Un Pakistan dilaniato dall’intolleranza religiosa. “Il libro dell’acqua e altri specchi” di Nadeem Aslam
L’ultimo romanzo di Nadeem Aslam ha un titolo che quasi farebbe pensare al genere fantasy: Il libro dell’acqua e altri specchi, edito in Italia da Add Editore e tradotto da Norman Gobetti. Se si conosce l’autore o anche solo se si sfogliano le prime pagine del prologo, ci si rende conto invece che la storia sembra ambientata in un universo simile al nostro, che ci tocca fin da subito pur mantenendo il suo tono a metà fra il poetico e l’epico. Nell’opera, in effetti, esiste un Pakistan con una città di nome Zamana, che nel nostro mondo è inesistente ma che assomiglia punto per punto a molti centri urbani contemporanei del Paese.
In una casa che si fonda sull’interculturalità e sulla storia, sul fascino delle cattedrali europee e su fotografie d’epoca, vive Helen, una bambina di sette anni la cui storia personale è già stata segnata dalla morte della madre Grace. Un secondo episodio sfiora la sua vita da vicino, quando un parente acquisito muore casualmente durante un conflitto armato per strada. Il suo nome è Massud, un architetto di tutto rispetto, amante dell’arte e compagno affettuoso di Nargis, che dopo la sua morte è costretta a fare i conti con una realtà pericolosa e sofferta. In una nazione sempre più contrassegnata dalla cristianofobia, infatti, molti hanno preso a fingersi musulmani per sfuggire alle persecuzioni, per quanto d’un tratto gli altoparlanti dei minareti diventino i microfoni di delazioni sempre più frequenti e la stessa Nargis debba prendere numerose precauzioni affinché la sua fede di nascita e il suo nome di battesimo, Margaret, non vengano scoperte.
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Altrettanto coinvolti in questo groviglio di politica marcia ed estremismi religiosi sono Lily, padre di Helen, e il giovane Imram, che, originario del Kashmir, aveva già conosciuto episodi di oppressione nella sua terra e tenta ora di aiutare Nargis ed Helen stessa a non essere scovate mentre il padre della ragazza attira su di sé le sopraffazioni della comunità araba senza riuscire a liberarsene.
La penna dello scrittore pakistano naturalizzato britannico si destreggia quindi fra un regime del terrore soffocante e rapporti personali basati su una fiducia più sacra di qualsiasi credo, accompagnando chi legge in un panorama inquietante e nostalgico al tempo stesso, nel quale c’è spazio tanto per l’esaltazione dei rapporti privati quanto per l’incoraggiamento alla resistenza pubblica.
L’ambientazione apparentemente finzionale si svela quindi in tutta la sua brutale veridicità, aprendo il varco a una denuncia sociale e intergenerazionale spietata. A essa si oppone di continuo un linguaggio delicato, evocativo, che non può fare a meno di registrare la presenza del male, ma che sembra sempre intento a esorcizzarlo attraverso la riflessione, la bontà dei piccoli gesti quotidiani e i grandi atti di coraggio dei protagonisti. L’unico modo per contrastare la brutalità dell’intolleranza e dell’odio che serpeggia di finestra in finestra tra i vicini dello stesso quartiere, d’altronde, consiste nell’ascolto reciproco e nell’osservazione del diverso: è solo guardandosi attorno senza pregiudizi che si riesce a sfatare il mito dei cristiani dal sangue nero e a comprendere che un cordone ombelicale unisce indissolubilmente culture all’apparenza distanti fra loro.
«Si intitolava "Affinché si conoscano a vicenda", parole ispirate da un versetto del Corano», scrive non a caso Nadeem Aslam, in riferimento a un volume che, nell’intreccio dell’opera, sarebbe stato creato con l’intento di evidenziare i legami tra civiltà differenti fra loro, un po’ come accade ne Il libro dell’acqua e altri specchi medesimo. Leggere di carceri disumane e di cieche ingiustizie è, dopotutto, l’occasione per prendere le distanze da una dimensione corrotta e vigliacca del potere, che sulle differenze costruisce distorsioni e paure, ma che non è in grado di sradicare la dolcezza contagiosa di chi rammenta le tradizioni del Pakistan e la sua predisposizione all’accoglienza.
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È così, oscillando tra il “sublime e l'immondo”, fra la finzione e la verosimiglianza, che si ricuce con fatica la bandiera del Paese (non a caso contraddistinta da due colori, simbolicamente associati a due distinte religioni) e che si può tornare a sentire la musica di una memoria collettiva comune nel silenzio pacifico della notte. Un traguardo forse ancora difficile da raggiungere al di fuori della dimensione letteraria proposta dall’autore, ma che quantomeno, a lettura ultimata, si comprende riguardare non solo una specifica area del pianeta, bensì il genere umano nella sua totalità.
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