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Un saggio della madonna. “Breve storia della risata” di Terry Eagleton

Un saggio della madonna. “Breve storia della risata” di Terry EagletonBreve storia della risata è un saggio del critico inglese Terry Eagleton, pubblicato per Il Saggiatore nella traduzione di Denis Pitter, che racconta il viaggio esilarante nell’umorismo attraverso paesaggi letterari e interpretativi che costeggiano antropologia, filosofia, psicoanalisi, socio-politica, storia, religione. E per quanto l’orizzonte di riferimento sia più che altro la comicità anglosassone e irlandese, non lesina riferimenti ad autori come Rabelais o Bachtin, Nietzsche e Gramsci: «la risata è un fenomeno universale, il che non significa uniforme».

Innanzitutto ridere è un fenomeno che tocca anima e corpo. Si muore dal ridere, letteralmente, e non v’è discrimine tra pianto e riso, tra battuta e poesia. La risata è conoscenza ulteriore del mondo.

«Paziente: Quanto tempo mi resta da vivere? Dottore: Dieci. Paziente: Dieci cosa? Anni? Mesi? Settimane? Dottore: No, no: dieci, nove, otto, sette…»

 

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La risata è sovversiva, carnevalesca, inappropriata, liberatoria, nonsenso che ci libera dall’oppressione della Legge. La risata sconfina, può, nella pornografia e nella poesia. Per Baudelaire: «La risata è satanica; è quindi profondamente umana». Se ne sono occupati Kant, Bain, Darwin, Sterne, Joyce, Freud, Lacan. La risata è anche una cosa seria. Ridiamo perché abbiamo paura della morte, per alleviare il senso di colpa, perché ci dà… sollievo. Ma la teoria del sollievo è una delle tante ipotesi, e non spiega la totalità del fenomeno. Allora, sfiorando anche monumenti sacri e antichità sagge, affiora un’altra possibile spiegazione, quella della superiorità dell’umorismo: «La si può trovare già nel Libro di Salomone, dove Yahweh ride delle calamità che ha in serbo per i malvagi.»

Un saggio della madonna. “Breve storia della risata” di Terry Eagleton

La derisione malevola, ridere degli altrui guai per un senso di superiorità. Pure questo può essere l’umorismo. Cicerone, Hobbes, Hegel. Testimoni dell’umorismo in cui ridere per beffa è un modo di sentirsi superiori (e difendersi!): «Tutto l’umorismo, sostiene Bergson, è interamente finalizzato all’umiliazione», perché mette in gioco tutto un sistema di correttivi sociali: si ride della persona goffa, eccentrica, di quella non conforme al sistema.

Il sarcasmo, secondo l’antico etimo, lacera le carni. La risata può educare o punire ma pure convincere e lenire. Certe volte l’umorismo non deve avere cuore, solo intelligenza, mancare di empatia e denigrare, offendere, anche. Ma in Brecht, non empatia significa capacità critica, riflessione. In fin dei conti, però, nemmeno questa volta l’autore è molto convinto perché nell’umorismo la superiorità poggia comunque su una condivisione di umanità, per cui, citando Lacan, si ama l’altro, perché è carente, «e sorridiamo perché incarna i nostri stessi difetti» e non solo per rancore o cattiveria. E però, ci/si chiede Eagleton: «quale abuso sarebbe troppo ignobile per i colpevoli di genocidio?»

Un saggio della madonna. “Breve storia della risata” di Terry Eagleton

Ma insomma, perché si ride? La spiegazione-descrizione più probabile, per il critico inglese, potrebbe essere la teoria dell’incongruenza: la discrepanza, lo slittamento dei significati, lo straniamento ecc. sarebbero la scintilla che fa scoccare la risata. Anche qui un ben nutrito manipolo di filosofi e pensatori incoraggia quest’ipotesi. Da Dickens a Beckett abbiamo tutto un ventaglio di scene, estrapolazioni, estratti, costrutti e dibattiti intorno alla teoria, descrittiva, dell’incongruenza che, a dire il vero, è quella più elastica e più adatta a ospitare le mille sfumature della comicità. Trasgressione e deviazione, giochi di parole, ambiguità, malintesi, iconoclastia, nonsense, gaffe.

Il breve saggio sulla risata traccia sentieri dai cambiamenti repentini e quando pensiamo di aver trovato la strada verso la comprensione del fenomeno, altolà, l’autore, con un ghigno simpatico ci blocca, eh no! «l’umorismo non ci ha svelato tutti i suoi segreti e l’importante industria accademica dedita a indagare su di esso può continuare imperterrita». E continua con l’indagine storica sull’umorismo, nel penultimo capitolo.

 

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Ecco, giusto per dare l’idea del tono versatile di quest’indagine: «la comicità è quindi una questione più rurale che urbana, lo spirito di chi è isolato dai sofisticati rapporti sociali», e da qui tutta una distinzione tra comicità terra terra e arguzia, tra battute volgari di piazza e le stoccate di Wilde, tra corti e Carnevale. Interessanti le critiche, in più parti del testo, all’amato Bachtin – vissuto ai tempi di Stalin, studioso innovativo dei rapporti tra Rabelais e la cultura popolare – reo, tra l’altro, di aver trascurato «i tratti carnevaleschi del Vangelo cristiano». E così il tragitto dello studioso, tra battute e critica letteraria, si chiude, con La politica dell’umorismo, nel cuore del Cristianesimo: «Dio manda il suo unico figlio per salvarci dalla nostra condizione, e come mostriamo la nostra gratitudine? Lo uccidiamo! È un pessimo sfoggio di maleducazione.» Che dire? questo è un saggio della madonna!


Per la prima foto, copyright: Wolfgang Hasselmann su Unsplash.

Per la terza foto, la fonte è qui.

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