“Venice rock’n’roll” di Paolo Ganz
Ve lo dico subito, perché è il caso d’essere chiari: se non capite il veneziano – nonostante il glossario a pagina 171 –, se non vi interessano le sgangherate avventure di un musicista e se a Venezia soffrite di claustrofobia... beh, allora lasciate perdere questo libro, ma ve lo dico chiaramente – e io non sono una che fa complimenti a vanvera –, Paolo Ganz è un capace musicista e una persona interessante.
«Eh, còssa sarà mai, par ‘na volta! I xe quàtro amìsi che i xe vegnùi a far un fià de musica! Par ‘na sera el podarà ben sopportàr na ‘sciànta de bordélo: el stàga tranquilo che a le ùndese i ghe mòla...» (Paolo Ganz, Venice rock’n’roll, Fernandel, 2011 pagina 15)
Così comincia l’avventura di Paolo Ganz, noto musicista a cui il blues e l’armonica hanno rapito il cuore. Una follia parlare di rock nella Venezia degli anni ‘70, dove gli stimoli che arrivano da fuori si fermano sul Ponte della Libertà, quattro chilometri d’asfalto che tengono i veneziani ancorati alla laguna e il resto del mondo escluso perché estraneo: un mondo coi piedi asciutti; una roba che a Venezia non è nemmeno immaginabile.
Se la Serenissima, nei secoli, ha partorito viaggiatori e avventurieri, in seguito la stessa Serenissima si è richiusa come un bivalve e negli anni ‘70 affrontare il ponte era un po’ come buttarsi a capofitto in un viaggio oltre le colonne d’Ercole. Ma lo spirito del rock e del blues, da suonare in taverne e festival sconosciuti, è più forte di qualsiasi paura: prima ci si fa le ossa suonando a Venezia, poi ci si arrischia ad arrivare a Mestre... Tragitto che pare di poco conto, forse perché la mentalità del veneziano non è nota a tutti. Ma siamo a Venezia, la vita delle calli e dei sestieri, e lì nasce Paolo Ganz. Cresce masticando musica, con pochi spiccioli per comprare il primo basso – giallino, ridicolo e bisogna scovare qualcuno che sappia come si accorda –, le prove furtive nei giardini vuoti della Biennale, le cantine umide e le soffitte dove suonare sui fustini del detersivo. È una piccola avventura che ci scorre davanti agli occhi, con Ganz e gli amici, pirati della laguna alla conquista della terraferma.
Ho avuto la fortuna d’assistere a una presentazione di questo libro, ero al Buk Modena – alle fiere del libro ci capito per caso, oppure sedata come accade a Baracus dell’A-Team – e il nome di Paolo Ganz mi diceva qualcosa. Mai avuto la sensazione d’avere un briciolo di vita da spartire con un tale, ma non ricordate come e perché? Ecco, a me sì, succede, e poi mi macero tentando di ricostruire facce e date.
Appena l’altoparlante ha annunciato la presentazione – in uno stanzino un po’ in disparte, con l’intimità di una chitarra che accompagna Ganz e la sua armonica che suona ruffiana –, mi sono precipitata a occupare una sedia. Ora, devo farvi una confessione: il mio dialetto assomiglia molto al veneziano e del mio dialetto vado piuttosto fiera; è quello che fa di me la cialtrona che sono, la nota distintiva dei miei articoli. Insomma, ho imparato quel dialetto mentre decidevo come si tenesse la posizione eretta e la cantilena veneta l’ho piacevolmente ritrovata in Paolo Ganz.
Ganz suona l’armonica come se parlasse il dialetto della Serenissima o, se volete, quando gli scappa la battuta in veneziano risulta musicale alla stessa maniera. Un connubio strano che forse alla presentazione non tutti hanno notato, ma mica si improvvisa un DNA comune, sia detto. Ecco perché, incantata dai racconti picareschi di Paolo Ganz – sortite a pochi passi da casa, sul vaporetto carichi del peso degli strumenti musicali –, mi è sembrato di guardare un film. Che io ne capisca di musica, no, macché, pur avendo sposato un musicista non mi permetto nemmeno di cantare sotto la doccia – sono conscia dei miei limiti –, ma frequentando gente che con la musica ci campa, ci ha campato o vorrebbe camparci, certe storie le conosco e in qualche modo le ho fatte mie.
Mi direte che ancora non vi ho svelato niente del libro e non posso darvi torto, eppure raccontando di Ganz e citandovi Venezia vi ho già portati sulla buona strada.
Par de ‘vérli in casa, così si lamentano i veneziani al minimo rumore, figuriamoci a suonargli un po’ di rock nel sestiere! Un parapiglia d’anziane signore che cercano di beccare i malcapitati con secchiate d’acqua, le lamentele, la ricerca di un posto dove suonare senza risultare fastidiosi. Venezia vive in una forzata promiscuità, lo spazio è poco e non ci sono strade che possano aver abituato l’orecchio degli abitanti ai rumori molesti, tanto che basso e chitarra diventano grossi problemi alla convivenza.
Può essere che voi non conosciate Paolo Ganz: in Italia spesso i musicisti hanno un loro giro, i loro fan e molti di noi finiscono per non avere idea della loro esistenza. Allora potreste leggere Venice rock’n’roll e a quel punto magari vi verrebbe la curiosità d’ascoltare l’armonica di Ganz. O magari no, potreste cercarlo su youtube per poi decidere che Ganz va anche letto.
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