Un passato bisognoso di mani rinnovatrici. “Ora dimmi di te. Lettera a Matilda” di Andrea Camilleri
Come sarà il mondo fra vent’anni? Andrea Camilleri non riesce a dargli una forma nella sua testa di novantaduenne, conscio dell’impossibilità di abitarlo, osservarlo, conoscerlo. Quello è infatti un tempo che apparterrà alle nuove generazioni di cui fa parte anche la sua pronipote Matilda, una bambina di quattro anni a cui dedica il suo ultimo libro Ora dimmi di te. Lettera a Matilda (Bompiani, 2018).
Si tratta di una lunga epistola redatta per colmare quella distanza temporale che impedirà loro di ritrovarsi uno di fronte all’altra e di parlarsi, mescolando l’alfabeto di un’esistenza al tramonto e di una vita ai suoi albori. Ed è proprio dalla consapevolezza di questa opportunità negata che nasce la narrazione delle vicende professionali e private dello scrittore e regista teatrale, che si intrecciano con avvenimenti storici, politici e sociali, significativi non solo per la sua maturazione personale, ma per quella di un intero Paese, sempre più bisognoso di emanciparsi dal passato e di affidarsi alle mani rinnovatrici dei suoi giovani.
«Ai molto giovani, che mi vengono a trovare in questi ultimi tempi domandando consigli, io rispondo che hanno un preciso dovere: quello di fare tabula rasa di noi. Noi oggi siamo dei morti che camminano. Morti nel senso che le nostre idee, le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro...»
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Sono parole cariche di fiducia nell’umanità quelle consegnate da Camilleri a questa bambina simbolo del mondo che verrà, pagine che raccontano con lucidità e senza remore anche le difficoltà e gli errori dell’artista, da una parte, e le fragilità e i difetti dell’uomo dall’altra, portando alla luce le tappe di un percorso di vita segnato dall’amicizia, dagli incontri, dall’amore, dalla famiglia e dai rapporti professionali, attraversati talvolta da conflitti e incomprensioni.
Tuttavia in questo viaggio indietro nel tempo non si percepisce mai la nostalgia, al contrario, ciò che arriva dritto all’animo del lettore è un forte desiderio di farsi conoscere attraverso la propria voce, facendosi portatore diretto della propria memoria, con il coraggio di chi vuole consegnare il racconto della propria esistenza senza correzioni, nella sua forma più essenziale e veritiera.
«Non vorrei che ti facessi di me un’idea errata.
Anche io ho commesso errori, anche io ho sbagliato, ma ho sbagliato, credimi, non sapendo di sbagliare. Certe volte ho avuto torto, però quando me ne sono reso conto, ho domandato scusa.
Anche io, soprattutto nel periodo della giovinezza, ho detto delle menzogne. Menzogne, attenzione, non falsità. Poi ho smesso e ho detto sempre la verità...»
Ed è infatti la sincerità il motore di questo dialogo in cui Camilleri non si risparmia nemmeno autocritiche e ammissioni di errori, consegnando a Matilda, e a tutti noi lettori, inaspettati spaccati della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua gioventù e del suo percorso artistico, fortemente dominato dalla lettura delle opere teatrali e dai suoi lavori in questo ambito. È così che ci si trova di fronte a un Camilleri bambino appassionato di libri, ma insofferente alla regole e alla disciplina, a un Camilleri dapprima sostenitore dell’ideologia fascista e poi lucido critico e oppositore, un Camilleri che, intollerante alle ingiustizie sociali, si riconosce nelle idee del partito comunista, ma da cui è capace di prendere le distanze nel momento in cui acquista coscienza della sua deriva autoritaria; un Camilleri cacciato per condotta immorale dall’Accademia nazionale d’arte drammatica di Roma; un Camilleri che, come qualsiasi uomo in procinto di sposarsi, viene assalito dai dubbi, mettendo temporaneamente in discussione l’amore per Rosetta, la donna che lui stesso definisce “la spina dorsale della sua esistenza”; un Camilleri irrazionale allorché si lascia travolgere dalla rabbia e mette a rischio la sua vita, insultando apertamente la mafia nel corso di un agguato nella sua terra natia; un Camilleri che, di fronte ai rifiuti dell’editoria, non abbandona la scrittura, ma persevera fino al successo, che arriva con i primi due romanzi dedicati all’ormai famoso in tutto il mondo Commissario Montalbano, pur conservando l’umiltà che lo ha accompagnato negli otto anni impiegati per dire addio al teatro e ritornare all’iniziale amore per la poesia e i racconti.
«Insomma, sono diventato uno scrittore di grandissimo successo, ma voglio confessarti che non sono mai riuscito a spiegarmene le ragioni. Ho sempre scritto quello che mi sentivo di scrivere senza nessuna concessione al gusto del pubblico.
Sono rimasto fedele a me stesso, alla mia scrittura, a quella scrittura che è un work in progress...»
E se da un lato l’autore, con un linguaggio costantemente semplice e scorrevole come quello di una favola, svela aneddoti relativi alla sua sfera privata e professionale, dall’altro non mancano riflessioni di tipo politico, che investono tematiche al centro dei dibattiti attuali: dall’Unione Europea alla corruzione, dal terrorismo all’immigrazione, soffermandosi in particolare sulla diffidenza crescente verso lo straniero. E anche in questo caso, Camilleri filtra il suo pensiero attraverso la narrazione di un episodio che lo ha toccato da vicino e che, mettendo contemporaneamente in risalto la sua fragilità umana, ci consegna la misura dell’insensata paura, ormai diffusa, dell’altro.
«E poi in nome di cosa chiudiamo la porta in faccia a chi fugge dagli orrori della guerra e della fame?
Noi italiani siamo stati un popolo di emigranti, a milioni ci siamo dispersi nel mondo, dagli Stati Uniti alla Germania al Belgio, e sappiamo quanto costi abbandonare il proprio paese, i propri cari, le proprie abitudini.
L’ “altro” sei tu che ti guardi allo specchio. L’ “altro” sei tu. Come erano altri gli italiani emigranti.»
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Queste centododici pagine che lo scrittore siciliano ci consegna non sono mai attraversate da intenti giudicanti, né appaiono l’espressione presuntuosa di una posizione considerata universalmente giusta e veritiera, al contrario sono un invito all’apertura verso l’altro, che si tratti dell’immigrato o di un qualsiasi interlocutore con idee diverse da noi, alla disponibilità a lasciarsi contaminare dalla conoscenza altrui e a cambiare la propria opinione, in virtù di quell’insegnamento di vita che lo stesso Camilleri ha ricevuto da Orazio Costa, di cui è stato allievo.
«Non condividere le idee di un altro non significa che esse siano poco intelligenti o poco motivate.»
Il confronto è la linfa vitale del cambiamento e del miglioramento non solo di una società, ma anche di un individuo e Camilleri ne ha avuto la prova nei suoi anni di insegnamento allorché, per sua stessa ammissione, si è nutrito della forza rigeneratrice dei suoi allievi.
E in questa lunga lettera rivolta a Matilda si riflette tutta quella curiosità che ha attraversato la sua esistenza artistica e umana, e che lo spinge a dare fiducia alle nuove generazioni, le cui mani sono, a suo parere, le uniche portatrici di rinnovamento e capaci di ascoltare le voci del passato, ma allo stesso tempo di lasciarle scivolare via e sostituirle, con una nuova voce: quella di un futuro generatore di nuovi ideali e nuove convinzioni, ma portatore sempre di libertà.
Per la prima foto, copyright: OC Gonzalez.
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