Un viaggio fra il reale e l’onirico. “Zeta l’ultima della fila” di Daniele Cavicchia
Zeta l’ultima della fila è il libro di racconti dello scrittore Daniele Cavicchia, inserito nella collana Zeta diretta dallo stesso Daniele Cavicchia in collaborazione con Maria Grazia di Biagio, edita e pubblicata per la Di Felice edizioni. Il libro dello scrittore abruzzese è stato proposto da Francesca Pansa al Comitato direttivo per la settantaduesima edizione di una delle manifestazioni culturali più importanti d’Italia e l’Europa, Il Premio Strega.
Una raccolta di racconti composta da sedici storie immerse in atmosfere surreali, fluttuanti, sfuggenti. Nella totalità dell’opera infatti, si può riscontrare come il testo rientri esattamente in quello che potrebbe essere descritto come un vero e proprio racconto onirico, ambientato in squarci visionari o avvolti da auree fantastiche al limite del reale. Una sorta di grande visione raccolta in narrazioni misteriose, velate, quasi sfuggenti che alludono a situazioni riguardanti contesti reali: il limite del possibile di ciò che è, ma in realtà potrebbe non essere. I racconti si intersecano fra loro in un susseguirsi solo all’apparenza casuale, così come casuale, sembrano essere le immagini-simbolo che nascondono in esse delle evidenti metafore. Questi simboli metaforici che si ritrovano in quasi tutto il testo, assumono le sembianze ora di luoghi, ora di personaggi, ora di situazioni, interagendo in un contesto fluttuante e in una situazione che va dall’incantato al surreale.
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Tuttavia, uno sprazzo di realtà c’è, fra le pagine del libro: ogni situazione o racconto si apre su una scena comune, quotidiana e concreta per poi intraprendere un’atmosfera legata all’onirico, tanto da far stupire di ciò che accade gli stessi protagonisti. Ogni storia sembra il prolungamento dell’altra. I racconti tentano di ricoprire i margini aperti lasciati dalle storie precedenti, risultando fluttuanti ed enigmatici. Un tripudio e un connubio di pensieri, immagini, personaggi, biografie che si scontrano e descrizioni di luoghi che si susseguono fra le pagine creando negli stessi protagonisti e nel lettore un accenno di dubbio. Nonostante le atmosfere misteriose e arcane, il libro è interamente percorso da un dubbio, un quesito di fondo che si snoda in ogni storia. Ci si chiede se la realtà, e quindi, la stessa esistenza, non sia altro che un sogno sognato da altri, se sia l’unica possibile, la cui logica sfugge all’umana comprensione. Uno dei protagonisti delle sedici storie racchiude, perfettamente, l’interrogativo che per tutti i racconti sembra percorrere l’opera:
«Ma le parole sono di chi scrive. Le parole sono di chi le detta e tu sei la matita».
Le parole sono il destino dettato da qualcuno con più potere e meno evanescenza, un destino già compiuto e scritto. Ma la matita? La matita è l’uomo. Ne deriva la finitezza, la fuggevolezza del simbolo metafora che è la matita: quale matita può scrivere la compiutezza del suo destino? Si percepisce quindi un senso di incompiutezza nelle figure che popolano i racconti ; un’evanescenza di fondo che lo scrittore fa trasparire nelle pagine. Personaggi relegati nel loro esiguo spazio di coscienza e conoscenza. Il contenuto quindi porta il lettore a porsi dei quesiti sulla propria realtà, seppur lo stile contenutistico sia avvolto da atmosfere fantastiche, nebulose ed evanescenti. La fine del romanzo riprende un po’ il discorso della finitezza di coloro che abitano in spazi minimi, seppur con il loro bagaglio di sapienza.
«Ho distribuito a tutti dei fogli con le lettere dell’alfabeto e li ho invitati a scegliersi un nome. Ci sono stati molti Francesco, due Laura, un Diego, una Alessandra, un Filippo, due Claudia, e una Zeta. È una bambina molto magra, dai capelli nerissimi come gli occhi e sembra avere il fuoco nelle vene.
– Perché? le ho chiesto.
– Quando tu andrai via, io resterò, questo è il mio spazio. E tutti penseranno che Zeta è rimasta – mi ha risposto.»
Il lessico è semplice e scorrevole, intervallato da discorsi diretti che fanno addentrare il lettore nel vivo delle storie che lo scrittore abruzzese narra e descrive con pregiata maestria. Il ritmo della scrittura è cadenzato da una forma sciolta che mette in risalto uno stile letterario fluente e ipnotico.
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Zeta l’ultima della fila di Daniele Cavicchia è quindi un composto surreale di sedici racconti per chi ama immergersi in atmosfere reali e fantastiche al contempo, alternando una prosa evanescente a momenti di riflessione per il lettore.
Per la prima foto, copyright: Sharon McCutcheon su Unsplash.
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