Un libro moderno e atipico. “Il sistema del tatto” di Alejandra Costamagna
Se ricevi l’endorsement di Roberto Bolaño, vuol dire che probabilmente come scrittrice hai del talento cristallino. Il celebre scrittore cileno è un amante della letteratura raffinata e spregiudicata. Così ha dichiarato nel 1999 a proposito della giornalista cilena: «C’è una generazione di donne cilene scrittrici che promette di divorare ogni cosa. Due sono soprattutto i nomi principali. Queste sono Lina Meruane e Alejandra Costamagna, seguite da Nona Fernandeze da cinque o sei donne armate di buona letteratura».
Da quella frase sono passati ormai più di ventuno anni e le prime pubblicazioni della Costamagna sono uscite. Fra queste ancora oggi è considerato di valore il suo primo romanzo En voz baja. Un romanzo che parla di una bambina che scopre la verità sul padre arrestato e poi esiliato e di una madre che vive fra la menzogna e la ricerca di sé.
Una caratteristica base, confermata poi da questo stesso libro, è proprio il personaggio centrale e direi “epifanico” che l’autrice mette in scena. In Il sistema del tatto, pubblicato da Edicola Ediciones e con la traduzione di Maria Nicola, la ragazza che vive in stato ipnotico è Ania.
Cilena, che si trasferisce in Argentina con il padre (in un periodo attestabile negli anni Ottanta) e che da piccolina spesso passava le vacanze nella terra delle Pampas, in compagnia di un cugino paterno e i nonni. Da lì il soprannome con cui veniva apostrofata: chilenita. Quando, proprio il cugino paterno, Augustin, sta per lasciare questa terra, la ragazza (ormai quasi cinquantenne) torna nei territori dell’infanzia. In primis per adempiere alla messa liturgica e alle pratiche famigliari e poi per ritrovare se stessa nella vita.
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Ed è qui che, in una casa dimenticata da anni, riscopre o ritrova il contatto con i ricordi d’infanzia e soprattutto riscopre le origini familiari, aprendo una vecchia scatola di cartoline, documenti ufficiali e altri piccoli ninnoli.
Abbiamo detto “epifanico”, perché Ania è in cerca di risposte. Un rapporto con il padre troppo acido e scorbutico. Una difficoltà perenne a realizzarsi in amore come nel lavoro. Un rapporto di parentela, con la lontana cugina, troppo sprecato e disperso. Insomma uno stato d’inerzia e di distacco dalla realtà.
E forse per rifuggirla, questa realtà, serve far molti passi indietro nel passato. E così dalle memorie di cartoline, fotografie, da appunti sparsi emerge la figura di Nelida. Affascinante migrante italiana (Regione d’origine: il Piemonte) che attraversa il mare per arrivare in Argentina. Una figura emblematica delle difficoltà, delle angosce e della lacerazione dal paese natio. A tal punto che, alla guisa di un personaggio pirandelliano o sveviano, perderà il senno e il contatto stesso con la vita.
Una situazione, a distanza di un secolo, parallela alla nipote. Con la differenza che quest’ultima non ha vissuto un trauma migratorio. È lei che, nel suo viaggio interiore, non riesce a dare una svolta alla propria esistenza.
Il sistema del tatto, recuperando così una narrativa novecentesca (Proust e Borges), sovrappone i piani temporali.Con una tecnica che ormai è appannaggio del romanzo moderno, segue l’itinerario della donna cinquantenne alle prese con il ritorno in Argentina; nello stesso tempo, ripropone in primo piano lo sguardo del cugino paterno, che anni prima, nel periodo verde della propria vita si districava fra abbandonare il suo mondo o relegarsi per sempre a un ruolo chiuso, sfogando le proprie emozioni e frustrazioni su una cara vecchia macchina da scrivere.
E se dal punto di vista del contenuto, diremmo noi della trama cinematografica, la storia, come si vede, non regala emozioni da colpi di scena, da un punto di vista linguistico e narrativo il libro desta interesse.
Perché a proposito di cinema, Alejandra Costamagna sembra mettere in scena in sequenze microstrutturate quell’effetto Kuleshov del cinema russo degli anni Venti: l’oggetto-immagine è simulacro o, meglio, è proiezione di persone che non esistono più. L’accostamento oggetto e soggetto crea un montaggio scrittorio di impatto e fulmineità: macchina da scrivere – Augustin; libri d’orrore da leggere – Gariglio (l’amico dattilografo di Augustin); lettere e manuale del migrante –Nelida.
