Uno sguardo autentico su Napoli. “San Gennaro non dice mai no” di Giuseppe Marotta
Puntata n. 118 della rubrica La bellezza nascosta
«Il dolore dei napoletani di tutti i ceti è purtroppo autentico, pensai, essi inventano Napoli, si raccontano con qualche enfasi, con qualche compiacimento; ma trovano sollievo e consolazione in questo recitarsi: il giorno in cui deponessero o frantumassero lo specchio innanzi al quale si mettono a soffrire, non vorrei essere né a Napoli, né vivo».
Ci sono luoghi, su questa terra, che posseggono una diversa maniera di respirare, un diverso modo di stare al mondo; luoghi che appartengono a tutti e che tra le loro strade, nei loro vicoli, nelle espressioni del viso dei loro abitanti, raccontano una storia antica, parlano di qualcosa di atavico che è di tutti ma che non tutti conoscono.
Napoli è quella terra esposta al mare dove ogni passo, ogni uomo, dove ogni movimento è vicino alla letteratura; dove i Santi appartengono al popolo e riescono a essere di carne e di fiato, dove i voti rincorrono le Madonne nelle stradine buie, nelle nicchie scavante dentro i muri, anfratti illuminati a malapena in cui la luce del giorno è meno forte di quella artificiale. È un eterno carnevale, questa Napoli, piena fin quasi a pesare troppo, densa fin quasi a ribaltarsi.
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Giuseppe Marotta è nato a Napoli nel 1902, dove poi è morto nel 1963. San Gennaro non dice mai no è stato pubblicato nuovamente da Alessandro Polidoro Editore.
È il 1947, siamo nel mese di marzo, Giuseppe Marotta decide di tornare a Napoli, manca da vent’anni. Davanti ai suoi occhi si spalanca una città ferita, da poco uscita dalla guerra, dove il coraggio, la saggezza popolare e la sagacia sono i punti cardine intono a cui ruota l’esistenza dei suoi abitanti. Così, lo scrittore decide di scriverne, rubando e assorbendo ciò che accade nelle piazze, sul lungomare, tra i vicoli, tra le persone devastate, i poveri, i mendicanti, i pescatori.
«Ah Forcella, Forcella. Possibile, mi dicevo andandomene, che mezza Napoli non sia più, ormai, se non la casa della ricettazione e dei suoi antefatti? Mi ero messo per un vicolo di cui non ricordo il nome, i muri erano cosparsi di cappellette contenenti ingenue pitture sacre, ne erano vessati: una crepitante ragazzaglia traboccava da ogni uscio, assordandomi con le sue grida. Gli opifici sono distrutti, pensavo, gli alleati se ne vanno, turisti non ne arrivano, l’emigrazione è per ora una goccia nella sabbia».
Una Napoli fotografata con l’abito usato, una Napoli che sembra un’immagine sgualcita, stropicciata, consumata dal tempo e dal vento e dal moto incessante delle onde che con fare certosino scavano buche, aprono voragini.
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Giuseppe Marotta diventa, tra queste pagine, un cronista, una voce ferma ed emozionale che con un distacco minimo dagli eventi riesce a raccontarci ciò che vedono i suoi occhi, e prova a farlo con oggettività, prova a farlo senza lasciarsi inquinare dalle sue radici, dai suoi ricordi, dal suo sangue; operazione, però, che non sempre riesce; dentro questo San Gennaro non dice mai no si sentono le radici dello scrittore napoletano, si sente la sua presa di posizione, il suo amore e la sua passione per una terra che per troppo tempo ha dovuto tenere a distanza.
«Su ciascun pianerottolo quando non ci sono i bambini c’è il vecchio Giovanni. Perché dovrei cambiargli nome se è sempre lo stesso vecchio con berretto a visiera dei barcaiuoli e dei vetturini, il quale ha perduto le forze e la memoria, guarda attraverso la gente redini o remi di cui non ricorda più né il calore né l’uso? Inutilmente lo interrogherei, egli non saprebbe dirmi, fra l’altro, perché in certi appartamenti del Pallonetto i vede questa strana cosa: un letto nell’anticamera e poi le stanze vuote, assolutamente vuote».
Marotta, con una scrittura netta e precisa, senza alcun tipo di sbavatura, ci narra frammenti di vite, pezzetti di esistenze spesso costrette ai margini, figure decadenti o pronte alla riscossa; il risultato è un libro bellissimo che ci mostra lo spaccato fondamentale di una Napoli zoppicante, appena uscita dalle macerie, piena di vita e gioia e dolore, dolore antico, dolore di vita.
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Alcuni posti si attaccano addosso come fossero una seconda pelle, ci nasciamo e anche se ce ne andiamo, anche se siamo lontani per anni e ancora anni, continuano a battere come fossero un secondo cuore, dentro il nostro petto che si gonfia di malinconia.
Per la prima foto, copyright: rosario leonardi su Unsplash.
Per la quarta foto, la fonte è qui.
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