Vite improbabili, a testa in giù. “Croce del Sud” di Claudio Magris
È uscito ieri, per Mondadori, Croce del Sud, ultimo lavoro di Claudio Magris.
Diviso in tre parti, il libro racconta – nella maniera elegante e colta che è una delle cifre dell’autore – la storia di tre vite «vere e improbabili», biografie di uomini e donne vissuti a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, uniti dal comune destino di aver vissuto, amato e affrontato quel mondo dall’altra parte del mondo rappresentato dai lembi più selvaggi e distanti dell’America latina.
La prima storia, Gringo sloveno, criollo araucano, racconta dell’avventuriero sloveno Janez Benigar, in seguito ribattezzato don Juan, «uomo posato e abitudinario, incline ad una pedanteria tutta austriaca, come nella storiella del capufficio kuk, che raccomanda ai suoi impiegati di mettere meticolosamente in ordine le carte sparse sul loro tavolo e di buttarle poi nel cestino. Con questa pignoleria, egli parte per l’Argentina, ovvero per la Patagonia e l’Araucanìa, da dove non tornerà mai più e dove per diciannove anni non metterà piede in una città, salirà solo una volta su un’automobile, non vedrà mai un aeroplano e vivrà molto tempo nei wigwam, le tende del popolo indio divenuto anche il suo.»
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La sua è la storia di un uomo che ha amato follemente due donne, tanto che nel testamento chiederà di essere sepolto accanto a entrambe, dalle quali ha avuto complessivamente sedici figli, e che ha maturato il suo impegno politico, agricolo e antropologico in quella patria reale quanto immaginaria dell’Araucanìa, di cui si delineano i confini nella seconda storia (Re di Araucania e Patagonia), in cui Magris passa a raccontare la breve esperienza di folle sovrano europeo, dall’altra parte del globo, del francese Orélie-Antoine de Tounens.
«[…] Un territorio al centro del Cile e dell’Argentina. […] Un territorio, grosso modo, di 800mila chilometri quadrati. Probabilmente imparentati con i Guaranì brasiliani, i Mapuche ovvero Araucani avevano valicato le Ande nell’Ottocento o Settecento a.C., insediandosi nel Cile centrale e successivamente a nord, nel deserto di Atacama, e, a sud, sino all’isola di Chiloé. Mapuche è il nome che si erano dati essi stessi: popolo della terra, cacciatori e raccoglitori e presto agricoltori; sempre guerrieri, usi a decapitare i nemici uccisi e ad usare il loro cranio come coppa.»
L’autore si sofferma sugli astratti furori di questo sovrano da operetta, Re Aurelio-Antoine I, eroe da melodramma ottocentesco, che tenterà senza riuscirci di unificare i “regni” dei Mapuche e dei Patagoni e, dopo l’esilio in Francia e alcuni patetici tentativi di ritorno in Araucanìa, morirà di cancro a Tourtoirac, piccola località francese dove verrà «sepolto in una vecchia tomba di famiglia abbandonata da molto tempo.»
Avrebbe voluto che il suo favoloso e favoleggiato regno avesse come capitale Los Césares, più un miraggio che una vera città: «tetti d’oro e strade lastricate di diamanti, oro e gemme del tramonto sulle cime dei ghiacciai, il Nulla antartico e tutto ciò che la Fata Morgana del Nulla fa balenare.»
Ed è dalla fascinazione per questo Eldorado australe, irreale come il regno medievale del Prete Gianni, che Claudio Magris può dare inizio alla terza storia di Croce del Sud (Suore e pinguini), nella quale la narrazione si sposta ancora più a meridione, verso i regni di ghiaccio della Terra del Fuoco: dove le suore missionarie, le donne-pinguino, sempre europee e anch’esse espressione ed esempio di vite vere e improbabili, entrano in contatto con altri uomini, altri popoli, e altri infernali paradisi a testa in giù.
E così, dalle suggestioni letterarie dell’Araucana, poema cavalleresco di Alonso de Ercilla, conquistador e notevolissimo poeta, Magris conduce il lettore, mescolando vita vera a follia e passione letteraria, verso testi meno legati all’epica e più vicini al desiderio di conoscenza e all’amore per l’ignoto che il volto candido dell’Antartide prefigura.
Un tempo vero e proprio pianeta da scoprire, l’estremo Sud del mondo, crudo in Chatwin e crudele in Coloane, si fa terra estrema da raggiungere, luogo dell’avventura per il Jules Verne della Sfinge di ghiaccio, del mistero per l’Edgar Allan Poe del Gordon Pym, nonché il rifugio dei Grandi Antichi per il Lovecraft delle Montagne della follia.
Ma questa deriva dell’erudizione e dell’immaginazione viene frenata dalla carità delle suore, le donne pinguino che continueranno sempre a considerare gl’indigeni alla pari dei bianchi civilizzatori: e mai “resi” uguali a essi.
«Anche Angela è vissuta fra grandi montagne brulle e brune,» scrive Claudio Magris a proposito di una delle suore, piemontese del Monferrato, «come l’Ulisse dantesco, ma la sua non è mai stata curiositas o solo curiositas, eccitata brama di conoscenza solo per amore di conoscenza, smania di omnia experiri, di travolgere empiamente ogni limite, hybris condannata dall’etica medievale. La sua è sempre stata studiositas, studium ovvero amore come dice la parola latina, conoscenza pervasa da amore.»
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Amore per la conoscenza che, pagina dopo pagina, Claudio Magris sollecita nel lettore, attratto dai nivei spazi degli antipodi, guidato dalle stelle della Croce del Sud, la più piccola – la più luminosa – delle moderne costellazioni.
Per la prima foto, copyright: Samuel Chenard su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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