Un volto inedito di Michelangelo. Intervista a Matteo Strukul
Michelangelo alle prese con una riflessione profonda circa il suo rapporto con Dio e la fede. Questo è il protagonista di Inquisizione Michelangelo, l’ultimo romanzo di Matteo Strukul da pochi giorni pubblicato da Newton Compton.
Un romanzo che è non solo un incontro con uno dei nostri più grandi artisti, ma un inno al Rinascimento che, insieme al Settecento veneziano, è uno dei periodi storici con i quali Strukul ama rapportarsi, ricorrendo a personaggi sempre di grande carisma e che sono in grado di appassionare molti lettori.
Proprio da questo siamo partiti per la nostra chiacchierata con Matteo Strukul.
Dai Medici a Michelangelo, passando attraverso Casanova, sembra che lei sia molto attento al tema del potere, da quello politico alla seduzione fino a quello dell’arte. Cosa l’affascina rispetto a quest’argomento e perché ritiene sia importante parlarne?
In verità ho scelto questi personaggi poiché volevo, attraverso il romanzo, raccontare la grande eredità di Storia, Arte, Cultura e Bellezza dell’Italia. Ho avuto la fortuna di nascere in questo Paese che è culla della civiltà. Scrivere dei Medici, di Michelangelo e Casanova rappresenta il mio modo di esprimere la gratitudine per un simile privilegio: essere nato in Italia. Troppe volte diamo per scontata la magnificenza di quello che ci circonda: la Venezia del Settecento, la Firenze rinascimentale, la Roma dei Papi sono attorno e dentro ognuno di noi ma siamo talmente abituati ad averle davanti agli occhi che, troppo spesso, ci dimentichiamo di celebrarle e proteggerle. Ecco, questi romanzi sono il mio modo di parlare ai lettori e di condividere con loro la riscoperta della meraviglia, dello stupore, del fascino assoluto.

Dopo la parentesi di Casanova, ritorna a occuparsi del Rinascimento. C’è qualcosa di questo periodo storico che l’attrae particolarmente?
Qualcosa? Direi tutto. A cominciare dalle personalità che lo caratterizzarono: Filippo Brunelleschi, Lorenzo il Magnifico, Michelangelo, Leonardo, Donatello, Raffaello, Sandro Botticelli, Marsilio Ficino, Francesco Sforza, Bramante, Lucrezia Borgia, Vittoria Colonna, Niccolò Machiavelli. Mi fermo qui. La nascita di Venere, L’ultima cena, gli affreschi della volta della Sistina, la cupola di Santa Maria del Fiore sono capolavori dell’arte e della bellezza che tutto il mondo, a ragione, ci invidia. E poi lo studio e la rilettura della filosofia a opera dell’Accademia Neoplatonica, la stampa a caratteri mobili, la scoperta dell’America, la rivoluzione copernicana, la nascita dell’anatomia grazie a Leonardo e Andrea van Wesel. Francamente, è quasi impossibile trovare qualcosa che non mi attrae.
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Per parlare di Michelangelo ha scelto un intervallo temporale molto circoscritto che va dal 1542 al 1547. Per quale motivo ha deciso di concentrarsi proprio su quegli anni?
Perché sono gli anni in cui Michelangelo, complice l’amicizia con Vittoria Colonna, aderisce all’Ecclesia Viterbiensis di Reginald Pole, nota altresì come setta degli Spirituali. Questo periodo, durante il quale papa Paolo III istituisce il Sant’Uffizio o Inquisizione romana, mi permetteva di raccontare un Michelangelo inedito. Lui, da sempre considerato l’artista campione della cristianità, si ritrova a sessantasette anni a riflettere sul proprio rapporto con Dio e la fede, reimpostandolo in una visione profondamente essenziale e spirituale, una visione che potrebbe costargli perfino la vita. Questa è la chiave di volta del romanzo, un’interpretazione che trova il proprio fondamento in una delle più autorevoli tesi proposte dalla critica dell’arte. Cito in proposito colui che ho eletto a mio duca, almeno a livello ideale: Antonio Forcellino, restauratore della tomba di Giulio II e fra le massime autorità in materia.

Che idea si è fatto di Michelangelo durante le ricerche preliminari e nella fase di scrittura del libro?
Era un artista dal talento sovrumano: severo, draconiano, perfezionista, completamente votato all’arte. Un uomo dai tormenti profondi, ossessionato dall’amore per il marmo e la pietra, capace di consegnarci capolavori come Il giudizio universale, gli affreschi della volta della Cappella Sistina, il David, la Pietà, solo per citare i primi che mi vengono in mente.
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Se dovesse presentare Michelangelo a uno studente di scuola superiore, cosa gli direbbe?
Michelangelo è stato uno dei più grandi artisti della Storia. Era un gigante, un eroe, un uomo che a settant’anni cavalcava da Roma fino alle Alpi Apuane per scegliersi personalmente i blocchi di marmo e sbozzarli nelle cave. Attraversava boschi e crode selvagge, non aveva paura di nessuno, guardava dall’alto in basso papi e re ed era in grado di concepire la meraviglia, dominando i segreti di luce, ombre e colori.
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A proposito di scuola superiore e di storia, è recente la polemica sorta a seguito dell’eliminazione della traccia storica dalla prova scritta di italiano ai prossimi esami di maturità. Molti la ritengono una scelta avventata, mentre per altri rappresenta la presa d’atto del fatto che la maggior parte degli studenti non è in grado di rispondere a quel tipo di tema. Quali sono secondo lei i rischi insiti in questo cambiamento? E quali conseguenze potrebbe avere nella formazione degli studenti?
Stiamo smarrendo la nostra eredità, le nostre radici, l’identità culturale che ci rende italiani. Non v’è nulla di più triste, amaro. Così perdiamo noi stessi e non ce ne rendiamo conto. La crisi non è economica ma culturale: sta nella nostra incapacità di comprendere cosa davvero può offrire l’Italia al mondo. Nel voler rincorrere gli altri non sappiamo più chi siamo e non capiamo che è attraverso l’arte e la cultura che potremmo tornare al centro, esattamente come accadde nel Rinascimento o durante il Settecento veneziano.

Grazie a lei e a pochi altri autori, il romanzo storico sembra vivere una bella stagione in Italia, richiamando l’attenzione di molti lettori. Quali potrebbero essere le ragioni di questa situazione?
C’è grande fame di queste storie. Per troppo tempo, a mio parere, abbiamo rinunciato a raccontare in grande. Come romanzieri intendo. Magari lasciando che personaggi come Leonardo o Dante fossero facile preda di autori stranieri. È stato un errore strategico. Eppure i lettori ci chiedevano disperatamente proprio queste storie. I successi di autori come Ken Follett e Dan Brown lo dimostrano in modo inequivocabile e anche, in modo completamente diverso, i trionfi di Umberto Eco e Sebastiano Vassalli. Io credo che i lettori italiani ed esteri amino profondamente l’idea di imparare da un romanzo, di poter rivivere un’epoca perduta, di essere scaraventati in una grande avventura rinascimentale, medievale o settecentesca. Semplicemente, per molto tempo, per paura di rischiare forse, editori e romanzieri si sono guardati bene dal proporre il romanzo storico, con l’unica formidabile eccezione di Valerio Massimo Manfredi. Newton Compton ha sempre avuto una tradizione straordinaria in questo tipo di letteratura. Valga per tutti il nome di Marcello Simoni. Ora, invece, si sta affermando una tendenza che credo abbiamo contribuito a creare. Ed è una grande soddisfazione.
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