Un romanzo-serpente sull’arte e l’immaginazione. “Sbagli” di Martino Marazzi
La paura per i serpenti ci ha salvato la vita per millenni e ora Martino Marazzi, con Sbagli (Castelvecchi), trasforma questa paura in fascinazione, in un’attrazione senza scampo. Non si è reso conto del pericolo? Forse è il caso che mi spieghi meglio, prima di rischiare di dare al lettore la cattiva impressione che questo libro abbia a che fare con l’antropologia o, ancor peggio, con viscidi rettili squamati. Niente del genere. Di serpentesco questo romanzo ha soltanto la forma, la struttura, «che si snoda lungo le spire di cinque storie, immagini nella mente di uno schizofrenico», recita la quarta di copertina. E i serpenti? Ci arriviamo, meglio andare per ordine, fintanto che è possibile.
Quello che si presenta al lettore nelle prime pagine come protagonista è il Maresciallo, un paziente di un manicomio: soffre di «disturbi della personalità», dice la sua cartella, vecchia di almeno quarant’anni. Lo chiamano così «perché per anni aveva lavoricchiato all’Arsenale di La Spezia». Tutti i giorni, a un certo punto della giornata, il Maresciallo si slaccia la cintura e con la fibbia comincia a incidere le pareti. «Procede a serpentina – scrive Marazzi – da sinistra a destra, e poi il contrario». A raccontarci la sua storia – e dunque a raccontarci le cinque storie del Maresciallo – è un medico che, alla chiusura della struttura, quando sono cambiate le leggi e i manicomi sono stati chiusi, ha deciso di trascriverle, ricopiandole tutte di fila.
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Cinque racconti inseriti in una cornice? Potrebbe anche essere, ma se pensassimo così quest’opera rischieremmo di non prestare sufficiente attenzione a tutti quei richiami che, di narrazione in narrazione, illuminano le nascoste connessioni che legano tra loro le vicende dei defunti artisti newyorkesi Peter Ventura e Francis Morland e, per dire, il collettivo “Sabotare”.
La prosa di Martino Marazzi – docente di Letteratura italiana alla Statale di Milano, Visiting Professor in Italian American Culture alla New York University e Fellow dell’Italian Academy presso la Columbia University, nonché romanziere, già autore di La fine del Purgatorio (2008), Filogenesi (2010), La finta(2015)– è chirurgica, ponderata sulla base delle supposte competenze linguistiche dei personaggi, ritmica. Pure prepotente, per certi aspetti. Guida la lettura, tra accelerazioni e rallentamenti, lungo le dense e vorticose ottantasette pagine su cui si dispiega questo romanzo di racconti. La voce narrante insegue i personaggi, il consigliere federale svizzero Tonia Berger come Lord Haveley, il narratore passa con scioltezza dalla prima alla terza, e viceversa. D’altra parte, nelle storie del Maresciallo «ci si cala dentro fino a identificarcisi del tutto, e con tutti i personaggi, tutte le situazioni, ognuna delle quali cresce sino al punto di mostrare un vuoto al centro, uno spazio di errore, o di disequilibro, troppo grande per essere colmato». Eppure, di fronte a questa ineludibile manchevolezza nessuno si arrende, anzi, centrale diviene la riflessione sull’arte e sull’attitudine umana all’immaginazione, che tanta parte occupano nel romanzo, anche quando sembra portare il discorso verso tutt’altre frontiere.
Gli sbagli del titolo, per esempio, sono onnipresenti: in un modo o nell’altro, tutti cercano di riparare i propri danni, che si tratti di un matrimonio sbagliato o di una truffa ai danni dello Stato poco importa. Quel che resta da fare è trovare alibi, immaginare finali alternativi o alternative versioni dei fatti, cercando quell’armonia che forse, solo nell’espressione artistica, pur nella sua futilità, trova luogo. «Strano come sia sempre così difficile rendersi conto di vivere, nello stesso tempo, all’interno di storie diverse, diversamente regolate, proiettate verso dimensioni reciprocamente estranee», scrive Marazzi.
Queste cinque storie si susseguono, una dietro l’altra, ma non sembrano avere un vero e proprio ordine, di certo non si succedono secondo un ordine cronologico, al massimo vanno all’indietro.
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D’altra parte, nella mente del Maresciallo, «tutto era collaterale, compresente, senza un prima e un poi, come nella continuità dei fenomeni naturali». Non si muovono in maniera stabile, non c’è nessuna forza in grado di controllarle. Vanno avanti, tornano indietro, e non è detto che arrivino dove vogliono arrivare. Come un serpente, per l’appunto, o come noi, che inseguiamo continuamente l’illusione di una coerenza, dentro e fuori. Ogni storia contiene in sé il pubblico e il privato, il passato e il presente, ciò di cui abbiamo coscienza e ciò di cui neppure sospettiamo l’esistenza, il luogo della nostra fisicità così come l’orizzonte lontano, in continuo movimento.
Per la prima foto, copyright: David Clode su Unsplash.
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