Vivere è trovare nuovi stati di equilibrio. “Biancaneve nel Novecento” di Marilù Oliva
Nella mia infanzia c’è un prima e un dopo. Prima, mentre vivevo in una certa città, e un dopo, quando ci siamo trasferiti altrove. Di questa prima città mia madre aveva serbato tante cose, tra cui alcune amicizie, dalle quali la distanza imponeva lunghi periodi di assenza da colmare tutti in una volta. Perciò, quando si ritrovava con le sue amiche rimaste nella città d’origine, passavano la notte sveglie, a bere caffè e vino, a fumare vicino alla finestra e a raccontarsi i mesi in cui la vita era andata avanti senza che loro potessero condividersi a vicenda le esperienze. Era stanca il giorno dopo, mia madre, mentre mi preparava la colazione. Stanca, ma leggera. Avere un’amica a cui sentirsi così legata le donava la leggerezza di non essere soli.
Leggendo Biancaneve nel Novecento di Marilù Oliva si ha esattamente la stessa sensazione di quando si incontra un’amica speciale che ti confida i suoi segreti, i suoi pensieri e tu ti ritrovi parte di questo grande puzzle che è il mondo delle emozioni.
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Uscito per Solferino, Biancaneve nel Novecento è un romanzo onesto, vero, una vicenda che intreccia la grande storia, dei lager, con la storia dell’individuo mettendo in evidenza come non si possa comprendere l’esistenza del singolo prescindendo dagli eventi che compongono la realtà che lo circonda. Le stragi, le rivolte, le follie di un dittatore scrivono, graffiano, plasmano il modo in cui si percepisce la vita, con un effetto a cascata che si riversa su generazioni e generazioni. Il concetto in sé non è nuovo, è solo meno metaforico e più reale. Lo troviamo anche nella dottrina cristiana, quando si parla del peccato originale che estende le sue ombre sull’uomo a distanza di millenni. E se ciò è vero, figuriamoci quali ombre allunga sull’umanità la violenza!
A raccontarci le ombre e i punti di luce della propria vita, c’è Bianca. Bianca, come Biancaneve. E che, come la protagonista della favola omonima, ha una matrigna, in questo caso una madre naturale che si comporta come una matrigna, bella, irresistibile e cattiva, con uno specchio pronto a confermarle la propria bellezza mentre si ripassa con la matita il finto neo sopra le labbra e si sistema i capelli biondi e vaporosi. Una regina cattiva e alcolizzata, che non la capisce, forse non la ama nemmeno, e che passa i giorni fuori di casa, a fare la venditrice ambulante, nei paesini limitrofi nel bolognese.
Per fortuna, però, c’è anche uno splendido principe nella vita di Bianca. Giovanni. Suo padre. Un uomo straordinario, un pugile, anzi un allenatore, poiché tiene una palestra frequentata da una fauna variopinta del quartiere, tutta gente gentile e simpatica con la piccola Bianca. Giovanni che profuma di dopobarba è il porto sicuro dove rifugiarsi quando la regina si scatena contro la piccola senza pietà. Non combatte sui ring, Giovanni, e a malapena riesce a tirare su il necessario per pagare l’affitto della palestra, ma questi sono dettagli insignificanti per gli occhi sognanti della piccola Bianca. Giovanni è un principe.
Oltre a Bianca, c’è un’altra voce, una donna questa volta, una donna francese diventata la sposa di un uomo che non sembra avere sentimenti per lei, un incontro che diventa propedeutico per finire poi nel lager di Buchenwald. Di più, nel Sonderbau, la baracca che accoglie le prostitute del lager.
Cosa non si è ancora detto dei lager, delle atrocità vissute tra i fili spinati di quell’inferno? Forse poco, e Biancaneve nel Novecento riesce a rintracciare esattamente quel poco, raccontandolo con uno stile che fa tornare nella mente del lettore una sola parola per descriverlo: onestà. È onesta Marilù Oliva mentre riporta le emozioni di Lili, gli episodi a cui assiste o di cui è protagonista.
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È onesta quando scava nella psicologia dei suoi personaggi e li mette di fronte alle proprie scelte, ai propri limiti e demoni che li divorano inesorabilmente dall’interno. È onesta anche nei momenti in cui – questo lo si immagina, visto che si tratta di un’opera di fiction – la narrazione richiede di mentire, perché l’autrice accompagna il lettore nel comprendere che certe scelte sono conseguenze logiche e possono essere solo accettate. Anzi, prima vengono accettate, prima si possono trasformare in altro, poiché la vita – quella di Bianca, di tutti – non ha come obiettivo il mantenersi in uno stato di equilibrio perenne, ma quello di creare nuovi stati di equilibrio in continuazione. Perché tutto si trasforma.
Per la prima foto, copyright: Kinga Cichewicz su Unsplash.
Per la terza foto: copyright Claudia Spaziani. La fonte è qui.
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