Un romanzo al contrario. “Binari” di Monica Pezzella
Monica Pezzella, già nota negli ambienti letterari, fondatrice della rivista sui generis «Quarta corda», ha pubblicato racconti su riviste di pregio, come «Nazione Indiana» e «TerraNullìus», esce con la sua opera di esordio nel 2020, Binari, con la casa editrice Terrarossa di Giovanni Turi, nella collana “Sperimentali”. Nessuna collana potrebbe essere più adatta alla scrittrice, che di fatto esperimenta, portandolo alle estreme conseguenze, quello “stile verticale”, unico requisito richiesto per essere pubblicati sulla rivista da lei fondata.
Binari è un pugno allo stomaco, uno schiaffo ruvido in una notte di inverno; avverso a qualsiasi cliché letterario o modaiolo, è un romanzo al contrario, dove inizio e fine si confondono, dove fabula e intreccio, categorie tradizionali, implodono ed esplodono; comunque saltano per aria con buona pace del lettore che non vuole rischiare. Qui invece si rischia, e di grosso: si perdono le coordinate letterarie e, quindi, anche quelle esistenziali.
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E poi, è un romanzo o un racconto lungo? Domanda insufficiente e mal posta, che certo non affronta né esaurisce la portata rivoluzionaria di questo breve testo che è diretto a chi nella vita/letteratura vuole osare. L’audace sperimentatrice comincia in modo straniante con quella lettera del neon che non c’è più: hotel o motel, questo è il problema! Mentre la Voce prepara il terreno per raccontare principalmente di Marcel e Ale, anche se ci sono comparse secondarie.
«La prima lettera dell’insegna nel vicolo si è spenta. Non si sente niente ma è come se il ronzio del neon in embolia riuscisse a trascinarsi fin lì nonostante la morte che se lo tira dietro. Fino all’angolo, sul balcone che gira e da cui si può spiare. Il dubbio è arrivato in quel momento quando questa Voce ha sentito il rantolo. Era hotel o motel?»
Già l’incipit dà la misura della genialità della scrittrice: quella lettera mancante offre la percezione del decadimento delle strutture, ci trascina in un tempo senza tempo dove tutto o nulla può avvenire. Marcel è un uomo che ama le linee delle cattedrali e le geometrie, le cose in ordine, insomma; è molto desiderato dalle donne, ma l’animale che si porta dentro lo destruttura; vive la sessualità con un elemento istintuale misto a quella noia che gli è connaturata, fino all’incontro col giovinetto Ale, di cui si innamora. È, quella di Monica, una scrittura che spiazza e seduce, per cui ti chiedi se è veramente lei, proprio lei, a sentire questo mondo così conturbante in cui si avverte però un bisogno di “casa”, che è poi l’ordine, il quotidiano, ma anche la “casa di Psiche”, come direbbe Umberto Galimberti: il centro del nostro esistere, lì dove tutto si ricompatta e ritorna in un senso logico.
«Qualcuno avrebbe potuto desiderare di guardare dentro la loro intimità e la certezza che nessuno potesse farlo lo teneva al sicuro in un’idea accogliente. Un’idea, pensava, di casa. L’idea più simile alla sua idea di casa. L’università lo studio il cantiere, la stazione. La stazione. L’umanità non poteva starci ferma, tutti sembravano dispersi nel formicolio, esuli scampati a qualcosa. La casa è un luogo immobile. Ricomporsi tornare individui… Il fatto che tutti se ne tornino a casa, al proprio insieme chiuso, conferma che dentro il formicolio c’è l’ordine.»
Struttura e destruttura, formicolio e ordine, stanno nel libro come nell’anima di chi lo scrive; l’aspirazione all’ordine è universale e atavico, perché questo ci rende individui, che dal latino significa differenziati, non divisi nell’interno. La struttura ci conforta, ci distingue, e Binari, nonostante la tecnica dell’affastellamento di parole e cose e pagine senza punteggiatura, ha una struttura forte, che travolge il lettore, lo schianta a terra, lo fa rabbrividire e lo riconduce dal formicolio alla casa. Protagonisti sono, dicevo, Marcel e Ale, ma il vero protagonista è Eros, la prima divinità secondo i Greci. Come nel Simposio platonico, ci si chiede cosa mai sia. Dice Dareh in un convito di architetti: «E quindi cos’è? Per voi, cioè ve lo sto chiedendo. Un sentimento, questo è banale, direi per tutti. Un bisogno? Un istinto? Un desiderio? Eros, attrazione, come per i Greci? Un’illusione? Un’arte? Un mito? Un’utopia? Un mistero? Per noi cristiani è diventato un mistero. E se non sono un cristiano ma un individuo, come voi qui e adesso davanti a me che vi pongo la domanda, immagino che per liquidarmi, ma mi verrebbe il dubbio che non interessa, direi che l’amore è un mistero...».
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Come nel Simposio, non c’è una verità, ma tante verità a confronto. Certo l’amore destabilizza, ci fa perdere il centro, come accade a Marcel e ad Ale, è un coacervo di sentimenti e sensazioni che ci riportano al formicolio delle stazioni, tenendoci spesso su binari diversi, perché i tempi interiori sono sempre lontani. Ho trovato questo aspetto molto dannunziano.
Binari anche perché, una volta sperimentato Eros, non si può più tornare indietro, sei cambiato per sempre, così come durante e dopo la lettura di questo prezioso libro, che ti ha scompigliato i capelli e sferzato in una notte d’inverno.
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