Vivere, sopravvivere e rivivere in “Avevo 15 anni” di Élie Buzyn
Vivere. Sopravvivere. Rivivere. Sono le tre fasi fondamentale dell’esistenza di Élie Buzyn autore di Avevo 15 anni, edito da Frassinelli. Questo libro è un’importante testimonianza di un sopravvissuto alla deportazione ad Auschwitz- Birkenau, quando Buzyn aveva solo 15 anni.
Pagina dopo pagina, emerge il profondo attaccamento alla vita da parte dell’autore che, una volta liberato dalle grinfie dei suoi aguzzini tornò a rivivere. Buzyn oggi è un rinomato ortopedico in Francia, un uomo, un professionista che da quando cominciò svolgere la sua professione, agì sempre per tutelare vite. Élie Buzin, salvatosi dai campi di concentramento e di sterminio, ha sempre agito in aiuto del prossimo e con il massimo rispetto delle scelte etiche e morali dei suoi pazienti. Un agire derivante dalla sua educazione, ma anche dai segni lasciati dalla deportazione dei lager.
Il testo, tradotto da Elena Loewenthal, racconta l’infanzia felice di Élie (il vivere) nato in Polonia, a Lodz, il 7 gennaio del 1929. Qui, il protagonista viveva in una famiglia benestante con la madre, il padre e i due fratelli: Avram e Tauba. Un’esistenza che passò felice fino al 1939, quando Lodz venne incorporata nel Reich e le condizioni di vita degli ebrei cominciarono a subire drastici cambiamenti. L’autore ricorda il Giovedì di sangue del 1940,quando i tedeschi diffusero violenze e panico tra la popolazione ebraica presente in città. Dentro al ghetto Élie cominciò a lavorare, ad aiutare a casa come poteva, perché la scomparsa del fratello, l’instabilità esistenziale ed economica gettarono l’intera famiglia nel panico (la sorella soffriva di crisi epilettiche e la madre si ritirò nel silenzio).
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Tutto cambiò con la deportazione ad Auschwitz-Birkenau, dove Buzyn si salvò come idoneo al lavoro perché mentì, dicendo che aveva 17 anni (in realtà ne aveva solo 15). La madre e il padre sparirono per sempre, mentre lui e la sorella furono internati in campi diversi, perdendosi di vista. Le pagine relative al periodo della detenzione sono colme di terrore, sofferenza, attaccamento alla vita e voglia di farcela per poter sopravvivere alla morte, alla detenzione, al freddo, alla fame, alle piaghe e alla cattiveria degli aguzzini che, a un certo momento, costrinsero i pochi idonei a marciare (le Marce della morte) in mezzo alla neve gelida, a -20 gradi. Per i nazisti Buzyn era il numero 119978, ma lui, in cuor suo, si sentiva un giovanotto che voleva restare vivo.
E il nuovo domani per il ragazzino entrato nel campo di Auschwitz quando aveva 15 anni, fu l’11 aprile del 1945, quando gli Americani arrivano a liberare il campo di Buchenwald, dove Buzyn era giunto a piedi. Dalla liberazione, per Élie cominciò il rivivere, poiché lui rientrò in quel gruppo di 423 “relitti umani” che De Gaulle decise di ospitare in Francia. Qui, partì un vero e proprio percorso di rinascita caratterizzato dalla ricerca dello zio medico; seguita dal viaggio in Palestina; in Algeria; al ritorno in Francia; allo studio in medicina; ai pregiudizi da abbattere perché, nonostante la fine della guerra, qualcuno dimostrò delle difficoltà ad accettare chi era ebreo; fino alla creazione della propria famiglia e al coraggio che lo spinse a raccontare e tornare, con figlio e nipoti, nel luogo della tragedia che strappò alla vita migliaia di innocenti. Significative sono le parole di Alexandre, il nipote di Buzyn, durante la visita ad Auschwitz: «Un vuoto nel tempo. Un vuoto nello spazio. Un vuoto nell’umanità».
In Avevo 15 anni, Buzyn racconta la sua esperienza di deportato, dimostrando che nella vita è possibile vivere, sopravvivere e rivivere a situazioni drammatiche e tragiche che mettono a repentaglio la propria esistenza. Élie trovò la forza di rinascere, grazie al ricordo costante della sua famiglia e di coloro che durante la prigionia gli dedicarono tempo e aiuto. Non a caso nella fase del Rivivere, l’autore del libro descrive sì il suo essere medico, ma il suo impegno divenne ancora maggiore con testimoni di Geova (fu un medico di questa fede ad aiutarlo durante la prigionia), malati psichiatrici, persone anziane. Élie non si è fatto mancare nulla nella vita e per alleviare il dolore a quei poveri piedi che durante la marcia della morte rischiarono il congelamento, cominciò a camminare, diventando un maratoneta, tedoforo della fiaccola olimpica nel 2006.
Nel volume sono presenti anche una serie di testimonianze (moglie, parenti, amici, colleghi) attraverso le quali chi ha conosciuto Elie lo racconta dal suo punto di vista, ed evidenzia quanto il fare il medico e aiutare il prossimo malato e indifeso furono per lui una vera e propria cura, verso qual male che aveva vissuto sulla propria pelle.
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Questa storia di vita è un altro importante tassello del passato. Il passato non deve essere dimenticato. Il passato deve essere conosciuto per comprendere come evitare di compiere nel mondo di oggi e in quello di domani, gli stessi errori di chi ci ha preceduto. Testimonianze come quella dell’ortopedico ebreo Élie Buzyn, in Avevo 15 anni sono importanti vicende umane da leggere e ascoltare per continuare a fare memoria, in un mondo dove dimenticare, oggi, è troppo facile.
Per la prima foto, copyright: niklas_hamann su Unsplash.
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