Un romanzo appassionato e intrigante. “Come un respiro” di Ferzan Ozpetek
Un romanzo d'amore, in parte sì; un romanzo epistolare, in buona parte sì; un romanzo famigliare, in piccola parte sì. È una somma di generi romanzeschi l'ultima fatica letteraria di Ferzan Ozpetek Come un respiro, edito da Mondadori nella collana Strade Blu.
Un'opera romanzesca che in potenziale può essere un film? Difficile da dire, anche se nella trama e nel pathos che emana la possibilità che una pellicola cinematografica prenda luce non è impensabile. Perché in questa storia che intreccia presente e passato ci sono tutte le caratteristiche del vissuto dei protagonisti di Ozpetek.
A partire, per esempio, dal contesto introduttivo, tipicamente “ozpetekiano” (se ci consentite il neologismo). Una casa, che dall'arredamento e dai pochi segnali presenti, sembra ambientata negli anni Novanta. A Roma (città nella quale spesso il regista ha collocato le sue storie). Ritrovo di giovani ragazzi, non più ventenni, ma nemmeno over quaranta. O almeno così sembrano dall'aspetto i sei conviviali: Sergio e Giovanna, Giulio ed Elena, Annamaria e Leonardo. Uomini e donne della media borghesia (avvocati o dottori) che possono essere interpretati dalle facce pulite e semplici di un Luca Argentero, Stefano Accorsi, Ambra Angioini, Pierfrancesco Favino, ecc.
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Ragazzi modesti. Sereni. Con in testa progetti di vita. Coppie con futuri bambini? O coppie che scoppiano? O coppie che celano la propria omosessualità. Questa sola reticenza sociale lascia presagire che l'ambientazione narrativa sia stata ancora una volta quella dell'ultimo decennio scorso.
Ma dato che non ci sono riferimenti chiari, temporali o spaziali o sociali, restiamo nel campo delle ipotesi.
Insomma, si diceva, che queste coppie si ritrovano in una casa di Roma. La casa è di Sergio e Giovanna. L'occasione: un pranzo domenicale. I due padroni di casa sono in attesa dei loro amici, quando alla porta bussa una signora anziana che subito affascina entrambi.
Così la introduce il narratore:
«Una signora un po' appesantita dall'età, deve aver passato la settantina. I capelli, tinti di biondo, le sfiorano le spalle lasciando intravede un paio di preziosi orecchini antichi. Indossa un abito di lino color blu petrolio di ottima fattura, che le fascia la figura morbida senza evidenziarla troppo. Al collo porta una collana di ambra e tra le mani stringe un'elegante borsa ricamata. Il volto è solcato da una fitta rete di rughe, ma Sergio non ci fa caso perché a catturarlo sono gli occhi verdi e magnetici, sottolineati da una linea un po' incerta di kajal».
Insomma Sergio e poco dopo Giovanna si trovano di fronte, inaspettatamente, una signora che ipnotizza con lo sguardo e al cui fascino non possono resistere. Tanto è vero che la invitano ad accomodarsi. Ed entra così a far parte della tavolata del pranzo.
Il suon nome è Elsa Conforti. I ragazzi, al pari di Giovanna e Sergio, sono quasi attratti come una calamita dall'eleganza del portamento. Dal modo di esprimersi cordiale e forbito. E infine da quella terra, che spesso per noi europei occidentali evoca curiosità, fascino e mistero: la Turchia. Ma ancora più enigmatico è l'aver saputo che non vede la sorella da cinquant'anni.
Non pare il caso di raccontare cosa accadrà dopo questo incontro. Si toglierebbe al lettore il gusto di leggerlo. Forse non avremmo dovuto nemmeno far entrare in scena Elsa. Quella che Propp, nella sua cristallizzazione fiabesca, definirebbe “movente” della rottura dell'equilibrio. Ma, per far capire quale relazione ci possa essere fra quei ragazzi spensierati e la signora intrigante era necessario almeno parlarne un po'.
Perché fondamentalmente Come un respiro di Ferzan Ozpetek è un romanzo doppio. Da una parte le lettere che Elsa ha scritto nel tempo alla sorella creano un romanzo epistolare; dall'altra il romanzo moderno che si dipana fra la full immersion nella giornata domenicale e la storia dilatata di un travaglio famigliare. Sarà l'austera e controllata Adele, sorella di Elsa, a prendere le veci di quest’ultima. Ma i ragazzi resteranno comunque incantati davanti al fluire magmatico e magnetico delle vicende delle due sorelle.
