Una storia vera di fronte alla Storia. “Nero Ananas” di Valerio Aiolli
Nero Ananas di Valerio Aiolli (Voland) è entrato nei dodici libri candidati per il Premio Strega, il cui vincitore sarà annunciato a luglio. Già avvezzo al genere storico-politico, Aiolli esordisce nel 1995 con la raccolta di racconti Male ai Piedi, per continuare con diversi romanzi sullo stesso tema.
Nero Ananas è un volume complesso, difficile da collocare perché è un testo storico e politico, ma anche un noir, un thriller e allo stesso modo un romanzo di formazione, e tutte queste sfumature sono riunite in un solo libro grazie all’abile penna dell’autore.
Di fatto, il testo racconta cinque oscuri anni di storia d’Italia, che partono dagli attacchi terroristici del 12 dicembre 1969, il botto di Piazza Fontana, per arrivare alla strage della Questura di Milano del 1973: un periodo buio, smarrito, disordinato, ricordato anche come gli Anni di Piombo.
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Aiolli romanza la storia vera rendendola verosimile e il risultato è un volume straordinario, non solo una potente riscrittura della complessa situazione sociale di quegli anni, ma un vero romanzo che può essere compreso anche da chi non ricorda i dettagli di quei fatti.
Rimane sempre in bilico tra narrativa e finzione e, se si vuole approfondire o collegare i puntini, è sufficiente eseguire una ricerca sul web per rendersi conto di come l’autore sia riuscito a essere preciso nei particolari e nei tempi, intingendoli nel reale, e cospargendo il suo libro di narrazione, ove è stato necessario collegare eventi e persone, in un periodo difficile, rimasto privo di una verità assoluta.
Da qualsiasi punto di vista lo si legga, e qualunque sia l’approccio di lettura allo stesso, è un volume a cui è difficile trovare dei difetti.
Scritto in maniera impeccabile, non lascia spazio a incertezze o a buchi di trama, e nemmeno si avverte la pesantezza della cronaca, ma ci si tuffa nella storia in maniera verticale, profonda, si volta pagina velocemente, e ogni parola scritta è quella che si vorrebbe leggere, chiara, diretta, depositata in modo magistrale tra il racconto del reale e la finzione narrativa.
L’intreccio è complesso, un disegno che si palesa partendo da pochi tratti, che racconta la storia da punti di vista differenti.
Cinque anni rivelati dai personaggi che hanno fatto gli eventi stessi del post sessantotto, a volte chiamati con il vero nome (Valpreda, Calabresi, Pinelli, Feltrinelli, etc) ma spesso celati da soprannomi.
Il Pio, ad esempio, che prende le redini della Democrazia Cristiana fondata dal Vecchio, fino a diventare Presidente del Consiglio nel periodo in cui scoppia la prima bomba in piazza Fontana.
Un gruppo di estrema destra, formato da il Samurai, Zio Otto, il Dottore, Falstaff, Vincent, il Barba, che vogliono fare fuori il Pio, e si scoprono narrandosi in prima persona, scelta che dona al libro sempre un tono differente, a seconda di chi sta parlando in quel momento.
Un losco anarchico veneziano, altro personaggio senza nome, o meglio, che lo cambia spesso sui suoi documenti fasulli, che entra ed esce di galera, che si adatta a una vita normale per uno scopo più nobile, che vagabonda tra vari stati in attesa di entrare in azione. Infine i servizi segreti, non solo italiani, e i collaboratori occulti (il Professore) che supervisionano gli eventi senza mai sporcarsi le mani.
«Zio Otto ha conosciuto il Samurai qualche anno fa, nella stessa occasione in cui ha conosciuto il Barba. Un giorno viene chiamato da The Captain, che gli chiede di andare a Vittorio Veneto e prendere contatto col Professore, che ha bisogno di un esperto in armi. Il Professore è un camerata anziano. Ufficialmente è il responsabile locale della sezione ex combattenti della Repubblica sociale italiana. Un residuato bellico. Non ha più energie, è più adatto a rileggere i tanti libri impilati ordinatamente sui suoi scaffali che a organizzare attentati. Del resto finge soltanto di organizzarli. Per conto della CIA. Ma chi lavora per lui, chi lavora per conto della CIA, ignora di star preparando attentati finti.»
