“Una questione privata” di Beppe Fenoglio. La ricerca della verità irraggiungibile
«Avevo già scritto 22 capitoli dei 30 previsti dall’impianto del romanzo e sarei stato in grado di consegnarle il manoscritto “tra non molti giorni”, come Lei scrive. Si trattava di una storia sul tipo Primavera di bellezza, concedente cioè larga parte di sé alla pura rievocazione storica, sia pure ad alto livello. D’improvviso ho mutato idea e linea. Mi saltò in mente una nuova storia, individuale, un intreccio romantico, non già sullo sfondo della guerra civile in Italia, ma nel fitto di detta guerra. Mi appassionò immediatamente e ancora mi appassiona. Mi appassiona infinitamente di più della storia primitiva ed è per questo che non ho fatto troppo sacrificio a cestinare i 22 capitoli già scritti.»
Queste parole indirizzò Beppe Fenoglio, in una lettera del marzo 1960, all’impaziente editore Livio Garzanti. Il romanzo che lo «appassionò immediatamente» ha per titolo Una questione privata. Fu pubblicato tre anni dopo, nel 1963, pochi mesi dopo la morte dell’autore, causata da una grave malattia. Con queste parole entusiaste lo scrittore Italo Calvino salutò l’uscita del romanzo:
«Il libro che la nostra generazione voleva fare adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione privata.»
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In un’Italia allo sbando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, tra le Langhe, sempre più avvolte dalla nebbia, dalla pioggia e dal fango, si muove il giovane partigiano badogliano Milton. La guerra, la fine della quale sembra essere sempre più lontana, lo sta lentamente logorando assieme ai suoi compagni
«– E invece? Invece quando sarà finita? Quando potremo dire fi-ni-ta?
– Maggio.
– Maggio!?
– Ecco perché ho detto che l’inverno durerà sei mesi.
– Maggio, – ripeté la donna a se stessa. – Certo che è terribilmente lontano, ma almeno, detto da un ragazzo serio e istruito come te, è un termine. È solo di un termine che ha bisogno la povera gente.»
Qualcosa di inaspettato però sconvolge Milton – tanto da fargli dimenticare del tutto la guerra che è stato chiamato a combattere –, una «questione privata» che getta il suo animo nell’inquietudine più frenetica e che dà il via al suo incessante peregrinare tra le insidiose colline piemontesi. Durante un’ispezione ad Alba, il giovane partigiano decide per pochi minuti di entrare in una villa che conosce molto bene: là infatti, tempo prima dell’orrore della guerra e della Resistenza, era solito fare visita alla frivola Fulvia, da lui tanto amata. La ragazza ora è a Torino, a guardia dell’edificio c’è una vecchia domestica con la quale Milton si intrattiene, ricordano i tempi andati. Durante la conversazione il partigiano scopre che:
«– Con Giorgio Clerici invece…
– Sì, – fece lui con la lingua secca.
– Ultimamente, l’ultima estate voglio dire, l’estate del ’43, lei era soldato, mi sembra.
– Sì.
– Ultimamente veniva troppo spesso, e quasi sempre di notte. A me francamente quelle ore non piacevano. […]. Loro due non li sentivo mai parlare. Io origliavo, non ho nessuna vergogna a dirlo, origliavo per dovere. Ma c’era sempre un silenzio, quasi non ci fossero.»
Giorgio Clericiè l’affascinante amico di Milton e di Fulvia. Non appena il partigiano scopre che, molto probabilmente, tra Fulvia e Giorgio ci sia stata una relazione amorosa, che potrebbe durare tuttora, subito piomba in uno stato di atroce sconforto. Il dubbio lo dilania e per questo motivo prende la decisione di voler conoscere la verità a ogni costo.
Comincia allora il suo viaggio dantesco verso la verità ma, purtroppo, questo pellegrinaggio non avrà mai una fine eil dubbio non sarà mai sciolto: Milton non saprà mai.
Il suo peregrinare assume particolari contorni metafisici: lo sbandato partigiano Milton è l’immagine di un’umanità perduta che si consuma nella stremante ricerca della verità assoluta, la sola che potrebbe placare l’angoscia del dubbio che non dona un attimo di requie. Questa verità assoluta però, per Beppe Fenoglio, non è facile da raggiungere. Il percorso che segue Milton è pieno di pericoli, di ostacoli e di imprevisti: il cammino per la verità è sempre difficile.
«– Milton! – gridò Frank correndo giù. – Milton! – rigridò frenando coi tacchi sul selciato sconnesso.
– Vero, Frank, che hanno preso Giorgio?
– Chi te ne ha già parlato?
– Nessuno. Me lo sono sentito. Come si è saputo?»
