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“Un Paese ci vuole” di Silvia Truzzi: 16 italiani si raccontano

“Un Paese ci vuole” di Silvia Truzzi: 16 italiani si raccontanoUn Paese ci vuole nasce nell’autunno del 2013, quando Antonio Padellaro (ex direttore de «Il Fatto Quotidiano») chiese a Silvia Truzzi di stilare una lista di persone da intervistare.

L’idea era quella di iniziare una serie con l’obiettivo, impervio, di capire come stesse l’Italia di allora, che poi non è altro che la stessa incerta Italia di oggi. Il risultato fu un elenco di 16 personaggi graziosamente soprannominati “uomini con i capelli bianchi”. Sotto ferma richiesta del direttore non si tratta di politici, ma di protagonisti della cultura italiana che hanno ancora qualcosa da dire e lo dicono ad alta voce perché in fondo, nel loro Paese, non hanno smesso di crederci.

É questa la genesi di Autografi, una serie di 16 interviste pubblicate fra le pagine de «Il Fatto Quotidiano» e divenute oggi il principale contenuto di Un Paese ci vuole (edito da Longanesi).

Le tematiche sono semplici e attuali: si parla di politica, è chiaro, ma anche di cultura, progresso, dell'attuale società italiana e delle cause del suo declino, si parla di vecchi, di giovani e del ruolo ormai obsoleto degli intellettuali.

«La febbre è alta» risponde Camilleri a una domanda sulla salute della penisola, «siamo in un momento di decadenza: la crisi della politica rappresenta la crisi della società. La politica è uno specchio: riflette ciò che siamo noi. Gli intellettuali possono essere anticorpi alla crisi finché hanno credito […] ma oggi chi li potrebbe ascoltare? A chi si rivolgono gli intellettuali?».

Il saggio di Silvia Truzzi vuole essere una sorta di accusa contro la politica che ha ridisegnato il nostro Paese con le fattezze di un mostro, è una polemica contro la “rottamazione” ma è anche una specie di inno, all’Italia e alla sua cultura che in qualche modo non è ancora morta ma è lì, pronta a rinascere attraverso nuove giovani personalità.

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“Un Paese ci vuole” di Silvia Truzzi: 16 italiani si raccontanoPerché i problemi della nostra penisola non sono solo economi, è molto peggio di così. Ciò che manca alle ultime generazioni è la cultura, e non stiamo parlando di una cultura appresa fra i banchi di scuola (quella che ancora esiste e odora di naftalina), si parla di una cultura che i “vecchi giovani” apprendevano leggendo, parlando, semplicemente vivendo.

«Questa nostra epoca» afferma sempre Camilleri «non dà alcun valore al sapere. Abbiamo ministri che arrivano e ti dicono che con la cultura non si mangia, anche se è una sciocchezza. Però lo dicono, intanto».

Silvia Truzzi chiama in causa il loro parere nei confronti di una società che si è perduta a causa della regressione culturale ma che può ancora splendere, tutto ciò che deve fare è rinascere come una fenice dalle sue stesse ceneri.

Ma chi sono davvero i cosiddetti “autografi” di Un Paese ci vuole? Andrea Camilleri, Luciana Castellina, Guido Ceronetti, Pietro Citati, Gherardo Colombo, Massimo Fini, Vittorio Gregotti, Claudio Magris, Dacia Maraini, Piergaetano Marchetti, Pietro Ottone, Giampaolo Pansa, Stefano Rodotà, Giovanni Sartori, Emanuele Severino e Gustavo Zagrebelsky.

Autorità che hanno conosciuto la seconda guerra mondiale, che hanno subito la dittatura e la fame ma che non per questo hanno smesso di sperare. É da loro che la nostra mediocre classe politica dovrebbe prendere esempio, dalle loro parole e dalle loro sottili speranze nei confronti di un futuro che non solo può, ma deve essere migliore.

Silvia Truzzi è una giornalista de «Il Fatto Quotidiano» fin dalla sua fondazione nel 2009. Laureata in giurisprudenza e vincitrice, tra gli altri, del Premio giornalistico internazionale Santa Margherita Ligure per la cultura e del Premio satira Forte dei Marmi.

Un Paese ci vuole è la sua prima “opera” non prettamente giornalistica, scritta con una mano sicura e appassionata. Ogni domanda rivolta agli “uomini dai capelli bianchi” è chiara e mirata ma non per questo difficile da seguire, anzi. Più che interviste assomigliano a chiacchierate fra vecchi amici davanti a una tazza di tè, facili da seguire e spesso divertenti.

Silvia Truzzi ha scritto Un Paese ci vuole con un linguaggio schietto e sincero che non vuole costruire lapidi, ma seminare fiori.

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