Un romanzo potente. “Requiem per un sogno” di Hubert Selby Jr.
Puntata n. 99 della rubrica La bellezza nascosta
«Quasi scoppiò a ridere quando all’improvviso le tornò in mente il verso: Servono il Signore anche coloro che siedono e aspettano. Aspettare! Dio Onnipotente le sembrava di aver passato tutta la vita ad aspettare. Aspettare cosa??? Aspettare di vivere. Sì, era proprio quello il punto, aspettare di vivere. Le sembrava di averlo capito durante la terapia, a un certo punto, da qualche parte. Aspettare di vivere. Pensare a tutto questo come a una prova per la vita vera. Un esercizio. Le sapeva queste cose. Non c’era niente di nuovo. Se ricordava bene – se ancora faceva qualcosa bene – lo strizzacervelli da cui andava all’epoca in cui aveva capito questa cosa l’aveva trovata un’osservazione alquanto astuta…»
Alcuni destini nascono infelici e non c’è nulla che si possa fare per cambiare le cose. Alcune vite sono in balia di un fato bastardo che si diverte a mescolare le carte in modi incomprensibili, tagliando continuamente la pelle, illividendo le emozioni, rendendo invivibile ogni posto, trascinando l’infelicità come fosse un oggetto incollato al corpo. Certe infelicità somigliano a dei ghiacciai che non sottostanno alle leggi naturali, restando per sempre freddi, gelati, e non importa quando caldo possa cadere sulla loro superficie. Si nasce segnati da un marchio, da una frana che è come una specie di promessa, il giuramento che prima o poi saprà come cadere, saprà come distruggere, saprà in che modo annichilirti.
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Hubert Selby Jr. è nato a Brooklyn nel 1928 ed è morto a Los Angeles nel 2004, Requiem per un sogno è stato ripubblicato in Italia da Edizioni SUR, con la traduzione a cura di Adelaide Cioni e Grazia Giua.
Siamo negli anni Settanta, a New York, Harry e Tyrone sono due amici tossicodipendenti che cercano di raggranellare soldi per comprare eroina e per provare poi a venderla. Sara Goldfarb è la madre di Harry, una donna ossessionata dalla televisione che un giorno riceve una telefonata da un call-center che le comunica la sua possibile inclusione all’interno di uno show televisivo. Marion è un’artista tossicodipendente che instaura un rapporto di amore, sesso e droga con Harry. Una serie di situazioni faranno scivolare i protagonisti verso un abisso nero e dal quale sarà impossibile tornare indietro.
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Requiem per un sogno è come una massa compatta e bollente che si sfalda e ti finisce dentro gli occhi. Selby Jr. ha scritto un romanzo di rara forza, pagine in cui ci troviamo proiettati nella vita di personaggi straziati e strazianti, di figure che sembrano aver perduto tutto e ancora sembrano perdere continuamente un esile filo che potrebbe farli rimanere aggrappati alla vita, una vita che ha solo una parvenza di normalità, ma che poi scivola sempre più velocemente verso una stasi infetta, velenosa, buia.
Sara si perde dentro le sue ossessioni arrivando a distruggere la sua routine, Harry e Tyrone inciampano di continuo dentro comportamenti e movimenti malati, sporchi, spostamenti pieni di dramma. Marion cerca di immaginare un futuro, un futuro con un po’ di luce, un futuro con dentro Harry e un’attività imprenditoriale. Vite, le loro, che si sfaldano, e in cui gli intenti finiscono per disintegrarsi contro i muri della dipendenza da eroina, e da farmaci.
«Harry e Tyrone si fecero lentamente assorbire dalle fogne in cui passavano sempre più tempo. Fu un processo graduale, come succede per la maggior parte delle malattie, e il loro insaziabile bisogno riusciva a fargli ignorare molto di quello che accadeva, distorcerne dei pezzi, e il resto accettarlo come parte della vita.»
La scrittura di Selby Jr. è secca, asciutta, netta, una penna che arriva fin dentro le viscere, una penna che non teme di sporcarsi, che non ha paura di venirne poi fuori coperta di sangue e sudore e tanfo.
Requiem per un sogno ha il sapore delle tragedie greche, è il racconto dei destini maledetti, è un romanzo che non smette di raccontare, a cui non smetti di pensare, un libro che, una volta terminato, continua a vivere, continua a far riflettere, a emozionare.
«Tutti i termosifoni ticchettavano, ma loto avevano freddo lo stesso. Il periodo di magra continuava e la routine era tornata quella di sempre: sbattersi per strada trovando appena quel tanto che bastava per tenere a bada la scimmia e niente più. Grazie ai suoi medici Marion riusciva sempre a tenere a casa una buona riserva di sonniferi, ma per la maggior parte del tempo era comunque isterica. Le mattine in cui si svegliava e in casa non c’era niente perché quello che restava lo avevano usato la sera prima, quando la malattia li aveva convinti che sarebbe andato tutto bene, che non si sarebbero sentiti male il mattino dopo, era allora che lei diventava isterica…»
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Dal mondo non si esce vivi e, se vivere, come diceva Pavese, è una malattia mortale, è anche vero che non tutti partono dalla stessa linea per raggiungere il proprio sogno. A volte tutto somiglia solo a una lunga marcia funebre, quello che possiamo fare è cercare di stringere forte i denti e pensare che il peggio passerà, come passerà il meglio.
Per la prima foto, copyright: Aliyah Jamous su Unsplash.
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