Un viaggio iniziatico donchisciottesco. “Randagi” di Marco Amerighi
Marco Amerighi – traduttore, editor e ghostwriter – dopo aver vinto il Premio Bagutta opera prima con Le nostre ore contate è tornato in libreria col suo secondo romanzo, Randagi, pubblicato da Bollati Boringhieri, nel quale rappresenta i nati negli Settanta/Ottanta del secolo scorso.
In tempi recenti è capitato spesso di vedere romanzi di formazione, comprese le narrazioni cinematografiche. Il successo della serie tv del fumettista Zerocalcare dimostra quanto sia una tematica sentita. Sempre per stare nella narrativa contemporanea, Mario Desiati ha parlato, sempre in epoca molto recente, di una generazione alla ricerca di punti di riferimento, col termine “Spatriati”.
Anche se, bisogna dire subito, nel caso in esame ora il termine “formazione” non è esaustivo. Nel senso che risulta difficile incasellarlo e forse non è neanche giusto, come non è giusto incasellare, o almeno per forza, un qualsiasi romanzo. Ancora, l’aggettivo riportato nel titolo, così selvaggio, è anch’esso comprensivo di tante cose.
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La storia infatti ha un esordio da saga familiare, prosegue con tematiche di formazione ma ha una struttura da romanzo in movimento, come il viaggio o l’avventura. Un viaggio iniziatico donchisciottesco, oltre al fatto che viene rappresentata molta Spagna in vari aspetti.
La dinastia è quella pisana dei Benati e le vicende sono ambientate in un periodo che attraversa il Novecento fino ai primi anni Duemila, i cui componenti maschili hanno una particolarità, un gene che li porta a dileguarsi in circostanze ambigue per poi ricomparire in circostanze altrettanto ambigue.
Il nonno Furio scompare nel 1936 nella battaglia di Gunu Gadu, in Etiopia, per poi annunciare il ritorno con un telegramma da cui emerge che di mezzo non vi era solo un ferimento di guerra ma addirittura una vita parallela a quella toscana.
La seconda scomparsa è del figlio Berto, affarista e ancora più strano viste le circostanze in cui si assenta per un periodo di quattro settimane, per ritornare come se niente fosse con un dito in meno della mano destra, il mignolo, e da quel momento viene chiamato il Mutilo.
Quando entra in gioco la terza generazione il romanzo cambia registro svelandosi in modo più definitivo e abbandonando quello che sembra solo un espediente narrativo. Si tratta dei due nipoti/figli: il maggiore Tommaso – di cui è esplicitata la data di nascita per ragioni che qua non sveliamo: il 1974 – e Pietro, più giovane di circa un quinquennio – vero protagonista del romanzo –, ed è qui rappresentato fino ai suoi ventotto anni. I fratelli, uniti da un rapporto molto intenso, sono però diversi fra loro. Mentre il primo rientra in quella categoria di eccezionalità dei capostipiti ed eccelle in tutto quello che fa, il secondo i suoi talenti li insegue. Che sia quello musicale – Pietro crede all’inizio di essere un talentuoso chitarrista grazie alla visione di «un enorme condor nero con le pupille in fiamme che gli aveva volato in cerchio sopra la testa, prima di andarsi a posare solennemente su una chitarra elettrica» –, lo studio, la cui scelta ricade sugli studi umanistici, o che sia lo sport.
Il suo destino è già segnato o può far qualcosa per cambiare direzione? Questo è il punto di domanda focale di Randagi.
«Non hai mai l'impressione che sia tutto scritto e che l'unica cosa che ci resta da fare sia avanzare sui binari che qualcun altro ha costruito per noi? A me capita così spesso che certe volte non capisco se sono io a vivere la mia vita o qualcun altro».
L’unico personaggio femminile della famiglia Benati è la madre di Pietro e Tommaso, Tiziana, affetta da ipocondria, che si dimostra, come in un controsenso, coraggiosa. Infatti, nonostante le scomparse, lei è quella che rimane, che è statica mentre gli altri al contrario non lo sono.
Quanto Tommaso (che Pietro chiama T.) parte oltre oceano non sarà facile per Pietro affrontare la nuova situazione. Si sente spaesato, impaurito perché il fratello è l’unico che crede in lui, che lo ha spronato quando lo vedeva fermo, chiuso nella sua stanza, incapace di reagire ai fallimenti.
T. per Pietro c’è e rimane una presenza fissa nonostante la lontananza, agevolati dalla tecnologia; un fitto scambio di e-mail infatti sembra legarli ancora di più arrivando a confidarsi su aspetti che prima, di persona, non erano riusciti a fare.
Pietro tenta la risalita e si butta a capofitto nello studio e quando va a Madrid grazie al progetto Erasmus si confronta per la prima volta con il mondo fuori del proprio. In particolare fa amicizia con Laurent e Dora e le loro esperienze sono speculari alle sue.
Laurent, surfista professionista fermato pure lui ma dalla sfortuna di un incidente, che ha una famiglia opposta a quella di Pietro essendo amorevole e, in generale, felice. Dora anche lei con esperienze di scomparsa in famiglia – una morte precoce del padre – che mostra però un altro tipo di atteggiamento verso la vita. Si forma un vero e proprio triangolo di amicizie che vive e si nutre della mancata perfezione.
Sullo sfondo alcuni tra i fatti più importanti occorsi nei due secoli: la Seconda guerra mondiale (soltanto studiata nei libri di scuola), il G8 di Genova, l’attentato terroristico di Atocha, l’avvento della tecnologia – mostrata nel testo con la grafica – le rivolte studentesche.
Una lettura densa che nonostante abbia un ritmo da musica rock-punk (citata ampiamente) si legge lentamente, nel senso che dev’essere assorbita a mano a mano che si avanza fra le quasi quattrocento pagine e il cui procedere è cadenzato da numerose digressioni e dall’uso di parole ricercate. Viene posta in risalto soprattutto la vita quotidiana descritta nelle azioni, piccole e grandi.
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Pietro Benati – dietro il quale si cela l’autore – è l’eroe/antieroe di Randagi e dei tempi moderni. Egli vive perennemente in bilico, non trova la propria strada e questo aspetto ce lo fa sentire un amico. Illusi e disillusi infatti lo siamo un po’ tutti, ed è impossibile non sentirsi in empatia con lui. Viviamo sospesi fra la realtà, la dura realtà, e i nostri sogni:
«È un mondo crudele, Pietro, e se non hai i soldi vali meno di zero».
Ma siamo comunque in divenire nonostante le difficoltà della vita:
«I randagi hanno però il coraggio di esplorarsi e di ammettere i propri sbagli. Sentono il bisogno di essere liberi anche quando il buio scende all’orizzonte».
Per la prima foto, copyright: Kylo su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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