Vi racconto come sono nati "I leoni di Sicilia". Intervista a Stefania Auci
Con I leoni di Sicilia (Nord, 2019) Stefania Auci prosegue sulla strada del romanzo storico, dopo aver pubblicato qualche anno fa Florence (Baldini+Castoldi, 2015) che era ambientato nel capoluogo toscano ai tempi della Prima guerra mondiale.
Questa volta l'autrice, trapanese di nascita e palermitana d'adozione, sceglie di raccontare una vicenda ben radicata nel territorio della sua Sicilia: l'ascesa della famiglia Florio, che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo economico dell'isola a partire dai primi anni del diciannovesimo secolo. Tutto comincia nel 1799, quando Paolo e Ignazio Florio, dediti a piccoli commerci con la loro imbarcazione tra Calabria e Sicilia, decidono di lasciare per sempre la natia Bagnara Calabra per trasferirsi a Palermo, portando con sé Giuseppina, la moglie di Paolo, e il loro piccolo Vincenzo. Gli uomini sono determinati a migliorare le proprie condizioni di vita, lavorando duramente per conquistarsi a poco a poco una posizione nel mondo economico palermitano: iniziano aprendo una drogheria dove vendono le spezie provenienti da mezzo mondo, poi allargheranno a poco a poco il loro raggio d'azione, fino a costruire nei decenni successivi un impero commerciale che va dalle spezie al vino marsala, dal tonno conservato allo zolfo. La storia della famiglia si snoda dunque nel periodo che va dall'epopea napoleonica ai primi anni successivi all'unità d'Italia, tra eventi storici e vicende personali dei protagonisti, costruendo un romanzo vivo e avvincente, di cui Stefania Auci sta già scrivendo il seguito per raccontare le generazioni successive della famiglia Florio, come ci ha confermato in questa intervista.
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I Florio, come appaiono nel suo romanzo, sono l'emblema di una classe imprenditoriale che in Sicilia non è riuscita a imporsi con la stessa forza che in altre regioni italiane, soprattutto per la forte ostilità manifestata dai nobili verso la borghesia emergente. È quindi in gran parte colpa dei nobili se la Sicilia non è riuscita a crescere più rapidamente?
Di sicuro è una concausa, perché sarebbe eccessivo dare tutte le colpe alla nobiltà. Ci sono state tante difficoltà legate ad esempio alle infrastrutture, alla situazione ambientale, non ultimo anche a un certo tipo di mentalità per cui c'era un forte timore di approcciarsi alle attività imprenditoriali, che avevano quell'alea di insicurezza e incertezza che non garantiva una resa sicura rispetto alla rendita fondiaria. La nobiltà era portatrice di un modello economico basato sul latifondo e sull'attività prettamente agricola. Ciò non toglie che ci siano stati dei nobili con capacità e attività imprenditoriali, anche se non sono stati molti.
Una cosa che colpisce di questo libro è l'assenza della mafia. Vincenzo Florio litiga per tutta la vita con le autorità per affermarsi e costruire il suo impero, però non c'è traccia di suoi eventuali rapporti o problemi con il mondo mafioso. È stata una scelta deliberata di evitare l'argomento, oppure nel corso delle sue ricerche non ne ha effettivamente trovato traccia?
In quella fase storica la mafia come la conosciamo oggi non esisteva ancora. C'era la mafia prevalentemente latifondista, con i campieri che amministravano e gestivano i terreni per conto dei nobili ed esercitavano un potere molto forte nei confronti dei contadini. Un potere che era spesso vessazione. L'attività dei Florio si svolgeva in un contesto cittadino e verso il mare, dove in quel periodo la presenza della mafia era davvero marginale, quindi collegare Vincenzo Florio a delle cosche mafiose non sarebbe stato veritiero.
Le cose cambieranno con la seconda e la terza generazione della famiglia, quando il costume sociale e l'habitus mentale dei Florio si sposterà molto di più verso la nobiltà, con amicizie anche pericolose per la loro posizione nella società civile palermitana.
La mafia così come la conosciamo oggi nasce dai corleonesi, negli anni Cinquanta del ventesimo secolo.
Un romanzo storico è credibile quando riesce ad amalgamare perfettamente gli elementi reali, storici, con personaggi e dialoghi inventati, vale a dire la ricostruzione dei rapporti tra le persone che è forzatamente un'opera di fantasia. Quali sono state le difficoltà maggiori che ha incontrato in questo lavoro di coesione tra storia e invenzione narrativa?
Le sembrerà strano, ma in genere mi sono semplicemente immaginata che certe scene dovessero essere andate in un certo modo e le ho scritte così. La difficoltà stava nel rendere credibile la narrazione, nel dare la maggiore veridicità possibile a quello che mi veniva facile raccontare. Forse mi è stato più difficile immaginare i rivali dei protagonisti, il mondo dei commercianti in cui si muovevano all'inizio, a cui ho dato nomi di fantasia perché questo è comunque un romanzo e non una biografia, e non era il caso di avere magari problemi con eventuali eredi. Sono reali invece i dipendenti dei Florio, che figurano con i loro nomi veri.
Quanto tempo ha impiegato a scrivere il romanzo, comprese le inevitabili ricerche preliminari?
Tra ricerche, prima e seconda stesura parliamo di tre anni. È stato un lavoro lungo, anche perché sono insegnante di sostegno in una scuola superiore e ho due figli ragazzini che mi tengono impegnata, per cui la scrittura è forzatamente confinata in tempi ristretti.
Ma da dove è venuta l'idea di raccontare prorpio i Florio?
Da un'intuizione, da chiacchiere con un amico, un seme che poi è diventato germoglio. Quando ho cominciato a esaminare il materiale disponibile, che è veramente tanto, ho pensato di non farcela, e invece adesso siamo qui a parlarne.
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Il racconto si ferma dopo l'unità d'Italia. Potrebbe o vorrebbe scrivere un seguito per raccontare il resto della storia della famiglia?
Lo sto già scrivendo. Il periodo successivo tra l'altro è anche molto più complesso per quanto riguarda le vicende familiari, a differenza di questo primo romanzo in cui è più forte l'importanza degli eventi storici. Con lo stato unitario la storia diventa più omogenea e lineare, mentre la famiglia assume una dimensione davvero epica.
I Florio hanno fatto moltissime cose, basta pensare solo alla Targa Florio, che ha rappresentato la scelta di mettersi in luce attraverso qualcosa di assolutamente innovativo per i tempi. Negli anni Venti una corsa automobilistica sulle strade delle Madonie era qualcosa di notevole, quasi un rally. I Florio sono stati dei grandissimi gestori della loro immagine, e capivano l'importanza della carta stampata: attraverso la fondazione del loro giornale, «L'ora», manipolavano l'opinione pubblica nel senso moderno del termine. E poi la Primavera Siciliana, le sfilate di moda... Tutti pensano che l'epoca del Liberty, la Belle Epoque, fosse un periodo felicissimo, ma lo era solo per una piccolissima parte della società siciliana.
In realtà l'economia era in crisi e il lavoro stava venendo a mancare, causando la grande migrazione dei siciliani nelle altre regioni d'Italia e poi all'estero.
Allora per quando ci possiamo aspettare il seguito de I leoni di Sicilia?
L'anno prossimo dovrebbe uscire il secondo e conclusivo volume. Due volumi sono sufficienti a raccontare tutta la saga evitando che il lettore si stanchi.
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