Vita e morte delle aragoste, storia di un’amicizia destinata a finire
Nicola H. Cosentino in Vita e morte delle aragoste, edizioni Voland, racconta una lunga e inestricata storia di amicizia tra Antonio e Vincenzo.
Se ne sono sentite e lette tante di storie di questo genere, ma la penna di Cosentino incide particolarmente sull’immaginario adolescenziale, per chi adolescente lo è stato almeno negli anni Novanta/Duemila, quando si ascoltavano “a palla” e con un leggero imbarazzo Hey Ya!, Dragostea Din Tei, In the Shadows.
Con uno sguardo lucido, quindi, l’autore ci offre la nostalgia di un periodo che abbiamo attraversato tutti, inevitabilmente. Ciascuno nella propria provincia, nel proprio quartiere, nel proprio più o meno sano contesto familiare.
Quei tempi in cui il futuro sembrava un “pianeta irraggiungibile”e non codificabile, e la felicità era sintetizzabile in birre scadenti ma ghiacciate pronte all’uso, in scorpacciate di maiollo – il modo più comodo per chiamare un piatto di maiale e pollo – e in lunghe passeggiate sulla spiaggia senza avere alcuna direzione, senza l’inquietudine di nessuna scadenza.
La provincia nel romanzo è quella calabrese che si allarga fino alla capitale, Roma, per poi conquistarsi esperienze al di fuori dei confini nazionali.
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Vincenzo Teapot è l’amico dell’infanzia, dell’adolescenza e della maturità, un amico, naturalmente, fin al momento in cui non muoiono le aragoste, o meglio non si spogliano del loro carapace.
Nel frattempo, incroceranno molti destini, quello di Ariane, Silvia, Paola, Nicole, e molte esperienze, il viaggio in Spagna, a Siviglia, la pubblicazione dei libri, Frida Ohm e Arcipelago Thorvaldsen, le sbornie al grido ancestrale di botellon, i falò in spiaggia o ai piedi della Torre dell’Oro.
La storia dell’amicizia tra Antonio e Vincenzo è anche la storia di una fascinazione che il primo subisce dalla frequentazione simbiotica con il secondo.
Sono quelle trappole che riservano le amicizie di un determinato periodo della vita, quando sembra naturale, ovvio e indiscutibile, condividere tutto; quando la personalità, il carattere non si sono del tutto formati e si cerca, nell’approvazione dell’amico, un diritto all’esistenza.
Vincenzo era l’amico che amava con lo stesso trasporto con cui abbandonava l’amata, Vincenzo era l’amico fragile, passionale ma sempre precario e instabile nei suoi sentimenti e nella capacità di gestirli, Vincenzo amava scrivere, amava le corride, amava viaggiare, Vincenzo aveva le ambizioni dell’eroe tragico, era un ragazzo che temeva tanto il fallimento da rincorrerlo, da sfidarlo.
Ed è così che sfila il romanzo di Nicola H. Cosentino, quasi che Antonio, più che un caro amico, o solo in quanto tale, fosse lo spettatore delle vittorie e delle sconfitte, semmai riconosciute, di Vincenzo Teapot. E se non uno spettatore, un suo lettore.
Quanti aneddoti conosceva in cui io non sembrassi Sancho e lui Don Chisciotte?
E, quindi, nella fantasia di Antonio, l’amico sarebbe stato un uomo ricco d’ideali, di un amor cortese e gentile, quell’amore che cattura e abbandona e comunque si affeziona, e lui, invece, un sempliciotto, un accompagnatore che sostiene le stravaganze del suo avventuriero.
Vincenzo, forse, dava per scontata, per ovvia o per data, l’amicizia di Antonio al quale non riconosce alcuno spazio nei libri che una piccola casa editrice gli aveva pubblicato. Antonio è espunto dalla biografia dell’amico e nonostante questo patrocinava la sua causa.
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Le aragoste sono aneddoto e metafora di questo romanzo che è, al contempo, ironico, veloce, bizzarro e malinconico. Il corpo dell’aragosta non smetterà di crescere fino a quando non troverà il suo ultimo carapace dentro il quale cercherà di adattarsi. Antonio e Vincenzo faranno proprio questo, ciascuno abbandonerà il vecchio carapace dal quale traeva nutrimento e riparo, e ne cercherà un altro, uno nuovo.
Le loro vite prenderanno, pertanto, direzioni diverse, non si vedranno più. Conserveranno un’amicizia lontana, distante e risentita, dove le illusioni prevarranno sui ricordi.
Per la prima foto, copyright: Ben White.
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