Che siano chiamati con il loro nome o meno, i personaggi si fondono talmente bene con il testo, costruiscono essi stessi il libro, che è difficile distinguere realtà e finzione, e la storia prende piede in un crescendo che non si può arrestare, che magnifica la scrittura a ogni frase.
Aiolli usa con abilità tutti gli strumenti narrativi per raccontare quell’oscuro lustro di cronaca politica italiana, trattando gli argomenti come fossero un romanzo, unendo vari generi in un suo personale modo di raccontare la realtà che dà al volume una consistenza unica.
Aiolli ha inventato il genere Aiolli.
Un autore che è capace di condensare in poche righe concetti immensi, di cristallizzare l’attimo, e che probabilmente si può permettere di scrivere su qualsiasi argomento.
Nero ananas racconta e intreccia molte storie e il volume si snoda con l’intensità di un incipit continuo,un percorso che si deve compiere e non si può tornare indietro, un labirinto dove diventa imprescindibile trovare la via d’uscita.
«A te che sei nato a Venezia ogni altra città sull’acqua ti sembra banale, brutta. Porto Margheira sulla laguna ti faceva schifo, Bienne sul lago svizzero era insipida.»
Infine, senza mai cadere nel banale, l’autore narra gli eventi anche attraverso gli occhi di un bambino: Calimero, il suo soprannome, è figlio di una famiglia borghese fiorentina, e vede scappare di casa l’amatissima sorella perché in contrasto con le idee politiche del padre.
Le parti dedicate a questo giovane ragazzo, le sue paure, le incertezze, il diventare adolescente in un’Italia, e in una famiglia, alla deriva, sono toccanti e intimamente reali.
«Via! gridò Antonio. Prendemmo a correre come pazzi per certe stradine per non essere inghiottiti dalla nuvola. Loro adesso correvano velocissimi e io facevo fatica a rimanere nella scia dell’ultimo, che era Antonio, che ogni tanto si voltava e mi faceva segno di accelerare, e un paio di volte fui quasi sul punto di fermarmi perché il cuore mi scoppiava o erano i polmoni o le gambe non so, non avevo mai corso così a perdifiato, non pensavo che la paura potesse farti correre in quel modo, più veloce di quanto potessero permetterti le gambe, i polmoni e il cuore, ma riuscii comunque non perderli mai di vista, e a un certo punto ci ritrovammo sul lungomare e saltammo il muretto e affondammo i piedi nella sabbia calda, tutti ci buttammo in acqua così come eravamo, scalciando via solo scarpe o ciabatte, e fu il bagno più bello che avessi mai fatto in vita mia, con gli schizzi e le risate e la testa sotto e i tuffi dalle spalle e i vestiti che era così strano sentire sulla pelle in quel modo. Guardando verso la città vedevamo quelle nuvole bianche che continuavano ad alzarsi e sentivamo le sirene della polizia e delle ambulanze e allora Nicola disse che dovevamo andare ai Sbarri, che ai Sbarri lui aveva degli amici.»
Quando si volta l’ultima pagina del libro, si rimane a riflettere, e si pensa che quella raccontata è la nostra storia, quella italiana, non solo pura fantasia. Un passato reale che ha toccato tutti, anche le vittime innocenti, che l’autore ricorda alla fine del volume, è che è stato restituito al popolo attraverso le parole importanti di questo testo; con la sua trama imponente, con una scrittura eclettica, con un’umanità delicata, attraverso la policromia di tanti sguardi.
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Il risultato è un libro da non lasciarsi sfuggire. Che riporta alla luce gli anni oscuri con una precisione, una veridicità e una tensione narrativa fuori dal comune. Che unisce pezzi di vite sparse, di persone diverse, ricostruendo e andando ben oltre quella che viene, a volte con superficialità, chiamata, Storia.
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