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Un trattato sul viaggio. “I vagabondi” di Olga Tokarczuk

Un trattato sul viaggio. “I vagabondi” di Olga TokarczukNel recensire il bellissimo libro del recente premio Nobel Olga Tokarczuk I vagabondi (Bompiani, traduzione di Barbara Delfino), è d’obbligo chiedersi a quale genere letterario appartenga: romanzo, saggio, diario? La scrittura rispetto alla comunicazione verbale fruisce del vantaggio di usare le maiuscole a connotazione dell'universale e dell'assoluto. É il caso del testo della scrittrice polacca: Libro dunque.

La struttura è volutamente frammentaria, ripartita in capitoli a volte di poche parole in cui si esplora il viaggiare e il vagare, e in lunghi racconti in cui si narra di specifici smarrimenti esistenziali. Mappe e tappe: ognuna con i suoi titoli anch'essi senza apparente continuità, che stimolano l'interiorità del lettore. Tuffi della e nella coscienza e nei sentimenti. Non si tratta di divagare ma di accentuare l'attenzione, spesso microscopica, che fa del dettaglio l'opportunità intensa del vivere e della persona.

Possiamo ancora servirci della retorica e definire I vagabondi come atlante e guida di sensazioni, emozioni, riflessioni. Forse la definizione congeniale è Trattato.

 

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Significative sono le parole nelle prime pagine che Tokarczuk, dopo essersi definita viaggiatrice, usa parlando di sé: «Ho una immaginazione tridimensionale particolarmente sviluppata. Quasi eidetica».

Eidetica: nella filosofia di Husserl ciò che concerne l'essenza; in psicologia, la percezione mentale.

L'eidetica introduce, prosegue e conclude il viaggio (se mai esista una conclusione nello spostarsi da un luogo all'altro). Cosa più del viaggio si distingue tra il visibile e l'invisibile? La scrittrice viaggia in ogni direzione di mondo, della mente, del corpo umano in tutte le sue parti organiche. Preparati anatomici. È il tema ricorrente del Libro: la plastinazione degli organi umani, conservati tramite la sostituzione dei liquidi con polimeri di silicone. Reperti rigidi e inodori con i colori inalterati (la plastinazione è stata inventata e brevettata nel 1977 dall'anatomopatologo tedesco Gunther von Hagens). La scrittrice dichiara di avere una «sensibilità teratologica, filomostruosa»,convinta che «la vera esistenza si rompa in superficie e riveli la propria natura». Pone alcuni elementari esempi: «l'orlo della biancheria intima sotto una gonna plissettata alla perfezione; uno schifoso scheletro di metallo che striscia fuori dal rivestimento di velluto; l'eruzione di una molla da una poltrona imbottita».

Un trattato sul viaggio. “I vagabondi” di Olga Tokarczuk

Il Libro è ricco di dettagli che normalmente sfuggono all’attenzione. Tokarczuk afferma che ai musei d'arte preferisce i “Gabinetti delle curiosità” dove si possono «ammirare una salamandra con due code in un barattolo ovale con il muso all'insù; il rene di un delfino in formalina; il cranio di una pecora con due paia di occhi e orecchie e due bocche, bello come una divinità antica di natura ambigua; un feto umano decorato con coralli e con la scritta in bella calligrafia Fetus Aethiopis 4 mensium».

Descrive come «commovente preparato casalingo due mele del 1848 che riposano sotto spirito, tutte strane, dalle forme insolite», e conclude che «evidentemente qualcuno ha pensato che quegli scherzi della natura meritavano l'immortalità e che solo ciò che è diverso sopravvivrà».

È questa la direzione parallela in cui si muove l'autrice: «cercando gli errori e gli incidenti della creazione», dando loro valore e prova universale. Una direzione che comporta infinite variazioni sul tema (c'è un tocco musicale nel suo scrivere. Perché no: sinfonia), di viaggio in viaggio, di tappa in tappa, di meta in meta, di hotel in hotel. Compagni di viaggio e aeroporti. Ma non si creda che Olga voglia correggere gli errori, raddrizzare i torti, non è Don Chisciotte, non combatte i mulini a vento, li osserva e li cita solamente. Li compara e li assimila ad altre forme della creazione: elementi combinatori, pensieri tridimensionali, parti e saggi dell'organico. L'interesse della scrittrice per l'anatomia non è certo di tipo “lombrosiano”.

In una gustosissima pagina combina gli aeroporti internazionali. Quello di Sydney è a forma di aereo: «Un aereo che atterra su un aereo. La strada diventa la meta, lo strumento diventa il risultato». L'aeroporto di Tokyo è a forma di grande geroglifico. L'aeroporto di San Francisco sembra la sezione trasversale della colonna vertebrale. Quello di Francoforte: una piastrina sottile del circuito di un computer. Le combinazioni in mano alla viaggiatrice sono infinite.

