“Vita migliore” di Nikola P. Savic
«Coraggio è prendersela con i più forti. Il coraggioso se la prende solo con se stesso». Ogni libro contiene, tra i suoi meandri, almeno una frase che rimane impigliata tra le labbra del lettore e che, poi, torna a riecheggiare in tutto il romanzo, come un leitmotiv. Quella che ho riportato è stata presa dal libro Vita Migliore di Nikola P. Savic. Il testo in questione è il primo romanzo di Savic, un trentaseienne di origine serba, trasferitosi in Italia all’età di dodici anni. A questo nome bisogna associare una folta e crespa chioma ricciuta, quasi afro anni Settanta, e si scopre che questo personaggio non è propriamente uno sconosciuto. Si tratta del vincitore della prima edizione di Masterpiece, il talent show per aspiranti scrittori di Rai 3. La vittoria gli ha fruttato la pubblicazione per Bompiani in centomila copie. «Sembrerebbe che sono diventato all’improvviso uno scrittore!», ha esclamato Nikola subito dopo la vittoria.
Vita Migliore, ambientato negli anni Ottanta, racconta di Deki, un ragazzo serbo di dodici anni che affronta poco alla volta il delicato ponte tra l’adolescenza e l’età adulta, tra il quartiere 62° nord della Nuova Belgrado e Venezia. L’opera risulta immediatamente più che autobiografica, dato il profilo dell’autore. Savic gestisce con grande abilità il mescolarsi dei dettagli chiaramente personali con il distacco necessario a dare vita a un romanzo. Lascia che le conseguenze della guerra, le rivalità violente tra i quartieri periferici, la scoperta giocosa del sesso e i palazzoni grigi del regime titoista mostrino in trasparenza le sue stesse orme e i passi della sua vita, ma senza mai tracciare una linea netta tra il vero e il romanzato. Si percepiscono i ricordi e le sensazioni di Savic tra quelle parole, ma non si riescono mai a toccare del tutto. Con Ivana, Milica, Uros il Piccolo, Mihailo, la nonna-vampiro, i bagni nel fiume Sava e le pistole nascoste sotto i golf, i conflitti interetnici e di religione rimangono come delle ombre sullo sfondo: silenziose, ma sempre presenti, anche se inserite nella narrazione principale quasi come degli intervalli amaramente esilaranti.
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Savic ha dichiarato che i suoi due modelli letterari sono Charles Bukowski e Fëdor Dostoevskij. Si sente Bukowski nella rude schiettezza e nella vivida sincerità, ma, tutto sommato, Vita Migliore ha il coraggio di un libro nuovo, privo di imitazioni e convenzioni già stabilite. È un libro che, paradossalmente, non fa pesare durante la lettura il fatto di essere stato scritto, perché è dotato di una spontanea scorrevolezza. Si ha quasi l’impressione di star ascoltando un’informale conversazione tra vecchi amici, senza orpelli e tortuosi virtuosismi.
Lo dichiara lo stesso Savic, nel presentare il suo romanzo: «Do una grande importanza ai dialoghi. In fondo, per prima cosa noi usiamo il linguaggio per comunicare e solo poi per descrivere. Io non creo l’esistenza dei miei personaggi, la metto solo a nudo, nero su bianco».Insomma, ha tutte le potenzialità di un libro autosufficiente, in grado di emergere e proporsi anche senza avere alle spalle la spinta non indifferente di Masterpiece e della Rai.
Eppure, c’è stato bisogno di un talent show, anche piuttosto discusso, per portare alla luce le capacità di Nikola P. Savic e non ci si può non domandare se questo fatto sia da attribuire allo strapotere mediatico o a una cecità di fondo di molte case editrici.
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