Venti racconti al limite del reale. “Il buio a luci accese” di David Hayden
Il buio a luci accese è il libro di David Hayden, autore irlandese pubblicato in Italia da Safarà. Il volume non è un romanzo. Sono tante piccole storie di vita messe assieme che vanno a comporre una raccolta di racconti dall’atmosfera tra il sognante, lirico e surreale, capaci di andare oltre la dimensione spazio-temporale della realtà.
L’album narrativo di Hayden è come un grande puzzle umano, nel quale ognuno dei racconti è un tassello che tende a dare forma a una raccolta umana che assomiglia più a un bestiario che affronta i conflitti dell’io con la realtà e l’interiore disarmonia presente nell’individuo.
Per esempio nel primo racconto – La sortita – il protagonista racconta di sé, del suo lavoro, del suo disastro esistenziale e del grande salto che ha deciso di compiere. C’è poi la figura del banditore che accumula cose su cose per rivenderle. C’è il racconto con il supereroe di turno, tal Andy, che deve andare da dei minatori e indurli a non piangere più, perché le loro lacrime invadono i cunicoli delle miniere e non possono lavorare. C’è la Casa dei ricordi nel quale per il protagonista quell’abitazione in cui si imbatte è composta da elementi che associa a ingredienti come farina, sale e altre prelibatezze culinarie e a ciò che vedeva nella sua casa di un tempo.
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Non si fa mancare niente Hayden e non fa mancare nulla al lettore, tanto è vero che ci sono racconti dalle atmosfere gotiche e cupe, con banchetti macabri dove si resta spiazzati e allibiti quando si comprende la natura di quello che si trova nel piatto o situazioni nelle quali ci si appresta ad ascoltare discorsi che escono non da bocche di esseri umani ma da animali parlanti.
Durante la lettura di queste storie si ha la sensazione che esse siano sempre in bilico, appena possono, tra il senso della realtà e del surreale, tanto che in alcuni racconti si percepisce un’atmosfera pronta a richiamare un po’ alla memoria la scrittura di Kafka, i racconti dell’Aleph dell’argentino Borges e pure un pizzico della produzione di Beckett. Hayden ha però uno stile di scrittura del tutto personale che punta a indagare i tormenti e le ossessioni degli animi umani.
I racconti dell’autore irlandese sono sì piccole vicende di vita quotidiana, ma in esse c’è semprel’elemento grottesco, strambo, unito a sfumature che tendono al mostruoso, fantastico e onirico. Tanto che a un certo punto ci si chiede quanta realtà si nasconda al di sotto di ogni storia letta.
Pagina dopo pagina si ha la sensazione che quella di David Hayden sia una scrittura che mira anche a evidenziare quanto possa essere sottile la linea di confine tra mondo reale e sua rappresentazione e quanto queste due dimensioni possano confondersi, fino a diventare una cosa unica, le cui parti diventano indistinguibili. È possibile affermare ciò perché i personaggi, e di conseguenza noi lettori, si muovono dentro mondi nei quali i sentimenti (gioie, dolore, amore, sofferenza, successi e difficoltà) vengono vissuti sempre “sul filo del rasoio” tra la dimensione del tangibile e dell’inconscio.
Ogni situazione presentata, ogni avventura per strada, dentro a case colme di oggetti, in biblioteche piene di libri, in abitazioni dove si afferma che «è più buio con le luci accese», lascia nel lettore una sensazione di irrisolto, di una soluzione quasi giunta a termine, ma non del tutto compiuta.
Ogni cosa sembra irrazionale, però se la pensiamo come il frutto della mente umana e della sua fantasia ci rendiamo conto che nella testa di un individuo, uomo o donna che sia, tutto è possibile dai fatti che ci sembrano più surreali, agli episodi di felicità, fino ai drammi esistenziali, che forse così irreali non sono.
Spesso tra una pagina e l’altra, ben tradotta da Riccardo Duranti, de Il buio a luci accese compaiono, come se fossero un po’ il leit motiv della narrazione, i libri. Essi sono una costante ed è interessante come i tomi vengano visti dai personaggi come beni da vendere, in altri casi da conservare, da leggere e condividere. I libri sono per le diverse creature di Hayden, e magari anche un po’ per lui stesso, degli strumenti veri e propri di conoscenza, diversi tra loro per forma e contenuti, e devono essere letti per donare il loro contenuto ai fruitori. Ed è come se i libri, che non sempre hanno avuto vita facile nel corso della storia, fossero per l’autore irlandese delle vere e proprie ancore di salvezza: «L’essenza di un libro è tutto un altro paio di maniche, non le parole in se stesse, ma quel che c’è sotto, cioè quello che ci può liberare. Ecco perché le biblioteche sono importanti, a patto che si indugi a lungo in esse.»
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Altro aspetto curioso è una constante sensazione di atemporalità. Una mancanza di tempo dovuto al fatto che non si riesce a collocare i racconti in un contesto storico e temporale definito. Mancanza di tempo che fa da collante tra una storia e l’altra e che permette di leggere ogni episodio letterario in modo autonomo e indipendente dagli altri. Mancanza di tempo dovuta forse al fatto che i racconti tendono alla dimensione fantastica, a quell’inconscio tipico del senno umano che macina pensieri e fa lavorare l’immaginazione in modo costante e continuo.
Il libro è un viaggio letterario a tratti delirante ma non banale, perché inIl buio a luci accese Hayden utilizza metafore, personaggi strambi e situazioni fantastiche e assurde per indagare e narrare quanto di vero, tormentato e reale si nasconde nel cuore e nella mente di ogni essere umano.
Per la prima foto, copyright: Gary Bendig su Unsplash.
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