Viaggio in America, da Steinbeck a Geert Mak
Un viaggio in America sulle orme di John Steinbeck, ecco cosa propone Geert Mak, a cinquant'anni esatti da quello dello scrittore americano, nel suo In America, da poco edito per Ponte alle Grazie (traduzione di F. Paris) e nel quale il giornalista e saggista olandese ripercorre le tappe affrontate da Steinbeck e raccontate nel suo In viaggio con Charlie. La mattina del 23 settembre di quell’anno, lo scrittore di Furore, La valle dell’Eden e Uomini e Topi montò su un furgone adibito a camper dal donchisciottesco nome “Ronzinante” e cominciò la sua avventura. Là dentro aveva tutto quello che gli serviva per intraprendere un faticoso viaggio durato quasi tre mesi e quasi diecimila miglia attraverso trentatré Stati. L’idea di Mak però non è soltanto quella di riprendere pedissequamente le tracce lasciate dallo scrittore, semmai partire da quelle per offrire un affresco del cambiamento dopo cinque decenni. Ecco dunque che le strade percorse, i paesaggi ammirati, i motel usati per la sosta, tutto diventa un’opportunità per allargare gli orizzonti e compiere delle digressioni che, di volta in volta, toccano tematiche diverse: la politica, la questione razziale, l’ambiente, l’impero del consumismo. Steinbeck stesso trattò certi argomenti, lo fece ascoltando o scambiando qualche chiacchiera con le persone che incontrava sul suo itinerario, contadini, negozianti, camionisti, boscaioli, pescatori, gente seduta al tavolo dei diners. Così l’occasione era buona per dialogare circa la perdita dell’identità nazionale, oppure a proposito del dibattito Kennedy-Nixon in vista delle elezioni presidenziali, con sullo sfondo la Guerra Fredda e le prime missioni spaziali.
Ma che Paese trova il giornalista olandese cinquant’anni dopo Steinbeck? Per certi versi, un Paese non molto cambiato, se si considera una società ancora imperniata sulla cultura del desiderio (legata al possesso dei beni), sul patriottismo (bandiere sventolanti ovunque a combattere un costante senso di minaccia e insicurezza) e sull’American Creed (l’esaltazione di valori come la libertà e la democrazia, la speranza che il futuro possa essere sempre migliore). In realtà la situazione, nel 2010, quando Mak ripeté le gesta di Steinbeck, si rivelò differente già a partire da Sag Harbor, la località nello stato di New York in cui lo scrittore visse gli ultimi tredici anni della sua vita. Dunque ecco una cittadina profondamente cambiata, da zona industriale a luogo di villeggiatura, con le casette di legno dipinte di bianco e blu (anche se la casa di Steinbeck viene definita dal giornalista «grigia e modesta») e molte villette in vendita. Cambiata è anche la popolazione, per cui, in una società più multietnica, anche Sag Harbor è abitata oggi da molti messicani.
Da lì il viaggio di Mak prosegue per il New Hampshire e per il Vermont, dove prevalgono ancora oggi boschi sconfinati, prati delle fattorie, capannoni, chiesette, campi incolti. Poi la fermata nelle città tentacolari Detroit e Chicago, che si prestano a un’attuale indagine sociologia e demografica, con i dati sul calo occupazionale e sulla delinquenza. Ma Steinbeck di fatto era più interessato alle realtà rurali, quindi non si soffermò molto nelle metropoli e nei loro sobborghi, periferie in continua espansione. Quei contesti invece oggi sono molto funzionali a raccontare gli effetti della crisi, con i problemi legati ai mutui, alla previdenza sociale, alla disoccupazione, a una povertà diffusa per via dell’aumento di tasse e spese e al corrispondente calo dei risparmi. Poi l’America delle grandi reti autostradali e di ciò che resta della mitica Route 66 (la stessa che percorreva la famiglia Joad in Furore), e pure l’America dei gradi paradossi, come quello che la vede tutt’oggi inefficiente per ciò che riguarda la rete ferroviaria.
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Lo Steinbeck del 1960 veniva da un personale periodo di difficoltà: era reduce da un piccolo ictus e la sua figura di scrittore era ormai in declino da qualche tempo, anche se poi solo due anni dopo gli avrebbero conferito il Premio Nobel e ciò ne avrebbe rialzato le quotazioni. Quello Steinbeck voleva dimostrare a se stesso di combattere la vecchiaia, e soprattutto alla sua terza moglie di essere ancora un uomo. L’America degli anni Cinquanta, coi suoi colori pastello, viveva un periodo di tranquillità economica, e le generazioni che avevano accumulato ricchezze potevano permettersi persino dei lussi, come nuove case e nuove automobili. La televisione aveva influenzato abitudini e stili di vita, tanto che lo scandalo del quiz Twenty-One (raccontato da Mak nel libro, ma anche nel film Quiz Show di Robert Redford) venne vissuto come una sorta di tradimento a carico della collettività. L’America di oggi è senz’altro più disillusa, ma perdurano forti contraddizioni: Mak riferisce di paesi svuotati, con case abbandonate e negozi falliti, e allo stesso tempo di motel diventati alberghi di lusso con ogni comfort e di colazioni abbondanti nei diner e nelle stazioni di servizio.
Il viaggio è anche indietro nel tempo, dai padri pellegrini e ai nativi americani fino ad arrivare ai giorni nostri, raccontando 150 anni di guerre (da quella di Secessione a quelle in Iraq e Afghanistan). Ricchissimi gli excursus sulle credenze popolari e religiose, che mostrano un panorama più che mai variopinto: dai presbiteri ai luterani, dai cattolici ai quaccheri e altri puritani (interessanti i racconti su comunità ormai estinte, come i brownisti e gli shaker). Passando dal Montana (che Steinbeck adorava) e in seguito per Seattle, la discesa verso l’amata California dello scrittore, con il ritorno a Salinas e alla penisola di Monterey. Lì Steinbeck trovò tutto diverso, con lo sviluppo edilizio che imperava e gli amici di una volta ormai scomparsi. Infine gli Stati del Sud, con le tappe texane, fra sprechi e ricchezze («Il Texas è uno stato mentale», diceva Steinbeck), e quella a New Orleans (la città che trova Mak è ciò che rimane dopo l’uragano Katrina del 2005), per poi far rotta verso casa, completamente distrutto.
«Steinbeck era un fantastico osservatore e un pensatore acuto. Dipingeva con le parole, creando una serie di acquerelli magnifici e facendo nascere così un libro di illustrazioni senza uguali, formato da persone e da paesaggi, da ricordi e da visioni», dice Mak. In effetti, l’osservazione compensò la confessata incapacità nel prendere appunti e nello scrivere a caldo. Ne risultò una rievocazione di ciò che aveva visto e vissuto, quindi non un reportage puro ma un’opera che mescolava realtà e finzione (si crede infatti che Steinbeck abbia inventato di sana pianta certi personaggi e anche interi dialoghi, come quello finale con i tre autostoppisti). Se le intenzioni dei due erano diverse, c’è una cosa che però li accomuna: un lavoro eccellente, scritto sulla base di occhi che sanno guardare e orecchie che sanno ascoltare. Steinbeck e Mak, ognuno col loro viaggio in America ed entrambi da lasciare ai posteri.
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