Un senso nuovo all’essere donne e uomini. “Nell’antro dell’alchimista” di Angela Carter
Nell’antro dell’alchimista è il primo di due volumi fresco di stampa contenente la raccolta completa di racconti scritti da Angela Carter tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, ed è la prima volta che li troviamo riuniti tutti insieme. La traduzione è di Susanna Basso e Rossella Bernascone (titolo originale Burning your boat), per la casa editrice Fazi che lo ha inserito nella collana Le strade.
Il nome un po’ comune di quest’autrice britannica a qualcuno può non dir molto; invece di Angela Carter si può affermare tutto tranne che sia comune o banale. Basti dire che introduce il libro Salman Rushdie. Un’introduzione del 1995, molto intima e personale, a ricordo di un’amica oltreché di una scrittrice di talento morta in modo prematuro tre anni prima. In vita, come spesso accade, poco considerata, ora, come sottolinea Rushdie, è la narratrice più studiata nelle Università inglesi. Iconoclasta e anticonvenzionale, trasferisce senza veli queste sue caratteristiche nella prosa, sia in quella breve – dov’è più conosciuta e apprezzata – sia in quella lunga. Tra i suoi romanzi più celebri ricordiamo, sempre per Fazi, Figlie sagge, con ancora una volta l’autore de I versi satanici a farne il prologo.
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L’antologia è divisa in tre parti rispondenti a un ordine cronologico, ma non di semplicissima lettura, nel senso che è necessario andare oltre e persino contro ogni nostra immaginazione per comprenderla appieno; superare cioè quei dettami mentali precostituiti che a volte fanno da ostacolo. Inoltre, rileggendo l’opera, si noteranno ulteriori significati che non si erano intuiti nell’immediato.
La stessa Carter nella postfazione della seconda di queste parti, riporta e specifica una differenza per lei fondamentale da cui attinge e che ha inciso sulla propria creatività, e cioè fra i tales ovvero i racconti fantastici, e le storie brevi:
«Per quanto ci abbia messo molto tempo a capire perché mi piacevano, avevo sempre amato Poe e Hoffmann − i racconti gotici, racconti crudeli, racconti meravigliosi, racconti del terrore, narrazioni favolose che parlano direttamente il linguaggio dell’inconscio: gli specchi; la proiezione del sé; castelli abbandonati; foreste stregate; oggetti sessuali proibiti. Formalmente il tale si distingue dalla short story perché non pretende di imitare la vita. Il tale non riporta l’esperienza quotidiana come fa la short story, ma la interpreta attraverso un sistema di immagini tratte dalle aree a essa sotterranee, e quindi il tale non può tradire i propri lettori consegnandoli a una falsa conoscenza dell’esperienza quotidiana».
Già nei primi racconti si trovano gli accenni a quei topoi narrativi che non l’abbandoneranno mai e di cui lei, appunto, non fa mistero. I continui rimandi ad altre opere, come vedremo autentici riferimenti ipertestuali, danno un’impronta singolare a tutta la narrazione carteriana, dividendosi tra realtà, mito e fantascienza.
L’esordio spetta a L’uomo che amava un contrabbasso. Un musicista, “genuinamente” pazzo, che ha sposato la sua arte nel vero senso della parola. Una sera, durante uno spettacolo con l’orchestra a cui appartiene capiterà l’irreparabile: un incidente manda in frantumi il suo strumento (dalle chiare forme femminili) e l’esito sarà fatale.
A concludere la prima sezione una Favola vittoriana costruita con un lessico curioso e divertente, dai doppi significati e con tanto di Glossario finale.
Nella parte centrale, intitolata Fuochi d’artificio: Nove pezzi profani, le atmosfere si fanno orientali avendo l’autrice vissuto qualche anno in Giappone. Questa sua esperienza viene trasfusa in una prosa altisonante, che dà il senso dell’ineludibile, con un segno femminista più marcato, tenendo conto che l’espressione della sua vena artistica è avvenuta in un momento dove in Occidente il femminismo prese avvio e poi forza.
«Proprio come si dice, il Giappone è il paese degli uomini. Quando arrivai a Tokyo la prima volta, delle carpe di stoffa sventolavano sui pali dei giardini delle famiglie così fortunate da avere figli maschi, perché era la festa annuale dedicata ai ragazzi. Almeno non cercano di nascondere la situazione. Almeno uno sa dove si trova.La nostra polarità era riconosciuta pubblicamente e socialmente accettata. Quale esempio sull’uso del termine dewa, che può anche voler dire, da quel che ne capisco, “in”, ho trovato su un testo di grammatica la frase che qui traduco: «In una società dominata dagli uomini, le donne sono apprezzate solo in quanto oggetto delle passioni degli uomini». Se l’unica congiunzione possibile per noi era il doppio salto mortale dell’amore, forse essere apprezzate in quanto oggetto di passione è meglio che non essere apprezzate affatto».
Nella raccolta finale troviamo una vera e propria riscrittura – nel solco della tradizione orale a lei tanto cara e di grande valenza simbolica e parodica – delle più famose fiabe di Perrault. Si tratta dell’operazione più bella e intelligente all’interno della quale c’è quello che è considerato, a ragione dalla critica, il suo capolavoro (che dà il titolo alla parte): La camera di sangue, rivisitazione di Barbablù.
Gli elementi di novità più interessanti sono due: l’eroe che salva è eroina che salva, incarnata da una figura primordiale come quella di una madre, per di più vedova, e inoltre gli accadimenti li vediamo svolgersi con gli occhi della protagonista che parla in prima persona, e non in terza come nella versione originale con il classico “c’era una volta”:
«Lanciai un ultimo sguardo disperato alla finestra e, come per miracolo, vidi un cavaliere galoppare a perdifiato lungo la strada incurante dell’acqua che già arrivava ai garretti del cavallo. Era una cavallerizza: la gonna nera rimboccata alla vita per poter cavalcare più veloce, una splendida amazzone folle e vestita a lutto».
Merita un cenno la storia che riporta al Gatto con gli stivali, con il felino narrante il cui linguaggio è, per usare un eufemismo, colorito.
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Come si vede, i territori nei quali veniamo condotti non sempre sono così facili da esplorare o almeno non come può sembrare all’apparenza. Il connubio mondo fantastico-mondo reale rientra a buon diritto nella storia dell’umanità e si è consolidato nel tempo, anche grazie e per il tramite della letteratura. La dea-maga Circe, descritta da Omero nell’Odissea, col potere di trasformare gli uomini in bestie e con Ulisse che la deve fronteggiare per poi farne un’amante è un esempio non più solo scolastico.
Angela Carter con la sua indomita fantasia scoperchia un universo dove schemi e stereotipi sono rovesciati. Alcune storie sono più frizzanti o burlesche, altre meno riuscite, altre ancora dal tratto erotico o irriverente ma tutte accomunate da personaggi che sovvertono le regole a cui siamo abituati sin da piccoli attraverso le fiabe, che nacquero con intento pedagogico e consolatorio.
Nell’antro dell’alchimista dimostra come il mondo dei miti e della magia ci appartiene più di quanto pensiamo o vogliamo ma non perché crea qualcosa di diverso ma perché crea mondi possibili. Un senso nuovo all’essere donne e uomini.
Per la prima foto, copyright: Aron Visuals su Unsplash.
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