Un romanzo che è come un album. “Disintegrazione” di Vincent Raynaud
Disintegrazione (Il Saggiatore, 2020, traduzione di B. Alessandro d’Onofrio) è l’opera prima di Vincent Raynaud, pubblicata in Francia per L’Iconoclaste con il titolo Toutes les planètes que nous croisons sont mortes.
Siamo a Parigi, a metà degli anni Settanta. Tristan Lavarini è un giovane adolescente e proviene da una famiglia benestante la cui madre è un soprano svedese famosa a livello mondiale e suo padre un famoso sinologo. Ha un fratello maggiore, Gilles, che adora e che si prende cura di lui perché i suoi genitori sono spesso assenti in giro per il mondo a causa del lavoro. Gilles e Tristan studiano entrambi al conservatorio, Gilles si dedica al violino, Tristan al pianoforte. La sua vera passione però non è il pianoforte ma le percussioni. Un giorno, quando ha solo quattordici anni partecipa a un concerto rock e lì ha una e vera e propria rivelazione: vuole fare il batterista. Riesce a contattare un gruppo di musicisti, giovani come lui e diventa prima batterista e poi voce dei La Monstrueuse Parade. Intanto continua studiare la batteria diventando sempre più bravo. Prende il diploma di maturità e sogna di iscriversi a una scuola di cinema. Ma il destino è dietro l’angolo a cambiare tutte le carte. Si ritrova ad affrontare un dolore più grande di lui che lo annienta. È perso, si chiude in camera per due mesi senza mai uscirne fuori. Solo la musica riuscirà a tirarlo fuori da questo torpore e quindi decide di dedicarvisi completamente. Rinuncia ai suoi studi e comincia il suo viaggio nella musica, che va di pari passo con il suo personale viaggio di vita attraverso gli amici, gli amori, i concerti, i successi, le sconfitte, la droga e l’alcool.
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Disintegrazione racconta non solo il percorso di vita di Tristan, ma tutto un mondo, e Raynaud lo fa in maniera nuova, allontanandosi da tutti gli altri romanzi sul tema che spesso si concentrano su un breve periodo di vita dei personaggi per enfatizzare alcuni tratti e alcuni eccessi.
L’autore sceglie di raccontare un arco di tempo di quarant’anni, disegnando un ritratto molto dettagliato di Tristan che aumenta di spessore via via che gli anni passano. Gli umori, i dolori, gli amori si fondono con la musica che varia nel corso del tempo. Gli strumenti cambiano, i supporti tecnologici si evolvono, le etichette indie stanno scomparendo. Raynaud si preoccupa di contestualizzare, di spiegare e ciò consente al romanzo di essere oltre che una biografia (frutto dell’immaginazione) e un viaggio emozionante nell'industria discografica, una vera e propria odissea generazionale in cui la vita politica e sociale del paese determina scelte e percorsi.
Tristan incarna la figura dell'artista in modo estremo, è una persona che vive per la musica e per molto tempo le sacrifica tutto. Come Brian Wilson, vuole riuscire a suonare la musica che sente nella sua testa, è più importante di tutto il resto. Di conseguenza, a differenza di Antoine, che era il migliore amico e partecipa pienamente al suo tempo, con i suoi sconvolgimenti politici ed economici, che Tristan invece osserva con perplessità. Fa anche parte del suo lato egoista e antipatico, è un eroe difficile da amare. Il destino della Monstrous Parade ricorda la biografia di alcuni famosi gruppi rock di quegli anni come i Téléphone, gli Indochine o i Bashung, tutte influenze che si sovrappongono. La loro traiettoria parte dal rock metropolitano per raggiungere il mainstream, dai club agli stadi. È la strada per il successo, fino al giorno in cui i loro percorsi si separano. Se fossero di lingua inglese, sarebbero una miscela di Joy Division, Cure, New Order, Radiohead e Coldplay. La storia del gruppo nel romanzo si intreccia con quella di altri «pianeti», come John Cale, David Bowie, Daniel Darc, Johnny Marr e la colonna sonora è composta da brani immaginari ma anche da veri brani fantasma (nascosti in un album) che sono elencati alla fine.
Raynaud ha saputo raccontare l’atmosfera di quegli anni attraverso la descrizione di tutto ciò che ruota intorno alla musica: i concerti, i piccoli palchi e poi i grandi, l'agitazione, le tentazioni, l'oblio, la perdita di orientamento, l'intimità che brucia. E alla fine è la canzone che fa la differenza. Quello di Disintegrazione è un audace dispositivo formale composto da quindici capitoli, rigorosamente cronologici, intervallati da brevi sequenze sotto forma di lampi, sogni, spesso onniscienti e talvolta provenienti dal futuro. Le frasi sono volontariamente interminabili, all’incirca una per capitolo, che scorrono come un flusso di coscienza o un assolo di chitarra quasi a suggerire il carattere fugace e irrimediabile del destino dando l'idea prevalente che tutto vada troppo veloce e che a malapena abbiamo il tempo di respirare.
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La musica quindi non è solo una colonna sonora che accompagna la storia, ma una vera e propria organizzazione, una struttura ritmica. In un certo senso il romanzo è come se fosse un album composto da sedici brani intervallati da intermezzi. Ognuna di queste tracce è una canzone, con il suo tono, la sua melodia. Eliminando ogni eccesso, avverbi, aggettivi, subordinate rimane la sostanza della parola che acquista un'estetica minimalista, per certi versi punk. Forse il titolo originale, Toutes les planètes que nous croisons sont mortes, meglio spiega il vero significato dell’opera, un romanzo sulla disillusione, sulla presa di coscienza della fine di un mondo con tutti gli ideali che ne fanno parte. E così anche la notorietà è solo uno specchio per le allodole. L’unico conforto che resta è quello di aver vissuto, almeno in parte i propri sogni. Forse il tempo è stato breve, forse era quello giusto, non possiamo saperlo.
Per la prima foto, copyright: Jefferson Santos su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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