Un romanzo che ti porta altrove. “Un giorno uno di noi” di Giancarlo Pastore
Se un romanzo ti assorbe fino a sospendere il ticchettio dell’orologio che tutti noi – pare – possediamo nel nostro cervello, se un romanzo ti toglie il senso di fame, di sonno, di sete, è segno che ha aperto un varco e ti ha portato altrove. Nell’eterno, appunto. Nell’universale. Ed è quello che accade quando si legge Un giorno uno di noi di Giancarlo Pastore. Uscito per Marsilio, la storia di Graziano ha esattamente questo effetto sul lettore.
Graziano è laureato in Lingue e letterature straniere, abita a Torino e, da piccolo, il suo sogno era scappare di casa. Fa male, pensarlo, fa ridere, sentirlo dire da Graziano. Perché, nonostante nei sogni lo invada ancora il passato, il dolore, il senso di inadeguatezza, Graziano, taciturno e introverso, quando parla, fa sognare, ma anche ridere. È ironico, acuto, profondo. È un albatros sulla prua, quando si guarda da dentro proiettandosi fuori. È un albatros che dispiega le ali, quando lo si guarda dentro, da fuori.
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Tutto inizia con un’offerta di lavoro. Graziano, seppur laureato – e anche questo dettaglio rispecchia la storia universale di molti –, sbarca il lunario come cameriere in un ristorante. Guadagna una miseria, condivide l’appartamento con Alex, una specie di genio della critica della letteratura, e fantastica sul giorno in cui potrà visitare gli States. Non è un sogno. O, se è lo è, comunque Graziano non ci si dedica con esercizi quotidiani. A dire il vero, Graziano non sembra dedicarsi a nulla, in modo particolare. Appare spesso come fosse una specie di muro di gomma: tutto rimbalza addosso a lui, non si accorge di molti dettagli. Dentro la sua mente ci sono troppi incubi, il passato è fin troppo ingombrante per lasciare spazio al presente di manifestarsi a pieno. Lo assorbe, lo tormenta di notte e negli attimi di solitudine.
L’offerta di lavoro è come un dito che va a togliere una crosticina da sopra una ferita. Perché ferite sembrano i desideri di Graziano. Ferite, strappi. Potrebbe restare negli States. Potrebbe cominciare una nuova vita. Come? Non lo sa ancora, ma è certo che potrebbe trovare una soluzione.
Accetta. Farà da autista e da interprete a Edo, meglio ancora Edouu, come lo chiameranno in quasi tutte le tappe di questo viaggio straordinario, coast-to-coast. Pioverà molto, nei giorni in cui Graziano guiderà lungo le strade deserte, alienanti, degli USA. Ci sarà anche il sole, però, e sarà come una specie di tregua, in tutti i sensi.
Pastore crea così una geografia emotiva, un viaggio dentro e fuori che, a tratti, perde i contorni del mondo. Ci vuole così poco a farla finita: appiattirsi fino a diventare tutt’uno con la vastità della prateria, con il vuoto, il nulla. Non ci sarebbero più nonne burbere, padri violenti, madri ancora più violenti. In cambio, forse, ci sarebbe Lucky, una cagnolina che, in ultima istanza, è l’unica forma di affetto, di amore che Graziano riesce a sperimentare durante l’infanzia.
È una storia che fa male, ma lo stile con cui Pastore la racconta è un altro elemento che rende la lettura di questo romanzo un must, un dovere. Graziano sa essere ironico, sa ridere di sé, ha il superpotere dello staccarsi dagli eventi, reimpastarli e restituirli per quello che sono: eventi. L’ermeneutica degli eventi, in ultima analisi, ci appartiene e dipende da noi.
Poi, la lettura è un must, per questo viaggio meraviglioso negli Stati Uniti: al variare della natura, della geografia, man mano che si addentrano nel continente, variano le persone, gli atteggiamenti. Graziano è un attento osservatore e questo diventa un dono per chi legge. Persino la pioggia appare essenziale nell’economia dei sentimenti, delle sensazioni, della stessa geografia.
Dice Graziano: «“[…] forse racconterei solo dei sogni e dei libri che ho letto.” Gli sembrava non ci fosse altro. Nei sobborghi di Chicago le ciminiere sputavano un fumo denso e scuro; aveva da poco iniziato a piovere, ma da alcuni squarci nelle nuvole s’intravedeva il tramonto.»
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E sì, Graziano è omosessuale, ma questo è l’unico dettaglio che non fa alcuna differenza. Ciò di cui parla Un giorno uno di noi di Giancarlo Pastore va al di là di un orientamento, abbraccia l’universale e lì, nello spazio dell’universale, suddividere il mondo in categorie è un esercizio sterile. Anche se non sei gay, non abiti a Torino, non sei laureato in lingue, non hai mai visitato gli States, ciò che vive, percepisce, pensa Graziano, lo vivi, lo percepisci e lo pensi anche tu come lettore.
Per la prima foto, copyright: Heidi Kaden su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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