Vuoi giocare? desideriamo offrireappena un sorso spumeggiante del mare Kosztolányi, e un'anticipazione di una seconda figura, quella di Edith Bruck, autrice della felice traduzione della poesia.
Dimmi, vuoi essere la mia
compagna di giochi?
Vuoi sempre, sempre giocare?
Andare insieme nel buio,
con cuore infantile sembrare
importante,
prendere posto con serietà
a capotavola,
versare vino e acqua con sapienza,
lanciare perle, gioire con niente,
e con nostalgia indossare
vecchi vestiti?
Dimmi, vuoi giocare a tutto
quel che è vita,
all'inverno nevoso e al lunghissimo
autunno,
si può bere il tè, muti,
il tè di rubino e il vapore giallo?
Vuoi vivere davvero con cuore puro,
stare in silenzio a lungo,
a volte aver paura,
perché sulla piazza si aggira
il novembre,
perché lo spazzino è un uomo
povero e malato;
chi fischia sotto la nostra finestra?
Vuoi giocare al serpente, all'aquila,
ai lunghi viaggi, al treno, alla nave,
al Natale, al sogno,
a tutte le cose belle?
Vuoi giocare all'amante felice?
Fingere il pianto, il funerale colorato?
Vuoi vivere, vivere per sempre,
vivere nel gioco che è diventato vero?
Stare distesi per terra tra i fiori
e vuoi, vuoi giocare alla morte?
Qui la poesia nella scena del film Maladolescenza del 1977. Qui invece cantata e suonata nell'interpretazione del nazionalpopolare gruppo ungherese Kaláka, ovviamente in ungherese.
Vuoi giocare? è una delle poesie che costituiscono il volume Màk (Semi di papavero) pubblicato nel 1916; secondo le fonti Kosztolányi la scrisse a sua moglie e il componimento rispecchia fedelmente il carattere, lo stile e il linguaggio giocoso eppure serio del poeta homo aestheticus ancora giovane: la vita è un gioco e il gioco vitalizza.
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Se oggi possiamo apprezzare appieno questa poesia di Kosztolányi lo dobbiamo a Edith Bruck (1932-), poetessa, scrittrice e traduttrice ungherese naturalizzata italiana. Kosztolányi veniva da una famiglia borghese agiata di una regione che oggi fa parte della Serbia, Edith Steinschreiber Bruck invece da una poverissima famiglia ebrea di una zona depressa dell'Ungheria. Ha dodici anni quando con la famiglia viene deportata ad Auschwitz, poi a Christianstadt e infine a Bergen-Belsen, dove viene liberata dagli Alleati nel 1945. Nei successivi nove anni vive viaggiando in Europa e in Israele, si sposa tre volte, e infine, nel 1954, approda in Italia dove entra in contatto con diversi intellettuali e viene incoraggiata da Primo Levi a ricordare la Shoah. Pubblica il suo primo romanzo nel 1959 che sarà l'inizio di una lunga e feconda carriera non solo di scrittrice ma di regista cinematografica, giornalista e traduttrice di poeti ungheresi. Sposa il poeta Nelo Risi, fratello di Dino, e insieme porteranno avanti un sodalizio sentimentale e artistico durato mezzo secolo, fino alla morte di lui nel 2015.
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