Un romanzo che nullifica l’epopea borghese. “Ultima la luce” di Gaia Manzini
Ultima la luce, il primo romanzo di Gaia Manzini con la casa editrice Mondadori, è una storia nata da personaggi inventati che grazie al raffronto con la società odierna conferiscono però veridicità alla narrazione.
L’intento della scrittrice è stato chiaro sin da subito: «Il mio punto di partenza è stata la figura di un padre. L’idea era raccontare una storia di famiglia attraverso lo sguardo di un uomo, un padre e un marito. È un padre che resta solido anche quando le cose iniziano a vacillare. Io lo volevo cogliere nel momento in cui si accorge che tutto il suo progetto di vita e di felicità era tutta un’illusione». Una sfida affascinante per una scrittrice che finora aveva prediletto il soggetto femminile e dalla quale è sorta un’idea chiara e una realizzazione luminosa.
Nasce da qui, da questo germe il fuoco che brucia le pagine di Ultima la luce di Gaia Manzini. La figura paterna in questione si chiama Ivano, nel libro non è specificata l’età, ma ricostruendo la sua storia potrebbe avere più di sessant’anni. Conclusa l'onerosa carriera da ingegnere e progettista vagante per il globo terrestre, si ritrova a vivere con l’amata moglie Sofia gli anni della pensione. Purtroppo la dolce metà si ammala e lascia questo mondo anzitempo. Il nodo da cui si diramano tutte le sfaccettature del romanzo è proprio questo: chi era realmente Sofia? Cosa fare dopo di lei? Come ricucire il rapporto incrinato con la figlia Anna?
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La prima soluzione, quella temporanea, è scappare da Milano (luogo nativo di Ivano) e raggiungere suo fratello Lorenzo, attempato ex finanziere, mai domo, mai sposato e libertino da sempre. Un bel viaggio a Santo Domingo. Il paradiso con le sue musiche latine e «le palme oltre la strada, il volo disordinato degli uccelli, l’odore diffuso di bruciato» ristora, rilassa e seda il dolore per la moglie persa. L’effetto è soltanto momentaneo. Di fatto, l’unica novità cha riaccende l’animo di Ivano è la conoscenza della signora Liliana. Una moglie delusa dall’esperienza matrimoniale, madre sollecita ma ignorata dal figlio e donna sensuale e dolce.
Per il resto i giardini ampi quanto parchi, la veranda del fratello e la playa de la Minita non allontanano il vuoto della vedovanza, ma al contrario lo acuiscono e soprattutto creano un’inaspettata frattura con il proprio consanguineo.
Così, tornato nella città natìa, Ivano decide di riprendere in mano la propria vita. Prima cosa: ricucire il rapporto con la figlia trentaseienne, Anna. Con la scomparsa di Sofia, lei s’è ritrovata senza madre, è disorientata e la vicinanza affettiva del suo ragazzo Marco è limitata e debole.
Per Ivano inizia una nuova vita, quella di «padre materno». La prima decisione della rinascita è di vendere la casa dove aveva goduto gli anni di felicità e quelli di crisi con sua moglie.
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Poi si dilunga in piacevoli passeggiate con sua figlia fra le vie storiche della Milano meno fashion. Sovvengono in questi momenti ricordi di gioventù da cui la sua vita era stata scandita. Il più commuovente fra tutti, quello che incanta il lettore, è legato alla prima volta in cui incontrò Sofia, la sua futura moglie. Rileggiamo l’incipit di quell’incontro per ammirare la delicatezza dell’episodio amorevole:
«All’ora di pranzo in chiesa non c’era mai nessuno. Era entrato sperando di potersi sedere qualche minuto, ma subito si era accorto di non essere solo. C’era una figura di spalle che sedeva sull’ultima panca: il collo affusolato, la testa minuta, i capelli chiari raccolti in uno chignon. Indossava un completo azzurro, gonna e giacca a maniche corte; da come le ricadeva dalle spalle, poteva essere di qual-che taglia più grande, ma questo non faceva che mettere in risalto, nascondendola, l’ossatura minuta. Nell’avvicinarsi Ivano aveva notato che se ne stava assorta, le labbra contratte, lo sguardo fisso davanti a sé. Anche se i mocassini producevano ritmici rimbombi in tutta la chiesa, lei non si era girata a guardarlo».
Infine fra un oggetto antiquato, vaghe reminiscenze del matrimonio e verità mai svelate, Ivano da vero e proprio detective ripercorre a ritroso l’amore per la cara moglie e scopre di non avere mai conosciuto un lato di lei, accecato dal sentimento amorevole.
Lasciato alle spalle l’affetto per Sofia, è tempo di ritrovare l’amore di sua figlia: da padre scostante a papà amorevole e presente. Per trasformarsi dovrà, tuttavia, rimettere in gioco se stesso e soprattutto quegli ideali borghesi su cui aveva fondato tutta la sua felicità.
Il romanzo di Gaia Manzini è proprio il libro che sfilaccia le certezze della borghesia milanese, che aveva goduto dei suoi splendori negli anni Ottanta e Novanta del secolo precedente. La fine traumatica di un rapporto coniugale genera un vortice di pulsioni nuove, indagini sul proprio passato e una rimessa in discussione dei cardini della propria vita: matrimonio, successo, denaro e vita borghese.
Quattro perni come quattro sono le figure centrali che le incastonano: Ivano, Lorenzo, Sofia e Anna. Un quadrilatero, come quello che contraddistingue Gli indifferenti di Alberto Moravia. Un successo che fu definito l’epopea della borghesia, mentre questo ne è l’esatto opposto.
La narrazione scorre sciolta, il tono è medio e il linguaggio è semplice. Non ci sono mai punti di tensione elevatissimi e sapientemente rarefatti sono i colpi di scena. L’attrazione che nasce pagina dopo pagina è data da una specie di atmosfera, per l’appunto moraviana e novecentesca, che a tratti si fa paralisi joyciana. Si potrebbe quasi dire ipnotica. Poca dinamicità nello svolgersi delle azioni, ma gran lavoro di architettura descrittiva dettagliata di spazi interni ed esterni. A tal punto che la metropoli meneghina invernale sembra ammaliare il lettore per i suoi particolari cittadini mai svelati.
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Lo stile tranquillo e piacevole non inganni chi si avvicini a questo romanzo. Si tratta infatti di libro affascinante, ma non semplice da comprendere. Gli stessi ideali borghesi su cui ha basato la propria vita questo padre sono gli stessi su cui la maggior parte di noi fonda la nostra. Vedere i contraccolpi delle delusioni in lui è come vederli dentro di noi.
Per l’uomo di oggi ammettere la crisi economica e finanziaria attuale è confermare la disfatta della società borghese. Ben più complesso è ripartire daccapo, proprio come fa il protagonista. Dov’è l’ultima luce di fronte alla galleria infinita di delusioni e disillusioni? Cosa significa amare come padre e non come marito? Quanto è complesso il rapporto padre-figlia?
La soluzione c’è. Saper ricominciare, riconciliando con il passato. E poi c’è un’altra luce… l’acqua. In Ultima la luce l’elemento acquatico è una delle poche certezze di Ivano. Lui, ingegnere, gran nuotatore, trova nell’acqua la vita e recupera un senso, rinasce e trova la spinta per tornare a vivere. Il ritorno alla vita è la sfida che viene vinta da Ivano e dalla sua creatrice.
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