È un libro dedicato all'amore? Non si sa. Che Ferzan Ozpetek non dimentichi mai il valore assoluto del sentimento amoroso nelle sue trame è ormai cosa consolidata. E quale amore? Da quei pochi elementi presenti nel paratesto, il lettore propende per un amore dal doppio risvolto: incontenibile, incontrollabile, passionale da una parte; tremendamente sconfortante, tragico e ingannevole dall'altra.
Il primo indizio di questo sentimento strampalato è in quei pochi versi di un poeta anonimo turco:
«Ti amo e non sai
quanto mi spazza il cuore
il fatto che sia tutto qui.»
Il secondo è preso da uno dei film dello stesso scrittore Mine vaganti:
«Gli amori impossibili non finiscono mai».
Che il sentimento lussurioso e ardimentoso sia una condanna a vita per l'innamorato lo si aveva capito già nel romanzo precedente Sei tutta la mia vita. E pure lì trovavamo, in un caleidoscopio sociale completamente differente, la forma novecentesca di un romanzo epistolare, per la quale Ozptek sembra avere una speciale predilezione. Non lettere di innamorato questa volta. Bensì di una sorella che nella forma scrittoria riscopre tutto il sapore amaro di una sorellanza purtroppo dispersa.
E i due romanzi viaggiano in parallelo o quasi. E l'uno è il contrafforte emotivo dell'altro. Seppur, come nel precedente romanzo dello scrittore turco, è sempre e solo il mittente ad aprire e chiudere lo scambio epistolare (il motivo non può essere svelato), il lettore accorto capirà che il personaggio di Elsa avrà sempre dentro di sé un rimpianto perenne. Lei, come personaggio principale, avrà un suo sviluppo a parte: dalla ragazzetta impetuosa e irrequieta che partì da sola, si arriva, nel corso della vita, a una donna avvenente e matura. Forte e temprata.
Ed Elsa è il nostro sguardo sull'altro piano spazio-temporale del romanzo: l'Anatolia, in particolare Istanbul, degli anni Sessanta e Settanta.
Così il romanzo di Ferzan Ozptek diventa, se possiamo usare un linguaggio meta-cinematografico, un luogo letterario di interesse culturale. Cosa sappiamo della Turchia? Delle sue tradizioni? Del suo cibo e della sua mentalità?
Anche se oggi abbiamo qualche informazione in più dal web, dai video e dai social, pochi di noi sanno come si viveva cinquanta o sessant’anni fa. Così poter assistere indirettamente alle gioie e al giubilo di una cerimonia, come il sunnet (il taglio del prepuzio), è un piacere anche per tutti noi lettori del 2020.
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Molto probabilmente nell'Elsa che dal nulla si ritrova in Turchia Ferzan Ozpetek ha recuperato ricordi d'infanzia e storie tramandate della penisola anatolica del dopoguerra.
Un quadro geo-sociale in movimento e in perenne mutazione fra feste religiose, caffè di costume europeo e hammam promiscui.
Il tema principale nel romanzo resta comunque l'amore e la vita. Ancora una volta il regista, pur restando fuori dalla storia presentata (Sei la mia vita era più autoreferenziale) non dimentica di snocciolare la delicatezza passionale dei suoi poeti (Nazim Hikmet e Szymborska), la sofferenza del proprio IO innamorato (la dedica allo stesso innamorato Simone è un ulteriore passo) e affida alle parole scritte di Elsa il sunto finale di tutta la storia, anzi di tutta la sofferenza amorosa
«Abbiamo continuato a consumarci, ciascuna prigioniera delle proprie colpe. Bruciate dalla stessa passione, ci siamo lasciati come due amanti».
E chiosa così sul significato della propria storia:
«Poco importa: la vita scorre come un respiro. E dentro ci lascia la nostalgia per ciò che avremmo potuto fare e la consapevolezza di ciò che siamo diventate».
Qui c'è dentro tutto il vissuto di Ozpetek: passato, presente, futuro, vita, amore, speranza, rimpianto, felicità e tristezza.Questa è la vita.
Per la prima foto, copyright: Huyen Nguyen su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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