Un viaggio tra thriller e fantasy. “Luce” di Osvaldo Vernero
Un thriller che è anche un fantasy con una ragazza dotata di poteri paranormali al centro di un intrigo molto più grande di lei ordito da società segrete per il controllo proprio di queste giovani donne. Il tutto ambientato in una Torino attraversata da assassini di fatto e presunti, un mercenario pronto a qualsiasi cosa e una poliziotta alle prese con un grave mistero da risolvere.
Sono questi gli ingredienti di Luce, secondo romanzo di Osvaldo Vernero edito da Parallelo45. Ma Luce, che è pure il nome della protagonista, diventa anche una riflessione sul talento, sul confronto tra la nuova generazione e quella precedente, tra chi usa il proprio potere a fin di bene e chi invece finisce immerso in u continuo flusso di livore per il mondo.
Di questo abbiamo parlato con Osvaldo Vernero nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
Come nel precedente romanzo, Ti vedo, anche in Luce racconta di una giovane donna “speciale” (sebbene parliamo di caratteristiche diverse). C’è qualche ragione particolare che la spinge a indagare questa particolare condizione/situazione?
Adoro le storie in cui il personaggio principale è femminile e mi piacciono le narrazioni che aggiungono qualcosa di “speciale” alla realtà. Amo i romanzi gialli nei quali il protagonista è guidato da una specie di sesto senso o comunque dotato di un’intelligenza non comune, i romanzi di fantascienza in cui il protagonista ha capacità fuori dall’ordinario e nei fantasy preferisco i personaggi con facoltà eccezionali; amo i libri cha sanno sorprendere, che hanno qualcosa di imprevedibile o inatteso. Insomma, scrivo il genere di romanzi che amo leggere.
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Da un lato abbiamo Luce, che sta scoprendo di possedere nuovi poteri, dall’altro Amanda, che tali poteri invece li sta perdendo. Si nasconde una metafora della vita in questa sorta di contrapposizione?
In realtà non amo le metafore. Quando scrivo non mi pongo alcun obbiettivo, se non quello di seguire la trama ovunque mi porti. Non cerco di comunicare un qualche tipo di messaggio. Seguo la storia, che deve essere, pur nella finzione, verosimile e in questo percorso spesso mi trovo ad affrontare aspetti che inevitabilmente hanno riferimenti con il quotidiano. In ogni caso mi fa piacere se quello che scrivo offre spunti di riflessione. Amanda, nel romanzo, è la figura che si contrappone a Luce. È un personaggio negativo, pieno di rancore e di invidia. Sono queste le caratteristiche su cui mi sono concentrato. Il fatto che stia perdendo il suo potere è solo un elemento che accresce il suo risentimento. Un rancore che in realtà non è diretto verso Luce in particolare ma verso il mondo stesso.
Nel libro si racconta anche di società segrete che tramano per controllare le ragazzine come Luce e i loro poteri. Cosa pensa del periodico riaffermarsi del complottismo?
Il romanzo si basa su una realtà storica ampiamente documentata, quella dello sfruttamento delle capacità psichiche in ambito militare. Personalmente amo le teorie del complotto quando sono elemento di conversazione leggera e a quello si limitano; non bisogna prenderle troppo sul serio. La realtà è spesso molto più semplice o molto più complessa di quello che si riesce a immaginare.
Nel libro si parla di poteri soprannaturali, ma cos’è il talento per Osvaldo Vernero? E quanto può essere importante riconoscerlo e coltivarlo fin da adolescenti?
Trovo stupendo che nella scuola di oggi si parli di scoprire e incentivare le attitudini dei ragazzi. “Attitudine” è una parola magnifica. Mi piace immaginare una società nella quale ogni persona possa sviluppare il proprio talento e la propria passione.
Luceè insieme un thriller e un fantasy. Cosa comporta fondere insieme due generi?
Mi piace il fatto di poter scrivere liberamente, senza dover sottostare a un genere specifico. Questo però complica le cose quando diventa necessario, in fase di pubblicazione, collocare il libro in una singola categoria. Esistono casi famosi di romanzi, divenuti poi dei best seller, che pubblicati nella categoria sbagliata erano stati inizialmente considerati dei fiaschi clamorosi.
Quali sono gli scrittori che hanno maggiormente inciso sulla sua scrittura?
Leggo molto e leggo romanzi di qualsiasi genere, quindi l’elenco degli scrittori che mi hanno influenzato è molto lungo. Ci sono scrittori che invidio per la loro abilità o per la loro cultura; quando leggi Italo Calvino, non solo i suoi romanzi, ma i saggi e le interviste, ti rendi conto che è impossibile confrontarsi con una persona di quella levatura. Stessa cosa quando ti accosti ai mostri sacri della letteratura italiana: Pirandello, Montale, Morante, Verga. Esistono però dei romanzi che ti rimangono nel cuore e che segnano una svolta nella tua vita. Per me sono stati, nell’ordine: Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, Siddharta di Hermann Hesse, L'azteco di Gary Jennings, La concessione del telefono di Andrea Camilleri, L'esclusa di Pirandello e Un lavoro sporco di Christopher Moore.
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Lei è passato dal self publishing alla pubblicazione con un editore. Com’è stato questo passaggio? E che riverberi ha avuto sulla qualità della sua scrittura?
Scrivere il mio primo romanzo, Ti vedo, è stato il coronamento di un sogno. Desideravo pubblicare il mio libro e ho sfruttato uno strumento potentissimo che è l’auto-pubblicazione. In breve tempo ho preparato l’ebook, impaginato il volume per la stampa e dopo qualche giorno ho visto il mio romanzo nelle librerie on-line. È stato tutto molto emozionante e sono contento di aver fatto questa esperienza.
Con il secondo romanzo però volevo qualcosa di più. Desideravo potermi confrontare con un editore che credesse tanto nel mio lavoro da pubblicare il mio romanzo. È un’emozione davvero molto forte. Si sente in qualche modo di fare parte di una famiglia e mi ha dato una motivazione aggiuntiva per continuare a scrivere.
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Per la prima foto, copyright: Almos Bechtold.
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