Un libro insolito. “Ritmi di veglia” di Raffaella D’Elia
Ritmi di veglia di Raffaella D’Elia (Exòrma, 2019) è un libro di cui non è agevole parlare, perché non presenta una trama che possa essere riassunta facilmente: un po’ romanzo, un po’ saggio, ci racconta i pensieri, le riflessioni, le giornate di una protagonista, Ida, di cui in realtà non sappiamo quasi nulla, nemmeno l’età. È una giovane donna che vive da sola a Roma e si muove per la città compiendo i gesti quotidiani che possono appartenere a ciascuno di noi, come bere un cappuccino al bar, fare la spesa al supermercato o acquistare una medicina in una farmacia, ma inseguendo al tempo stesso il filo complesso dei pensieri che l’accompagnano, a partire dai sonni interrotti che determinano appunto i “ritmi di veglia” del titolo.
Da questi pensieri, il cui percorso è vago, complesso e tutt’altro che lineare, veniamo a conoscere, tra l’altro, il suo rapporto compulsivo con la scrittura, che l’ha portata a riempire armadi di diari e quaderni in cui si è raccontata. Sappiamo che ha una madre, a cui rivolge domande destinate a restare senza risposta, che insegna fisica in una scuola e che la passione per la danza segna profondamente il suo rapporto col corpo, anche se in realtà non ha mai potuto essere davvero una ballerina.
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Ida sembra attraversare il tempo delle sue giornate e tutto ciò che la circonda mantenendosi sempre a una certa distanza dalle persone e dalle cose, come se le fosse impossibile far parte di quella “normalità” che costituisce la vita quotidiana di tutti noi: in definitiva, l’impressione che se ne ricava è che una specie di sottile e invisibile barriera la separi dal resto del mondo.
Di lei, però, non riusciamo a sapere nient’altro, in un libro che non ci racconta una vera e propria storia dotata di un inizio, di una trama e di un finale. Abbiamo solo un percorso di pensieri e sensazioni, in cui il lettore potrebbe e non potrebbe riconoscersi, in cui trovare o meno dei punti di contatto con le proprie esperienze personali e da cui ricavare spunti di riflessione, come da uno di quei libri da tenere sul comodino e da rileggere saltando qua e là da una pagina all’altra.
Emanuele Trevi, nella prefazione al volume, avvicina questo testo di Raffaella D’Elia alla grande tradizione saggistica che deriva da Montaigne, vale a dire a quei libri che leggiamo non tanto per conoscere l’opinione dell’autore su determinati argomenti, quanto per assistere allo svelamento della sua anima: «in Montaigne, come si sa, contano pochissimo gli argomenti trattati in questo o quel saggio. Non è quello il punto. Chi se ne frega di cosa pensasse dell’amicizia, o della geografia. Il punto è che l’anima “scrive saggi”, e Montaigne ha rivelato al mondo questa inclinazione originaria come Plutarco forse l’aveva rivelata agli uomini della tarda antichità e Platone a quelli dei tempi d’oro.»
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Questi accostamenti appaiono naturalmente un po’ troppo arditi, per non dire presuntuosi. Il libro può, in ogni caso, suscitare l’interesse dei lettori in cerca di qualcosa di insolito e di lontano dalla narrativa più tradizionale e di consumo, e che vogliano scoprire autori fuori dagli schemi. Del resto, la casa editrice Exòrma ha inserito Ritmi di veglia in una collana editoriale dal nome molto significativo, “quisiscrivemale”, dove hanno trovato uno spazio testi difficilmente inquadrabili nelle tradizionali collane di narrativa o saggistica.
Per la prima foto, copyright: Kyle Broad su Unsplash.
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