Un viaggio geoletterario di spessore. “Passaporti” di Giuseppe Marcenaro
Per raccontare una storia è nel luogo giusto che bisogna trovarsi, tra i rumori di un determinato vicoletto o nell’androne di un palazzo d’epoca. Non si può restare lontani dalla terra di cui si descrive l’odore e pensare di sapere come si sentiva uno scrittore nel calpestarla, né affidare la conoscenza di un episodio soltanto alla carta stampata. E lo ha dimostrato nella maniera più pragmatica possibile Giuseppe Marcenaro, tornato in libreria oggi con Passaporti. Un viaggio esoterico (Il Saggiatore). Nel puzzle itinerante che ha composto lo scrittore e saggista italiano, infatti, si delinea un itinerario geoletterario di spessore, in cui la dimensione del turismo contemporaneo viene sostituita con una neo-esperienza di Grand Tour tra il Medio Oriente, la Russia e l’Europa.
In tutti e quattordici i capitoli-viaggi inclusi nel volume, il visitatore coincide con l’autore stesso, il cui sguardo attento e sensibile riesce a cavare fuori dalla nuda pietra o dall’insegna di un bar la narrazione più autentica dell’isola d’Elba di Foucault o della Alessandria d’Egitto di Kavafis. Nessuna scelta, dunque, appare scontata o superficiale, nessuna passeggiata ripercorre tappe arcinote della tradizione occidentale: quello di Marcenaro risulta piuttosto un diario imprevedibile e accurato, attraverso il quale conoscere meglio non solo il volto meno ordinario di diversi posti del mondo, ma specialmente le vite di chi li ha abitati. Dalla Trieste di Joyce si passa quindi alla San Pietroburgo di Dostoevskij, mentre dai ricordi di Rimbaud presso Harar ci si sposta in punta di piedi fino alla Ibiza scarna e irriconoscibile di Walter Benjamin.
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Per di più, ogni tappa è accompagnata da una minuziosa documentazione storica o urbanistica, culturale o linguistica, che impreziosisce il resoconto e lo trasforma nell’opportunità di conoscere metropoli e cittadine attraverso una singolarissima lente d’ingrandimento. Com’è inevitabile che sia, l’idea di chi giunge al numero civico in cui qualcuno faceva colazione, qualcun altro è morto e un terzo ha concepito una lettera d’amore rimane il risultato di un’osservazione esterna e non sempre accurata, basata in gran parte sulle meditazioni personali – d’altronde, in che cosa potrebbe risiedere il fascino del viaggiatore, se non nel ruolo di uno scopritore e disvelatore, più che di un dispensatore di verità assolute?
È grazie a questa prospettiva che perfino il concetto di bellezza poetica viene rovesciato, al punto da risultare più tangibile nella Algeri di Camus che nella Parigi di Yonnet.
«Arrivando dal mare, la trovò bianca, come l’aveva immaginata. Il bianco è pleonastico, pretenderebbe lo svelamento di quanto già si conosce. Dal battello – si chiamava El-Djazaïr, il nome arabo di Algeri – tali a un anticipo di orgasmo si ingorgavano nel goloso viaggiatore possibili avventure. Sognate», è non a caso l’incipit della sezione dedicata alla capitale nordafricana, mentre il primo paragrafo sulla Ville Lumière recita testualmente: «Un viaggio in metrò verso Montreuil è come un tour nei tubi del cesso. Ogni fermata è l’ondata di uno sciacquone che scarica canaglierie di ceffi. Dalla stazione Nation a quella di Buzenval, sul vagone sotterraneo sale un autentico sciame di scarmi con teste rapate e catene ai fianchi».
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Nonostante l’apparente distanza tra le atmosfere di Genova e di Tirana, di Berlino o di Taranto, di Berchtesgaden o di Monterosso al Mare, Passaporti si contraddistingue in realtà per un raffinato equilibrio di fondo, anche grazie alla presenza di alcuni scatti fotografici pronti a mostrare ciò che la parola scritta evocherebbe soltanto. Il cerchio, pertanto, si stringe sempre di più tra la costa di un centro abitato e i respiri di un personaggio letterario, tra le pagine più feroci della Storia e le giornate più miti del singolo individuo, assecondando la curiosità di chi legge e la ricerca di autenticità di chi scrive senza che l’opera diventi mai saccente o priva di spunti. Al contrario, con la sua ultima prova editoriale, Mercenaro ha dimostrato con entusiasmo fino a che punto una riflessione stimolante e priva di cliché possa essere sorella della più erudita letteratura odeporica.
Per la prima foto, copyright: Christine Roy su Unsplash.
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