Milton raggiunge il campo partigiano dove è dislocato Giorgio per sapere cosa c’è stato tra lui e Fulvia ma il giovane Clerici è stato catturato dai fascisti ed è stato condotto prigioniero nella città di Alba. Il primo ostacolo che incontra il tormentato Milton. L’unica soluzione possibile sarebbe uno scambio di prigionieri ma nei vari reggimenti – il partigiano chiede aiuto anche alle Stelle Rosse – non sono presenti fascisti da poter scambiare con Giorgio. Il secondo ostacolo nella ricerca. Una possibile soluzione gliela suggerisce in seguito un’anziana signora.
«– È che io posso darti il filo per il fascista che cerchi.
Milton posò il sandwich sull’orlo del contenitore. – Intendiamoci. Io cerco un soldato, non un fascista borghese.
– E io ti segnalo un soldato. Un sergente.»
L’odissea del partigiano sembra finita quando riesce a fare prigioniero il sergente Alarico, mentre questi si sta recando in casa della sua amante. Nonostante Milton lo rassicuri in tutti i modi possibili, dichiarando fin da principio che non lo avrebbe ucciso per poterlo scambiare con Giorgio, Alarico non gli crede e per questo si suicida gettandosi in un dirupo. Il terzo ostacolo che cerca di impedirgli di raggiungere la verità assoluta.
Il romanzo di Beppe Fenoglio sfonda i limiti imposti dall’evento storico, che fa da cornice al viaggio di Milton, per acquisire una portata universale perché racconta una condizione che accomuna l’essere umano di ogni tempo, del passato e del presente: l’impossibilità di conquistare la verità. Il partigiano Milton è roso dal dubbio che lo debilita psicologicamente e fisicamente: la ricerca lo consuma.
«Stava male, in particolare gli dolevano i polmoni, pareva che si sfregassero l’uno contro l’altro con punte fattesi da cartilagine di metallo, e gli davano senso e sofferenza. Ad ogni passo gli cresceva dentro una sensazione di totale debolezza e miserabilità.»
Il giovane ricorda tanto la Maddalena penitente dello scultore Donatello: anche ella si strugge e si deperisce per raggiungere la verità; ma, mentre la Maddalena riesce dopo molte sofferenze ad arrivare a destinazione, Milton è condannato all’ignoranza della “selva oscura”.
Ed è proprio nella selva che si conclude bruscamente il pellegrinaggio di Milton. Alla fine decide di ritornare alla villa per riparlare alla vecchia governante, per farle raccontare di nuovo ciò che sa su Fulvia e Giorgio ma, mentre sta per avvicinarsi all’edificio, si ritrova circondato dai fascisti ed è per questo motivo che scappa per salvarsi la vita.
«Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi, questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò.»
Che fine fa Milton? E Giorgio? E Fulvia? Il romanzo ha un finale aperto che lascia al lettore l’amaro in bocca perché tutte le domande del partigiano non avranno mai una risposta. La ricerca della verità assoluta non conclude affatto maprosegue all’infinito.
Il cinismo di Beppe Fenoglio diventa ancora più cupo nel dodicesimo capitolo. La penna si stacca per un attimo da Milton per concentrarsi sulla triste vicenda di Riccio e Bellini. Con questo capitolo Fenoglio volle dare un quadro a tutto tondo della Resistenza, mostrando anche il suo lato più tragico e sanguinolento; ma il lettore può dare anche un’altra interpretazione coerente con il discorso fino a qui portato.
La verità assoluta è irraggiungibile, di conseguenza ognuno può interpretare la realtà a modo suo, quando questo accade facilmente l’essere umano scambia la menzogna per verità; una volta abbracciato il falso, questo può portare ad azioni atroci.
Quando i fascisti ritrovano il cadavere del sergente Alarico, non sapendo che questi in realtà si è suicidato, pensano subito che sia stato ucciso dai nemici e per questo motivo decidono di vendicarsi uccidendo Riccio e Bellini, un tempo staffette per i partigiani ed ora passati al servizio dei fascisti.
«– E allora? Perché mi ammazzate? – Due lacrime gli erano spuntate agli angoli degli occhi e, senza scrollarsi, stavano crescendo smisuratamente. – Io ho solo quattordici anni. Voi lo sapete che io ho solamente quattordici anni, e ne dovete tener conto.»
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Una questione privata non è quindi solo un romanzo che testimonia i crudi eventi della Resistenza; non è solo un memoriale nel quale l’autore riporta eventi da lui vissuti, sebbene li lavori e li assembri con l’immaginazione e la fantasia. Una questione privata è anche un romanzo picaresco e psicologico, perché narra l’odissea, vissuta pure internamente, dal partigiano Milton; è altresì un racconto metafisico che riflette sulla condizione esistenziale dell’essere umano: tormentato nella sua ricerca della parola che «mondi possa aprire», sbandato, perso, smarrito in una realtà sempre più frantumata e labirintica.
Maggio sembra essere ancora molto lontano.
«Da stasera voglio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per la strada. La gioventù potrà ballare all’aperto, le donne giovani resteranno incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sulla nostra aia senza la paura di trovarci un forestiero armato. E a maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e per tutto divertimento guardarci e goderci l’illuminazione dei paesi.»
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