Un viaggio nella letteratura italiana del Novecento
Nel saggio Secolo che ci squarti... secolo che c'incanti. Studi sulla tradizione del moderno (Salerno Editrice, 2019) Antonio Saccone, professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università Federico II di Napoli,prende in esame alcuni aspetti importanti della letteratura italiana del Novecento, soffermandosi soprattutto sul periodo della Grande Guerra, delle avanguardie letterarie e del rapporto che molti autori considerati di rottura, come Ungaretti o Palazzeschi, hanno avuto con i classici del passato. Ogni capitolo presenta un aspetto particolare della nostra letteratura recente, dalla napoletanità di Eduardo De Filippo, vista dai suoi conterranei Rea e La Capria, a Sciascia detective che analizza la scomparsa di Majorana, dal dibattito a più voci sull'attualità o meno della poesia di Dante al rapporto tra scienza e letteratura impersonato da Primo Levi, in un viaggio molto personale all’interno di un secolo estremamente complesso, e non certo solo dal punto di vista letterario.
Antonio Saccone ha gentilmente risposto a qualche domanda sul suo libro.
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Condensare la letteratura italiana del Novecento in un saggio relativamente breve sarebbe stato impossibile. Qual è stato il criterio che ha guidato la sua scelta di parlare di determinati autori e opere piuttosto che di altri?
Certamente sarebbe stato impossibile e anche non auspicabile condensare la letteratura italiana del Novecento in un saggio di trecento pagine. D’altronde il mio libro non è un manuale di storiografia letteraria. Ha l’ambizione (mi auguro riuscita) di allestire una prospettiva critica coerente e organica, disegnata sulla trama mossa e problematica della modernità novecentesca e del suo costituirsi come tradizione. A tal fine ho privilegiato la stagione della Grande Guerra, l’incrocio tra letteratura e scienza, la fusione tra le arti, le nuove percezioni dello spazio e del tempo, il modo in cui significativi scrittori, commentando “classici” prossimi e remoti, interrogano se stessi e la loro opera. Il sottotitolo “La tradizione del moderno” indica un’esperienza (apparentemente) contraddittoria, esprimendo nello stesso tempo una tradizione che si auto rinnega come tale sfociando nella modernità e una modernità che si modella come tradizione.
C'è qualche autore importante che, a libro pubblicato, rimpiange di non aver inserito in questo volume?
Forse avrei potuto dare più spazio a Pirandello e al suo rapporto con il cinema, muto e sonoro. Ne ho parlato solo tangenzialmente in un confronto con i futuristi, con il modo diverso in cui Marinetti e i suoi sodali intendono la nuova dimensione espressiva del linguaggio filmico. Comunque sul rapporto Pirandello-cinema tra poco uscirà un mio saggio in un libro collettivo dedicato al grande scrittore siciliano.
Nel suo saggio il futurismo occupa uno spazio abbastanza ampio rispetto ad altri argomenti. Questo movimento è stato completamente riabilitato dalla critica oppure soffre ancora di quel legame con il fascismo che ha causato la sua messa in ombra per molti anni?
Il futurismo è da parecchi decenni oggetto di studio serio e approfondito. Nell’immediato dopoguerra ci fu una sorta di ostracismo nei confronti delle idee e delle realizzazioni futuriste a causa della collusione con il fascismo, a cui il movimento aveva prestato alcune delle sue parole d’ordine. Tuttavia il lavoro critico non è un tribunale. Ci sono stati grandi scrittori (Celine, Pound, Ungaretti, Pirandello ed altri) che sono stati ammiratori del fascismo ma le cui opere sono certamente straordinarie. Nell’ambito del futurismo alcuni quadri tematizzati sull’interventismo sono tra i più mirabili del Novecento. Che dire? Forse l’arte è politicamente ed eticamente scorretta.
Il capitolo su Primo Levi è molto interessante nel suo toccare un argomento su cui si discute da sempre, quello di una presunta divaricazione tra pensiero scientifico e pensiero umanistico, divaricazione che proprio la biografia di Levi smentisce: perché quest'idea di un contrasto perenne tra scienza e letteratura è così dura a morire?
Non mi pare che sia dura a morire quell’idea. Proprio in occasione del centesimo anniversario della nascita di Primo Levi e del centocinquantesimo anniversario dell’ideazione della tavola di Mendeleev quest’anno ci saranno molte iniziative per celebrare congiunti quei due anniversari. Levi
sottolineò la bellezza della tavola periodica, sostenendo: «era una poesia più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime». Nel mio libro, nell’analizzare gli incroci tra le ‘due culture’, oltre al racconto della chimica ideato da Primo Levi nel Sistema periodico (libro meno letto del celeberrimo Se questo è un uomo ma non meno significativo), prendo in esame anche il modello inventivo delle scienze cosiddette ‘esatte’ a cui fa ricorso Italo Calvino per rinnovare le risorse del linguaggio letterario, l’investigazione narrativa di Leonardo Sciascia, incentrata sulla scomparsa dello scienziato Ettore Majorana e sui grandi interrogativi posti dagli sviluppi inaggirabili della fisica moderna, nonché le feconde intersezioni tra sapere scientifico e sapere umanistico istituite dal poeta Mario Luzi.
A proposito del titolo che ha scelto per questo volume: cosa la squarta e cosa la incanta di più del Novecento letterario italiano?
Per il titolo ho utilizzato una frase con la quale Ungaretti, in una lettera a De Robertis, si confrontava con le sconquassanti e insieme seducenti novità del presente, con le sue trasformazioni tragiche e al contempo inebrianti. Mario Luzi parlerà di «conquiste altissime» e «abissi spaventosi». Mi è sembrata produttiva quella citazione come insegna per illuminare alcuni snodi cruciali della tradizione del moderno quale si è venuta configurando nel Novecento italiano.
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Come immagina la letteratura del ventunesimo secolo? Sarà ancora così ricca e vitale come quella del secolo precedente?
Quello che ha offerto finora la letteratura del ventunesimo secolo (almeno quella italiana), anche quella di pregevole fattura, che non parla solo al proprio ombelico, non mi pare sia all’altezza di quella del secolo scorso. Eppure le situazioni cognitive, percettive, i nuovi strumenti tecnologici, lo sviluppo pervasivo della realtà virtuale, l’intelligenza artificiale, l’incremento della dimensione robotica offerti dalla attuale certo più complessa modernità, come la si voglia definire postmoderna, tardo moderna, liquida, potrebbero stimolare rappresentazioni all’altezza delle nuove esperienze. Ci vorrebbero inediti strumenti concettuali, risorse espressive rinnovate che almeno per ora non si intravedono e che permetterebbero di dare, come è stato nel Novecento, un illuminante sguardo sul mondo. Ma io sono fiducioso, proprio perché credo che il bisogno di narrare il mondo con uno sguardo acuto e penetrante non tramonterà neanche con l’uomo del tutto bionico.
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