Una tragedia burocratica. “La città senza cielo” di Jean Malaquais
La città senza cielo dello scrittore Jean Malaquais, pseudonimo di Wladimir Malacki, edito Cliquot nella traduzione di E. Garieri, è uno di quei romanzi che si accomuna realisticamente ad autori del calibro di Orwell e Kafka: l’opera è interamente improntata su un presente molto attuale, seppur il racconto sia stato elaborato nel 1947.
Un romanzo distopico e, a tratti, premonitore, in cui l’autore descrive una realtà indistinta, fatta di apparenza effimera e incorporea, di luci fluorescenti e palazzoni altissimi.
Protagonista del libro è Pierre Javelin, un uomo che lotta contro una città che lo inghiotte, lo assimila, lo ingloba: un luogo creato solo da blocchi statici di cemento in cui diviene quasi impossibile, addirittura, vedere il cielo. Una realtà fatta da una burocrazia incombente: burocrati, funzionari pubblici. Il protagonista è un rappresentante di prodotti di cosmetica e lozioni di bellezza che viene presentato da Malaquais in una giornata surreale che sarà portatrice di situazioni assurde, al limite del paradosso. Pierre Javelin, improvvisamente, perde tutto quello che possiede, compresa la moglie. Ogni cosa prende il via semplicemente apponendo una firma sbagliata in un modulo amministrativo. Da questa firma, seguiranno per il protagonista una serie di sfortunati eventi, incomprensibili e surreali: arriva a casa, e le chiavi del suo appartamento non corrispondono più alla toppa. In quella che era la sua abitazione, Pierre, trova due uomini russi dai modi grotteschi che affermano di aver sempre vissuto lì: Mr. Bomba e Mrs. Kouka. I due uomini, però, sono sconosciuti a Pierre. Nessuna traccia, invece, di sua moglie Catherine. Chiama la moglie, ma sentirla sempre più in lontananza fino a quasi sparire dall’altro capo del telefono, per l’uomo, segna l’inizio della fine. La sua identità, intanto, sparisce da ogni archivio pubblico, mentre ogni sistema burocratico non lo riconosce più. Gli uffici amministrativi diventano inaccessibili, e l’identità del protagonista si sfuma pian piano.
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Una situazione tragicomica che si tramuta in una vera e propria tragedia burocratica: Pierre, è privo di fare qualsiasi richiesta, persino di un alloggio, poiché, in città, chiunque dovrebbe possedere la propria abitazione. Si sussegue una serie di eventi a catena simbolo calzante di qualsiasi ufficio amministrativo di ogni tempo: non poter richiedere una data documentazione, poiché ne manca un’altra che non può essere presentata senza una terza pratica. Una farsa burocratica che ha dell’inimmaginabile.
Per Pierre, la città diventa un’accozzaglia di gente che spia in ogni dove: i vicini con i binocoli, i discorsi fatti, nulla, persino il silenzio può esimersi dal non essere spiato. Una città che non si spegne mai e che non può celare alcun segreto. Non esiste nessun governo o nessun leader, in questo racconto. La città è la stessa prigione: un territorio fatto da migliaia di piccoli uomini che, in massa, vivono e appartengono a quella realtà, trascorrendo la propria esistenza nelle loro piccole abitazioni tristi ma conformi alla norma sociale. La città sussurra una legge indiretta e non pronunciata. Le folli regole della burocrazia tentano di limitare la parola per arginare qualcosa di più importante: la libertà. Con la libertà limitare il pensiero, la cultura, le idee. Condurre all’assuefazione, punendo la diversità.
I temi su cui ruota il romanzo, quindi, si concentrano prettamente sul distopico, con una burocrazia onnipresente e onnisciente, le cui dietrologie sono mosse in modo misterioso da personaggi altrettanto inquietanti come il funzionario Dottor Babitch.
Lo stile del romanzo scorre in modo quasi geometrico. L’autore descrive la città come un ammasso di grigi parallelepipedi, ma utilizza la geometria anche nelle descrizioni che appartengono ai volti che, nello scorrere delle pagine, il lettore incontrerà: facce geometriche, sopracciglia orizzontali, lenti rettangolari sono solo un esempio di come Malaquais usi la descrizione geometrica per curare la minuzia dei dettagli e dei particolari. Un viaggio irrazionale che si configura nei cittadini che popolano la comunità: individui che tentano in ogni modo di prendere in mano la propria vita, ma il mistero e l’oscurità della città raffigurata da una burocrazia integerrima e dispendiosa tenta con ogni mezzo di appiattire ogni personalità di ogni singolo soggetto. Censura, burocrazia, distruzione dell’individuo e della sua individualità.
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In quest’opera, ci sono molte analogie con 1984 di George Orwell e Il processo di Kafka. Tuttavia, a differenza di questi autori, Malaquais instilla fra le pagine un umorismo sottile, una sorta di ironia appartenente al protagonista che nessun evento riesce a scalfire.
Jean Malaquais nel suo libro La città senza cielo anticipa una realtà moderna: una società che tenta di depersonalizzare l’individuo rendendolo piatto, conforme, sbiadito.
Per la prima foto, copyright: Paulius Dragunas su Unsplash.
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