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Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo Vacchetta

Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo VacchettaHo incontrato per la prima volta Massimo Vacchetta durante la presentazione dei suoi libri, 25 grammi di felicità e Cuore di riccio (ediz. Sperling& Kupfer), l’ultimo dei quali edito pochi mesi fa, a novembre 2018. Una serata gelida, nel calore di una piccola libreria di Asti, gremita di persone. I due volumi hanno avuto un successo inaspettato e l’autore, di professione veterinario, è costantemente invitato in TV, alle radio nazionali, scrivono di lui le riviste e il web.

Il primo libro 25 grammi di felicità è stato best seller in Italia, e sta per essere pubblicato in ben sessanta paesi tra cui Inghilterra, Germania, Svezia, Portogallo, Stati Uniti e Giappone. Mi sono chiesta perché due volumi che trattano di animali abbiano riscontrato una simile risonanza tra il grande pubblico. Spesso i testi così settoriali sono destinati a una piccola selezione di appassionati.

Quando Massimo è arrivato in sala e ha iniziato a parlare ho capito il motivo. L’ho scoperto prima ascoltandolo e poi tuffandomi a capofitto nella lettura dei suoi libri (qui la recensione). I testi del Dr. Vacchetta non raccontano solamente di come questi piccoli animali, che ai più rimangono sconosciuti o indifferenti, sono da lui curati con amore e devozione al Centro Recupero Ricci “La Ninna” di Novello (CN), ma parlano di qualcosa di molto più grande: l’amore.

 

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L’autore è riuscito a mettere a nudo se stesso e la sua storia in maniera così intima e delicata, ma così diretta e vera,toccando molti aspetti comuni a ogni persona, pieghe simili dell’esistenza umana, che è impossibile non rimanerne colpiti. Facile anche versare abbondanti lacrime.

«Senza saperlo, mi stavo aprendo all’amore con la A maiuscola. Ripulito dal materialismo che avevo abbracciato per anni, emergeva limpido dentro di me il mio lato più sensibile, quello sognatore e romantico. Lì, di fronte alla disabilità fisica, riconoscevo quella della mia anima. Che grazie al dolore dei ricci, aveva imboccato la via della guarigione»

 

Ogni pagina è intrisa di emozione, di sentimenti che sono raccontati non grazie alla finzione narrativa di un romanzo, ma attraverso la condivisione profonda di un’esperienza reale. Tramite quella che è stata, e continua a essere, un’iniziazione all’amore incondizionato, una catarsi senza ritorno, e un fantastico, quanto faticoso viaggio alla ricerca della felicità, quella vera.

È stato un piacere avere potuto fare due chiacchiere con lui.

Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo Vacchetta

Come è nata l’idea di mettere per iscritto la sua esperienza? Cosa ha provato durante la stesura dei suoi libri?

Cosa ho provato? Ho pianto tantissimo. Soprattutto durante il secondo, dove c’è anche la storia di mia madre. Ho passato le notti a piangere mentre scrivevo. Non ho mai voluto scrivere libri per vendere delle copie. Volevo qualcosa che andasse dritto al cuore. Che la mia esperienza raggiungesse più persone possibili. Ma desideravo anche raccontare delle storie di amore e compassione. Per avvicinare le persone alla natura. A una nuova sensibilità. Un ritorno alla semplicità dei sentimenti. Non voglio avere la presunzione di insegnare agli altri come deve essere la loro vita, vorrei solo dare uno spunto di riflessione. Il successo dei miei libri non sono le copie vendute, ma il livello di coinvolgimento in cui porti gli altri.

 

Nel primo libro racconta la storia di Ninna, la piccola riccetta che è stato il punto di partenza, colei che ha stravolto la sua esistenza: com’è cambiata la sua vita da allora?

Totalmente.Prima avevo tutto, stabilità economica, consenso fra le persone, ero un veterinario stimato. Avevo soddisfazioni economiche. Ma ero infelice. Frustrato. Ninna ha fatto scaturire in me la compassione. Prima gli animali mi piacevano, li curavo, ma in maniera professionale, fredda. Forse per abitudine, forse perché, quando vivi in un ambiente di dolore, per difenderti in qualche modo, devi mettere una barriera. Forse era diventata anche un’abitudine vedere il dolore. Lavoravo negli allevamenti dove ho visto delle cose indicibili. Così mi sono indurito. Mi spiaceva. Ma non provavo empatia. Invece adesso soffro. Sto male, se vedo un animale soffrire. Ninna, e poi Lisa, e tanti altri ricci, mi hanno aperto emotivamente al mondo. Adesso vedo con occhio di compassione tutti gli animali.

 

Perché ha scelto di dedicarsi ai ricci?

I ricci hanno qualcosa di speciale. In loro vedo la mia sofferenza, di quando ero bambino. Sono piccoli, indifesi, soli. Cuore di riccio (il suo secondo libro, ndr), sono io, sono loro. Con tutti quegli aculei. Mi hanno insegnato a tendere la mano a chi mi è vicino e ha bisogno di me. Può essere un animale, un riccio, una persona, qualunque essere abbia bisogno di noi. Coltivare i sentimenti, fa guarire dai nostri mali. Io, attraverso i ricci, sono riuscito a tirare fuori quello che avevo dentro. Ho potuto esprimermi. Non credevo nemmeno di avere un cuore così tenero, invece ce l’avevo. Semplicemente era lì, sommerso. Anche perché non sono un santo, anzi, a volte sono reattivo, inquieto, sanguigno. Ma trovo sollievo dell’anima ad aiutare queste creature. Come se aiutare loro, mi curasse il cuore. Proprio Ninna mi ha insegnato che l’amore non è possedere, ma lasciare andare. Non riuscivo a prendere la decisione di liberarla in natura, anche se sapevo che era giusto per lei. Ma lei è riuscita a farmi accettare questo concetto con il cuore, e non solo comprenderlo con la testa.

Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo Vacchetta

Nel secondo libro racconta la storia di Lisa e di altri riccetti disabili del suo Centro. Ognuno ha un suo nome. Come stanno andando le cose? Ci parli un po’ di loro.

Ci sono tantissime storie. Al centro attualmente vivono 110 ricci, di cui una trentina sono disabili, alcuni non autosufficienti, che hanno bisogno di cure continue. Nel secondo libro ci sono le loro storie, di come ognuno abbia cambiato profondamente la mia vita. Tutti hanno segnato in qualche modo il mio cuore. Ma le voglio raccontare la storia di Piccina. Era il 2015, avevo aperto il centro da poco, non avevo l’esperienza che ho oggi con questi animali. La riccetta è arrivata al Centro collassata, la situazione era disperata: ho passato la notte accanto a lei a farle flebo, antibiotici, antidolorifici, e finalmente, il mattino dopo si era ripresa. Alla sera, quando cantavo già vittoria, a un certo punto la piccola si è gonfiata in maniera anomala. Questo succede perché quando ai ricci si rompe il naso o le cavità nasali, l’aria passa sotto cute e loro si riempiono di enfisema sottocutaneo. Si vedevano solamente le zampine che uscivano fuori, praticamente era gonfia come un pallone. Aveva il naso rotto e forse anche la trachea. Bisognava per forza operarla. Senza nessuna speranza abbiamo cucito quella piccola trachea, che non era più grossa di una cannuccia, e siamo riusciti ad arginare la situazione. Nei giorni successivi la riccetta si gonfiò di nuovo, ma più lentamente. Siamo andati avanti due mesi, e Piccina aveva continue ricadute, complicazioni, come un’infezione all’orecchio, data dal trauma cranico. Piccina mi guardava con il suo sguardo triste, implorante e mi comunicava con tutta se stessa che voleva vivere. Tutti mi dicevano che non ce l’avrei fatta. Dopo un mese di antibiotico, di notti insonni, di ricadute e piccoli miglioramenti, finalmente Piccina ha smesso di gonfiare. I danni celebrali erano rimasti, ma la spinosetta, col tempo, è diventata uno splendido riccio di un chilo e mezzo! E ha vissuto felicemente per quattro anni nel recinto esterno con altri ricci disabili autosufficienti. Piccina mi ha dato uno dei più grandi momenti di felicità. Avevo questa voglia di salvarla. Ed era una cosa impossibile, salvarla. Vederla riprendersi è stata una gioia immensa.

Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo Vacchetta

Perché, secondo lei, spesso la gente è insensibile nei confronti degli animali che non sono cani o gatti?

Perché l’essere umano ha empatia con chi ha vicino. Il cane o il gatto ci vive vicino, attorno. Giustamente, si dice: non mangeresti mai il tuo cane o il tuo gatto, perché crei un rapporto con quella creatura. Con gli animali selvatici, o con gli animali da carme, come i bovini, i maiali, le galline c’è un distacco emotivo, perché non vivono con noi, non li conosciamo. E soprattutto, non si è a contatto con la loro morte. Gli animali muoiono nei mattatoi lontani dalla vista. La gente non vive quella fase terribile, non percepisce il loro dolore. La carne, sul mercato, è parcellizzata. È fatto tutto ad hoc per non farti vedere quello strazio. Anche in pubblicità non ti mostrano mai l’animale che soffre. Se facessero vedere la mucca legata alla catena, che è presa a calci dall’allevatore, chi comprerebbe mai il prodotto? Così come non pongono mai l’accento sulla loro voglia di vivere, che è uguale alla nostra. Togliere la vita è la crudeltà più grande.

Un viaggio fra l’amore, la guarigione e i ricci. Intervista a Massimo Vacchetta

Che cosa è per le la felicità?

Aiutare gli altri. Aiutare chi è in difficoltà, i più deboli e indifesi. Mi vengono le lacrime ogni volta che parlo di loro, non ne ho mai versate per ventiquattro anni, sono sempre stato una macchina da guerra a curare gli animali, anche in situazioni terribili. Poi, per una serie di anni mi sono trovato in un vicolo cieco: non volevo fare più quel lavoro e non sapevo che cosa altro fare. Quando è arrivato questo piccolo riccio (la Ninna) ho capito quale fosse la mia strada.

 

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Che progetti ha per il futuro? Un altro libro è possibile?

Sto scrivendo un libro per ragazzi, con una giornalista, che uscirà entro fine anno, o al massimo a inizio del prossimo. Un volume di favole moderne, sempre basato sulla storia di Ninna e dei ricci, che si propone di dare degli insegnamenti ai ragazzi, nell’ambito dei valori, della sensibilità verso la natura e l’ecologia. Poi ci sarà un terzo libro, molto più avanti, sempre partendo dalle storie dei ricci, che si aprirà verso tematiche ambientali ed ecologiche. E ancora, nell’immediato, ho in cantiere un progetto di piantare alberi, in un terreno, il Paradiso, che ho acquistato qui nelle langhe. Gli alberi, sono la vita. Senza di loro non possiamo vivere.

 

Incontrare Massimo e i suoi ricci è stata un’esperienza che mi ha toccato profondamente, che ha fatto emergere anche in me nuovi soffi di sensibilità, nuovi spiragli dell’anima. Invito tutti a seguire le sue meravigliose storie attraverso la pagina Facebook del Centro Recupero Ricci la Ninna, dove troverete tutte le informazioni anche per fare delle donazioni e visitare il centro.


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