Lo scatto è rapido. Non c’è tempo per utilizzare locuzioni o perifrasi assertive. Non c’è tempo per girare intorno al pensiero di Ania. E subito la proiezione si fa viva. È davanti al lettore. Una donna, Nelida, che prende la propria valigia, affronta il viaggio, legge i consigli delle lettere del padre e sbarca in Argentina. Per arrivare poi a vivere a Campana, nei dintorni di Buenos Aires.
E se lo stacco, con capovolgimento della voce narrante in prima persona, è un esperimento letterario ben riuscito, colpisce ancor di più la mistura o la natura composita del genere.
Il sistema del tatto di Aleandra Costamagna non è un romanzo di genere. Non è un giallo, né noir, né drammatico, né amoroso, né thriller. In realtà non è nemmeno un romanzo, a ben pensarci. Perché la protagonista Ania non va quasi mai in azione. Gira su se stessa. Riporta pensieri, flashback, ricordi, frasi sussurrate e litigi. Ma l’azione fondamentalmente resta sempre ferma nello stesso punto: Campana.
Anche nell’incedere a ritroso, nelle vite degli altri, non c’è mai un racconto di un amore passionale o un’avventura. C’è solo uno scavare nella profondità dell’animo, per tramite degli oggetti.
Eppure lo definiamo romanzo. Ma stralci di un’enciclopedia o appunti sparsi di un manuale di migrante o esercizi di dattilografia riportati sono un elemento del romanzo?
No, finora non li avevamo mai visti. Finora avevamo visto romanzi epistolari o nel tempo moderno romanzi dove il social appare fra chatting e tag, ma pezzi di altri testi, come in questo caso mai.
Ed è forse un modo, quello di spezzettare la struttura del romanzo in frazioni fatte anche di soli esercizi dattilografici riportati (ex abrupto), una chiave di lettura nuova del nostro mondo. Totalmente scomposto, disperso e destrutturato da aver perso le coordinate cronotopiche della letteratura stessa.
Ancora recuperando una chiave cinematografica, Il sistema del tatto si fa simile a un altro capolavoro del montaggio cinematografico: Quarto potere di Orson Wells. Altri testi scritti, altri testi-oggetto ci parlano del soggetto. Ci parlano del passato.
E se andiamo in fondo alla sperimentazione messa in atto dalla scrittrice, non possiamo non concludere con un altro interessante elemento scritturale: la scrittura surrealistica. Ania non ha filtri. Ciò che le passa in testa, diventa una frase. Per cui a tratti l’aspetto surrealistico di un dettato che oscilla fra conscio e inconscio è preponderante. Troviamo periodi che sono un affastellamento di immagini–piano sequenza quasi caleidoscopiche. Passato, presente, futuro. Futuro, presente e passato. La confusione cognitiva di Ania è riflessa specularmente sulla pagina. La sua visione fantasiosa della vita (n contrasto con la concretezza e il cinismo di chi la circonda) è a volte strabordante. Il periodo si perde via e segue le visioni bizzarre della stessa protagonista.
Ed è proprio in questo aspetto e nella simultaneità dei due piani narrativi che il libro pecca di eccessivo squilibrio.
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Il lettore spesso si disperde. Spesso il passaggio è troppo improvviso e talvolta si genera confusione.
Oltre a ciò, c’è da dire che questo tipo di romanzo può essere gradito a chi non contempla come parte fondamentale di una storia l’action cinematografica. L’inerzia novecentesca che lo fonda e lo costella non sparisce mai. Il colpo di scena che il lettore si aspetta non arriva mai.
E così passa in seconda piano quell’aspetto più volte evidenziato dalla critica, di una storia che parla di migrazione. Una storia che rappresenta tante storie di oggi. Luoghi e temi ormai triti e ritriti che hanno valore morale e che meritano rispetto, ma che qui in questo romanzo non emergono come chiave di lettura.
Il sistema del tatto è un romanzo sperimentale, basato su una struttura linguistica del discorso riportato e del pensiero riportato. Non vuole far emergere temi scandalosi e nemmeno vuole impartire lezioni etiche. È una storia costruita con originalità e probabilmente passione, ma va presa così com’è. Senza cercare chiavi politiche o troppo moralistiche.
Per la prima foto, copyright: Loïc Mermilliod su Unsplash.
Per la seconda foto, la fonte è qui.
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