Non risparmia nulla la scrittrice. Vede e scrive tutto. All'evidenza del preparato anatomico abbina un «dolore fantasma» sofferto proprio da un anatomista e disegnatore, scopritore del tendine di Achille, di cui cita la lettera scritta alla propria «gamba amputata». Non esita ad affermare che si tratta di «qualcosa che non esiste». La mente (la scrittura) contiene tutto, l'inesistente prende forma, i fantasmi sono frutto non di allucinazione ma di narrazione. Privilegi della scrittura. Non c'è scrittore o scrittrice dalla prosa appassionatamente lucida come quella di Tokarczuk, mai tentata da manierismi visionari. Il lettore è incantato dal tutto che gli viene offerto in lettura.

Tokarczuk cita spesso il Panottico che alla fine del Settecento costituiva un'ideale forma di prigione in cui dal centro un solo sorvegliante poteva controllare ogni singolo detenuto. Prescindendo dalla prigione come non ricordare allora l'Aleph di Borges? I richiami olistici per la scrittrice sono molti e tutti ben sfruttati, in una prosa che non soccombe mai all'enfasi, seppure in certi momenti altamente poetica, mai dimentica della lezione epica della similitudine e dell'associazione fantastica. La quasi assenza di punti esclamativi sta a dimostrare quanto nella scrittrice abbia agito il controllo espressivo senza mai smorzarne l'impatto emozionale.

Il preparato anatomico a cui con frequenza il Libro ricorre è il paradigma dell'organico. La realtà indubitabile che si combina con la fantasia. L'astratto prende forma in un cranio, un femore, una tibia, un omero, un feto. Forme compiute rese immortali dalla plastinazione. La scrittrice visita il gabinetto delle meraviglie, non importa se mostruose, ne fa una personale Wunderkammer in cui mescola l'esistente, si tratti di un uomo con due teste o di un frullatore che scuote la cucina-universo. Perfino l'attività intellettuale va soggetta alla tangibilità della forma. Ecco come descrive il sapere di un dotto conoscitore dell'Antica Grecia: «un sapere a forma di spugna, di un corallo marino che cresceva con gli anni, fino a quando cominciava a creare le forme più fantasiose».

Un trattato sul viaggio. “I vagabondi” di Olga Tokarczuk

I viaggiatori cercano la forma nella e della varietà, un’identità che non sfugga loro di mano in qualsiasi luogo si trovino, ma rischiano di perdersi e negare il proprio vissuto. I vagabondi sono i viaggiatori che non sanno da che parte andare. Il viaggio diventa una fuga. I racconti lunghi, uno dei quali dà il titolo al Libro, parlano di personaggi, per la maggior parte donne, che tentano di far perdere le proprie tracce. Annullare le tappe sofferte della propria esistenza. Spariscono, anche se per pochi giorni. Emigrano in parti inesplorate e forse inesplorabili del proprio essere. Si avventurano in viaggi senza meta, percorrendo direzioni che non portano a nulla. Non esiste plastinazione per il fuggiasco, nulla lo immortala, nessun museo lo ospiterà e magnificherà, non c'è anatomista che ne disegni le mappe, né conferenziere che lo citi. L'organo plastinato è verità. Sia che mostri la perfezione organica sia l'imperfezione dello “scherzo di natura”. Ma quale verità può rendere inoppugnabile l'errare visto dal vivo? Che collocazione dare al baratro? Alla perdita dell'orientamento?

Nelle ultime pagine, la scrittrice descrive dettagliatamente la scienza della conservazione del corpo («il preparato disidratato si immerge in un bagno di polimeri di silicone e si chiude in una camera a vuoto»). Ma chi conserva e tutela l'essere? A quale cura e scrupolo tassonomico è sottoposto il vagabondo?

Anche il viaggiatore che sa dove andare, che salta da un aereo all'altro sicuro di ciò che troverà all'atterraggio, può perdersi. Alla fine del Libro la scrittrice in un capitolo titolato IO CI SONO, parla della sensazione di smarrimento provata svegliandosi in un posto nuovo. «Dove diavolo sono?» si chiede, per poi concludere «Non importa dove sono, non fa differenza. Io ci sono». (Ancora una volta evita il punto esclamativo.) Il titolo del primo capitolo è IO SONO QUI. Cartesianamente.

Il Libro vale la filosofia e la scienza dell'essere. La religione priva di dogmi e varia di sensazioni ed emozioni (pensiamo ai “dettagli” di cui è ricco il Libro della Bibbia che enumera legno per legno, cuneo per cuneo la costruzione dell'arca).

 

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Il Libro: linfa del dire. Racconto e incanto della parola.

Salvo più che probabili errori di conteggio, i titoli che introducono alle brevi o lunghe stesure narrative e riflessive sono ben centoventi. La quantità non suona a caso. E nemmeno l'ultimo titolo: IMBARCO.

Nobel meritatissimo.

 

N.B. É singolare l'ammirazione e la gratitudine che Torarczuk nutre per la “maestra” Wislawa Szymborska, altro Premio Nobel, di cui era nota l'insofferenza per i viaggi.


Per la prima foto, copyright: Frank Vex su Unsplash.

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