“Vita su un pianeta nervoso” di Matt Haig, guida di autoaiuto per sopravvivere nell’era digitale
Leggere Vita su un pianeta nervoso significa volere accettare la nervosità del nostro tempo e dei nostri luoghi e scegliere di trascorrere qualche ora tentando di capire da dove venga questa tensione, dove ci conduca, come riuscire a gestirla. Conoscere Matt Haig attraverso le sue considerazioni significa a propria volta entrare nell’intimità di un singolo essere umano che non parla come un sociologo, né come un antropologo, e che spesso, anzi, sembra esprimersi in maniera più semplice di noi, più approssimativa.
Eppure, proseguire in questa lettura in parte disordinata e in parte interconnessa può servire a identificare le modalità in cui la nostra sopravvivenza nell’epoca digitale costellata di dibattiti rabbiosi e fake news possa evitare di portarci alla depressione, agli attacchi di panico o anche solo a un perenne senso di colpa, insoddisfazione, ansia e inadeguatezza. Lo si fa in compagnia di alcune citazioni letterarie, di un paio di studi statistici, e soprattutto di un autore che sembra avere scritto una lunga lettera a un amico ideale, anziché a una comunità variegata di lettori. Senza pretese, senza retorica.
«Non possiamo vivere ogni vita. Non possiamo guardare ogni film o leggere ogni libro o vistare ogni luogo di questa bellissima terra. Invece di lasciarci bloccare da questa evidenza, dobbiamo rivedere le scelte che abbiamo davanti. Scoprire cosa va bene per noi e lasciar perdere il resto. Non è necessario un altro mondo. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già qui, se smettiamo di credere di aver bisogno di tutto».
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Una considerazione in bilico fra il banale e il profetico, fra il sacro e lo sciocco, fra il già sentito e il rivelatore, che più in grande riassume bene l’essenza di questa pubblicazione autobiografica, a metà fra il saggistico e la narrazione diaristica.
Di certo è un’opera coerente, che rifiuta i sensazionalismi mediatici di fronte alle catastrofi e le fittizie ricette di benessere di cui vorrebbero imbottirci quegli stessi social network dai quali non riusciamo a sottrarre la nostra attenzione giornaliera. Un’opera che, di conseguenza, non promette di svelare segreti su come stare al mondo nell’era della tecnologia, o di risolvere con uno schiocco di dita patologie mentali di grande portata, ma che senza dubbio lancia degli input, stimola riflessioni, osserva con meticolosità la superficie per chiederci di romperne la crosta e penetrare più in profondità, per vedere con i nostri occhi cosa rischiamo di perderci.
Ciò di cui soffre Matt Haig, dopotutto, è un malessere sempre più diffuso per motivi sempre più simili ai suoi, e che per essere affrontato necessita di strategie fisse e dell’individuazione di alcune cause in comune, per quanto gli effetti cambino da persona a persona e anche le vie da percorrere affinché si riescano a mettere in pratica dei comportamenti più sani e meno “dipendenti” dalla tecnologia.
Ecco perché Notes on a nervous planet, edito da Canongate Books nel luglio 2018 e arrivato in Italia per Edizioni E/O nel febbraio 2019 nella traduzione di Silvia Castoldi, è una guida di autoaiuto e allo stesso tempo un’occasione per superare pregiudizi e atteggiamenti nocivi, tanto nella nostra quotidianità del presente quanto in un potenziale futuro. «È facile non giudicare qualcuno perché soffre di una malattia – scrive infatti l’autore, includendo nel “qualcuno” anche “sé stessi” – ma è molto più difficile non giudicarlo per il modo in cui di tanto in tanto quella malattia lo spinge a comportarsi. Perché gli altri non ne capiscono il motivo» e perché a volte nemmeno chi è malato accetta la manifestazione della propria condizione, precipitando in stigmatizzazioni sterili, se non addirittura controproducenti.
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Obiettivo ben riuscito dell’ultimo lavoro del giornalista inglese è, in altre parole, quello di risvegliare in chi legge il desiderio della sensorialità, dell’umanità, in contrapposizione alla virtualità e a una perenne ricerca di perfezione robotica, che non fa che renderci sempre più inclini a sottostare a ritmi insostenibili, campagne marketing deleterie, stati d’animo perversi, rapporti interpersonali disequilibrati, società inefficienti e vertici politici corrotti, in un circolo vizioso che sembra prometterci la felicità senza procurarcela mai davvero. Non ci dà soluzioni al problema e non si erge a guru delle masse, ma ci ricorda che il problema esiste e che siamo tutti compagni di viaggio nell’affrontarlo.
Per la prima foto, copyright: Rodion Kutsaev su Unsplash.
Per la terza foto di Kan Lailey, la fonte è qui.
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