Un vero museo della lingua italiana? Intervista a Giuseppe Antonelli
Originale, appassionante, curioso, intrigante, ricco, è così che troviamo Il museo della lingua italiana di Giuseppe Antonelli, pubblicato da Mondadori. Se questi sono gli aggettivi per descriverlo, ecco la prima avvertenza da offrire al lettore: il titolo non è una metafora, anzi specifica esattamente ciò che si trova tra le pagine del volume, ovvero un tour virtuale attraverso i piani e le sale di un museo dedicato alla lingua italiana. Un museo che, nella vita reale, manca ancora e che, se venisse realizzato secondo l’idea di Antonelli, sarebbe un luogo di attrazione per tutti.
Dal punto di vista della consultazione, Il museo della lingua italiana si divide in tre parti, o tre piani, ciascuna delle quali include un determinato periodo storico: antico, moderno e contemporaneo. Piani e sale, perché ogni sezione si suddivide poi in altre sottosezioni che illustrano i dettagli del periodo in esame. Pensata in questo modo, la lettura risulta un entusiasmante viaggio nel tempo e nello spazio seguendo il fil rouge della lingua italiana.
Stilisticamente, l’autore ha trovato la chiave, la sintesi, l’idea brillante per raccontare un argomento complesso con la leggerezza necessaria per renderlo penetrabile e interessante, non senza fornire, per gli appassionati, una folta bibliografia.
In occasione dell’uscita del libro, il linguista Giuseppe Antonelli ha raccontato qualcosa in più in merito alla stesura de Il museo della lingua italiana.
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La prima domanda che vorrei porle la sento quasi obbligatoria, ovvero com’è nata l’idea di trascrivere in un volume ciò che le istituzioni non sono ancora riuscite a racchiudere tra muri?
Nasce tutto a Firenze, nel 2003, durante una mostra presso gli Uffizi quando grazie ad alcuni importanti fondi da dedicare per assicurare i documenti abbiamo avuto la possibilità di allestire uno spazio fisico dedicato alla lingua italiana. È stata questa la prima occasione in cui ho pensato che si potesse raccontare la lingua italiana in un museo.
Alla conclusione della mostra, però, venne tutto smontato e quindi non più consultabile da parte del pubblico. Abbiamo fatto diversi tentativi per realizzare un museo della lingua italiana, ma non ci siamo ancora riusciti.
Per giungere a un risultato armonico, di facile e piacevole consultazione, immagino ci sia un grande lavoro dietro…
È stato un lungo lavoro scandito dall’immaginare la divisione dell’architettura del museo, dalla scelta degli oggetti e dall’obiettivo di narrare la lingua italiana. La scelta degli oggetti si è rivelata la parte più intensa ma anche la più stimolante, una sfida divertente che si è unita a quella di voler raccontare e non soltanto informare.
Tra le pagine si trovano associazioni di immagini e testi davvero originali, a tratti spassose, com’è giunto a questa scelta?
La mia esperienza parte dall’insegnamento, per dieci anni ho tenuto corsi di Storia della lingua italiana, sia base sia per la magistrale, e durante le lezioni mi piace utilizzare le diapositive perché parlare per immagini è più fluido, è un modo più narrativo di raccontare. Attraverso le associazioni scelte ho voluto colpire l’attenzione del lettore sorprendendolo.
Per ciò che concerne le associazioni, si tratta di correlativi oggettivi delle parole scelti con l’intenzione di spiazzare. Questa logica ha dettato poi la scelta degli oggetti e degli spazi, perché il racconto accade nello spazio, lungo i tre piani dedicati all’antico, al moderno e al contemporaneo.
Nel libro parla dell’assenza di un museo dedicato alla lingua italiana come di una mancanza…
Dell’assenza di un museo dedicato alla lingua italiana ne parlo anche nell’introduzione del volume, dove racconto del Museo della lingua portoghese distrutto dalle fiamme di un incendio. Era il più grande museo dedicato a una lingua che fosse mai esistito. Mi piacerebbe se si seguisse il modello e si facesse un passo successivo, aggiungendovi filmati e immagini nell’ottica di dissolvere i pregiudizi legati alla lingua italiana, pregiudizi affatto solo contemporanei. Pensiamo a Eco e alla Fenomenologia di Mike Bongiorno, e al fatto che quell’italiano di Mike Bongiorno oggi ci suona formale.
In una traslazione dalla carta al mattone, come potrebbe essere il museo della lingua italiana?
Prima di tutto, avrebbe una struttura narrativa e non sarebbe un museo memoriale usato per archiviare contenuto. Sarebbe il museo della lingua intesa come bene culturale trasformato in oggetto. E, come planimetria, ricorderebbe molto il Museo Egizio torinese. I livelli, i piani spezzano la linea temporale, dandole movimento, rendendola più realistica e più immediata come percezione soprattutto per i ragazzi.
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Il suo piano preferito?
Non ho un piano preferito, anche se all’italiano contemporaneo, al terzo piano, dedico uno spazio più ampio rispetto alla sua estensione temporale lungo i secoli. Se dalle Origini all’inizio del Settecento e dal Settecento al 1945 dedico un piano per ciascuno coprendo un lasso di diversi secoli, e dal 1947 a oggi riservo un intero piano è solo perché ho ritenuto opportuno lavorare di più su questo periodo perché necessita una storicizzazione e una maggiore attenzione in merito alle paranoie collettive che vi alleggiano attorno. Pensiamo all’allarmismo degli anglicismi, alle grandi morti del congiuntivo, del punto e virgola, alla paura del dialetto contaminante. L’italiano contemporaneo non è più solo la lingua degli intellettuali o dei notai o dei commercianti, è la lingua di tutti. E appartiene sempre alla contemporaneità anche il fatto che oggi si scriva in italiano tutti i giorni, pensiamo a internet e ai telefonini, cosa che solo mezzo secolo fa era impensabile. Pensiamo ancora alla Prima repubblica e al suo italiano incomprensibile per ottenere i voti e quello della Seconda repubblica appositamente parlato male per ottenere i voti. Una lingua, però, è viva solo se usata tutti i giorni, altrimenti non evolve.
Per la prima foto, copyright: Antenna.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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