“Una gloria incerta – L’India e le sue contraddizioni” di Amartya Sen e Jean Dréze
È una gloria incerta quella cui sta andando incontro l’India? Se lo domandano Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia nel 1998 e il belga Jean Dréze, docente della London School of Economics, ma da anni residente in India. Una gloria incerta, questo il titolo del volume pubblicato in Italia da Mondadori nella traduzione di Tullio Cannillo, affronta il tema del boom economico dell'India degli ultimi anni e lo fa con lucidità e senza indulgere a sconti di alcun genere.
Può l’economia indiana procedere a passi da gigante e diventare definitivamente stabile? Questo colosso mondiale sta, forse, bruciando le tappe, senza risolvere gli annosi problemi che lo contraddistinguono? Possiamo partire da questi quesiti, che già potrebbero caratterizzare a priori una conversazione ad hoc sull’argomento, per comprendere questo nuovo libro scritto a quattro mani. Perché se l’India si sta emancipando dalla povertà, deve fare ancora i conti (salati) sul piano della mancanza di attenzione ai bisogni essenziali della gente, specialmente dei poveri e delle donne. Dunque, una gloria che deve dirsi incerta a causa delle sue profonde e irrisolte contraddizioni.
«Oh, come questa primavera d’amore somiglia all’incerta gloria d’un giorno d’aprile» si legge nell’opera shakespeariana Due Gentiluomini di Verona e forse mai citazione fu più azzeccata di questa per descrivere il panorama attuale di incertezza, fatto di «nubi cupe e rovesci torrenziali già in atto». L’analisi storica di Sen e Dréze fa da puntuale contrafforte a quella sociale ed economica, mettendo in luce cose che forse, anzi quasi sicuramente, sfuggono a qualsiasi occidentale che non abbia a che fare quotidianamente con questo mondo popolato da un miliardo di persone.
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Del resto, lo stesso Sen aveva dichiarato proprio a Sul Romanzo, nel corso di un incontro pubblico a Lucca, che nutriva qualche perplessità sui Paesi cosiddetti BRICS, ovvero le cinque economie emergenti Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Troppo deboli, a suo giudizio, troppo fragili. E se è vero che l’India ha dovuto riscattarsi da 200 anni di dominazione britannica, è lungo l’elenco degli elementi di un programma ancora inattuato, così come è lungo l’elenco delle “storture”, se così si possono chiamare, come la malnutrizione infantile o l’efferatezza degli stupri sulle donne che sono balzati agli onori (e agli orrori) della cronaca degli ultimi mesi.
Distribuzione del reddito iniqua (primato condiviso con la Cina), carenza dei servizi sociali essenziali (scuola, assistenza sanitaria, fornitura acqua potabile, fognature tanto per dirne alcuni): ecco che cosa sta dentro a questa forbice. Come se l’India, paladina dei diritti durante la lotta per la conquista dell’indipendenza, avesse dimenticato queste istanze. Integrare crescita e sviluppo è un obiettivo indispensabile secondo i due autori, sul quale ritornano in più momenti del libro, soprattutto pensando a quelle fasce di popolazione negli Stati più poveri dell’immenso continente indiano: «Centinaia di migliaia di persone – si legge, insieme a dati e tabelle che supportano puntualmente tale analisi – rimangono ancora prive dei requisiti essenziali per una vita soddisfacente […]. Probabilmente la crescita da sola non è in grado di porre fine a questi problemi». L’India, con i suoi problemi e le sue contraddizioni è solo in apparenza lontana da quella europea; anzi, invece, ripropone riverberi anche alle nostre latitudini. Ma se in Asia la gloria può definirsi incerta, come sostengono Amartya Sen e Jean Dréze, in Europa è più che mai appannata.
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