Viaggiare con lentezza lungo l’Arno per riscoprire sé stessi
Cosa vuol dire vivere lungo un fiume? Cosa vuol dire sceglierlo come compagno di viaggio?
Per noi italiani che siamo abituati a parlare di fiumi solo quando esondano facendo la voce grossa, queste due domande potrebbero contenere un esercizio di recupero di un modo antico di rapportarsi alla realtà che ci circonda, con lentezza e riconoscenza. È questa forse la chiave giusta per avvicinarsi a Maldifiume di Simona Baldanzi (Ediciclo Editore): un viaggio lento lungo un fiume per conoscere la sua storia, quella di chi abita i luoghi che il fiume attraversa e, perché no, anche la propria storia perché, in fin dei conti, prendersi il tempo per scoprire l’altro è anche un modo per riconoscere sé stessi.
Ha anche un altro merito Maldifiume, quello di portare un fiume come l’Arno al centro di una narrazione che lo inquadri al di fuori dell’alluvione del 1966, di cui pochi giorni fa è ricorso il cinquantennale. Non si tratta di un’omissione, ma di un voler restituire al fiume un altro che spesso ci sfugge. Proprio di questo altro abbiamo voluto parlare con Simona Baldanzi.
Cominciamo da due domande all’apparenza semplici: perché un fiume? E perché proprio l’Arno?
A Paso de Los Toros in Uruguay ho incontrato una comunità intera nel fiume e sulle sue rive, cercavano il refrigerio certo, ma c'era anche un modo di stare insieme che non provavo da tempo. Lì ho iniziato a pensare ai nostri fiumi, a quelli piccoli di Appennino della mia infanzia e a quello più grande che attraversa la Toscana. Ho iniziato a farmi delle domande. Come li viviamo, cosa ce ne facciamo? Da piccola poi avevo scritto una storia su un ombrello rotto in riva al fiume. Una storia che è andata persa. Il viaggio lento lungo il fiume è una ricerca che ha a che fare con le perdite collettive e intime.
Quasi all’inizio del libro, lei dichiara: «sono anch’io un piccolo fiume». Cosa si prova a identificarsi con il fiume? E come ci si sente a esserlo?
Un pezzo tratto dal romanzo Furore di Steinbeck parla della vita che per la donna è come un fiume. La vita è fatta di mulinelli, secche, ma l'acqua continua a scorrere: «la gente continua come il fiume, magari cambia un po', ma non finisce mai». Ecco, siamo flussi, acqua che scorre, siamo dighe, pescaie, inondazioni, argini, andamenti d'acqua diversi e poi gli affluenti, le confluenze con altri fiumi e altra gente. Siamo acqua dolce che muta in acqua salata. Siamo piccoli che andiamo a ingrossare acque più grandi che bagnano le terre del mondo. Identificarsi con un fiume significa potenza e umiltà.
Lei definisce il suo «un viaggio lento lungo l’Arno». Cosa vuol dire viaggiare scegliendo un fiume come direttrice lungo cui muoversi?
Il fiume non è un sentiero, si assottiglia e si ingrossa e non lo puoi prevedere fino in fondo. Viaggiare lungo un fiume significa trovare cascate dove non credevi per via delle piogge la notte, significa arrendersi di fronte a guadi che non puoi attraversare, significa adattarsi al suo andamento. Non puoi stargli completamente e sempre al suo fianco. È paura e fascino insieme, impari il passo del rispetto.
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Restiamo un attimo su questa lenta camminata lungo l’Arno. Da dove nasce il suo desiderio di recuperare una tale forma di conoscenza dei luoghi?
Uno dei ragazzi incontrati lungo l'Arno, in Casentino mi ha detto: «Tu mi stai ascoltando davvero». Non sono io particolarmente attenta, è il viaggio lento, è il camminare che ti pone in questa dimensione. È più facile ascoltare, è più facile raccogliere le storie, che come il fiume, non stanno mai ferme a farsi raccontare. Andando piano, si ascolta e ascoltando si conosce. Il territorio, i luoghi sono ancora più grandi fatti a piedi e così ti accorgi che sono complessi e che semplificare e velocizzare ci porta fuori strada.
«Il cammino inizia in salita. L’inizio è una sensazione di inadeguatezza, di basculamenti, di sguardi bassi per non inciampicare». Perché ci si sente inadeguati? Dipende dal fiume o è una sensazione di chi decide di “affrontarlo”?
Ogni inizio è difficile e faticoso. Per camminare, soprattutto per chi non è allenato, lo è ancora di più perchè lo senti fisicamente, nel fiato, nei passi. Ogni volta me ne stupisco, di quella sensazione di inadeguatezza e del mettersi alla prova. Il fiume racchiude questa sensazione che è perenne: inizia continuamente, si rigenera sempre. Tiene insieme la fatica, la difficoltà di intraprendere qualcosa di nuovo, di affrontare i cambiamenti e il mistero delle origini che ci riguarda. Maldifiume è anche il primo volume della nuova collana di Ediciclo, La Biblioteca del viandante diretta da Luigi Nacci, un inizio nell'inizio.
Molte sono le persone incontrate durante il cammino. Cosa contraddistingue chi abita lungo un fiume da chi invece abita nell’entroterra?
Chi vive vicino al fiume ha a che fare con una vena che pulsa, le genti d'acqua dolce hanno più timore, ma insieme anche più reverenza. È più facile sentirsi parte di un tutto che prosegue con noi e nonostante noi. Il fiume spesso ha fatto da prova alla crescita, alle difficoltà, alla solitudine. Parlo proprio di chi vive sulle rive, di chi ci sta dentro con la canoa, col barchetto, con la canna da pesca, con le gambe. Basta distanziarsi di poco e la gente se ne dimentica del fiume, se ne ricorda nuovamente quando fa la voce grossa, quando sale di livello. Ma senza tutti gli altri sentimenti, la paura frega e il fiume si vendica.
Lei afferma che «Il fiume non sta in un barattolo», nel senso che non si può né trattenere né conservare. Quant’è stato difficile allora trovare la chiave giusta per raccontarlo?
Il fiume non sta neppure in un libro. Appena lo hai fotografato, è già altro. Quando ho fatto pace con questo pensiero, anche le difficoltà nello scrivere si sono disciolte. Qua ci stanno le genti, le comunità, le marginalità, le storie incontrate, ma è una traccia, un accenno come il disegno della linea del fiume che introduce ogni capitolo. È un invito a riscoprire il fiume, a trovare il proprio immaginario a partire dalla splendida illustrazione in copertina di Fabio Consoli, a entrarci dentro e a sfaldarsi le vesti.
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