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'Urge': intervista ad Alessandro Bergonzoni

 

Alessandro BergonzoniFare un’intervista ad Alessandro Bergonzoni è impresa tutt’altro che facile. Rischi di perderti dentro un’eruzione di parole, dense di detto e di rimandi a tanto altro, pregne di battute mai fini a se stesse che danno in parte la cifra di questo artista, funambolico giocoliere della parola; il resto lo si può vedere a Teatro nello spettacolo ‘Urge’, che già a Milano ha registrato un tutto esaurito per le due settimane di cartellone al Teatro Elfo, ma che non mancherà di attraversare l’Italia in lungo e in largo sino al prossimo giugno.
 
Da dove nascono l’idea e il titolo, suggestivo, di questo spettacolo?
 
Non ho dubbi: dall’urgenza, dalla necessità del dover dire.
 
Cos’ha urgenza di dire Bergonzoni?
 
Segnalare la mia differenza, la differenza del mio sguardo artistico in generale verso il mondo. Bisogna fuggire dalla banalizzazione e dall’appiattimento che ci rende comuni ad ogni costo, e che rende simili cose che in realtà affatto lo sono.
 
Qual è la sua cifra artistica?
 
Sottolineare l’importanza della comicità per arrivare al fine desiderato. Mettere sotto gli occhi dello spettatore il mio “Voto di vastità” che non mi permette mai di distogliere lo sguardo da tutto: ciò che è invisibile, onirico, trascendentale. E poi c’è lo spettacolo. In una sala piena il rumoreggiare degli spettatori è interrotto da una voce che giunge dalle spalle “Ho fatto un sogno…” dice e mentre il comico, scrittore e autore, si dirige a larghe falcate verso il palco si è già rapiti da quel sogno. Casacca scura e cappello a inanellare la folta chioma grigia, ci disabitua subito alla staticità dei precedenti spettacoli perché adesso Bergonzoni si diverte ad usare anche il corpo, maltrattato in pose scomode e plastiche con la complicità di un tavolo che insieme a poco altro costituisce la scena minimale. Guai a perdersi una sola battuta, a coprirla con uno scroscio di applausi o di risate, perché pare sia quello che l’attore cerca: perdersi e farti perdere, rapirti definitivamente nelle sue immagini oniriche. Le usa tutte: i calembour, gli scambi di vocale, i doppi sensi, lo smembramento delle sillabe in un gioco infinito di suoni, allitterazioni, suoni onomatopeici. Sembra riesca a far suonare tutto un Bergonzoni in stato di grazie e a far parlare persino gli animali in uno sprazzo di fiaba dal sentore di Esopo Trova anche il tempo di dire, prima che gli applausi lo interrompano “ Un tempo ci infastidiva un solo capello nella minestra, ora siamo abituati ad ingoiare parrucche intere senza accorgercene ma bisogna fare attenzione all’ignoranza: l’ignoranza è bi adesiva, attacca da tutte le parti. In questo momento mi fa male pensare che qualcuno ora stia chiedendo a una madre a cui è morta la figlia: come si sente? Urge scrivere sotto i nomi i alcunii presentatori Nuoce gravemente alla salute”. Poi, solo dopo un applauso che non pare volersi fermare e che lo costringe a tre bis un’ultima sorpresa, ancora la sua voce da dietro le quinte ad accompagnare tutti verso l’uscita sulle note di una filastrocca, inutile a dirsi, assolutamente strampalata.
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