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Un libro come i monsoni. “Il rovescio della pelle” di Jeferson Tenorio

Un libro come i monsoni. “Il rovescio della pelle” di Jeferson TenorioIl rovescio della pelle. E già il titolo lascia presagire una lettura intensa poiché la prima domanda che sorge è: che cosa troveremo a guardare il rovescio della pelle? Troveremo l’essenziale, e un romanzo intenso e profondo, a tratti doloroso, che nel punto culminante commuoverà anche gli animi più resistenti.

Tradotto da Sara Cavarero per Mondadori, Il rovescio della pelle è la storia di un uomo. Anzi, no, è la storia di un figlio, di un figlio che si rivolge al padre e nel farlo trascina il lettore in un vortice emotivo e intellettuale dal quale ci si può staccare solo leggendo l’ultima parola dell’ultima pagina.

La questione è la pelle, il suo colore, che può diventare un’arma, un’intesa erotica tra due amanti – lei bianca, fantasmina, lui negretto, il suo negretto –, un’offesa, uno scherno, un modo per sentirsi buoni poiché aperti, accoglienti, se lo prendono in giro – il negretto, il suo negretto – è perché fa parte della famiglia, perché gli si vuole bene.

 

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Ma tutto questo può andare bene solo finché non diventi consapevole del fatto che il colore della tua pelle fa la differenza, negli occhi degli altri, ma anche nei tuoi comportamenti. Non correre, non avventurarti nei quartieri dei bianchi, non camminare da solo la notte, non affrettare il passo in un parco. Se sei nero e lo fai, la polizia ti fermerà, ti perquisirà, manderà alla centrale i tuoi dati. Almeno a Porto Alegre lo fa. È dura non sentire di avere un altro colore della pelle, è impossibile non sentirsi esclusi dalle attività culturali e disinteressati ai film francesi, d’autore, quei film che non puoi guardare sgranocchiando il popcorn e bevendo bibite gassate, da bianchi.

Un libro come i monsoni. “Il rovescio della pelle” di Jeferson Tenorio

C’è però una condizione anche più complicata, più soffocante, più marginale: se sei donna e sei nera, peggio ancora se la tua pelle è pure di una gradazione più scura, l’essere indesiderata si estenderà oltre i confini degli uomini bianchi. E quando qualcuno ti amerà ci sarà sempre il dubbio che tu sia una puttana, anche se eri vergine, perché quando godi, godi troppo. Chi ti ha insegnato a godere così?

Quello che impara il lettore – perché di imparare si tratta, a un certo punto – è che il colore è una «crudele invenzione orchestrata dagli europei» e fu Johann Blumenbach, un naturalista tedesco, colui che attribuì al genere umano un colore, verso la metà del XVIII secolo, dividendo gli esseri umani in bianchi, rossi, gialli, marroni e neri. Mentre appartiene ad Arthur Gobineau la paternità del razzismo, «è stato quel soggetto lì a portare il tema della razza in ambito politico […] È stato Arthur de Gobineau ad affermare che le razze erano state protagoniste della lotta per il potere e che, quindi, c’erano razze inferiori e razze superiori».

Un libro come i monsoni. “Il rovescio della pelle” di Jeferson Tenorio

Ci si trova così ad acquisire una coscienza, assieme a Henrique, il padre di questo figlio che gli scrive, che si racconta e che ce lo racconta. C’è un momento in cui i personaggi coinvolti ne Il rovescio della pelle comprendono di avere un altro colore della pelle e nell’incontro, per esempio, con la fidanzata bianca, chi sta dall’altro lato si giustifica dicendo che loro, quelli che scherzano e usano appellativi come negretto, lo fanno non perché razzisti, ma solo perché non hanno studiato quello che hai studiato tu. Cioè, Blumenbach, de Gobineau.

 

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La stessa psicanalisi – per dire – ha un colore, è bianca. Lo pensa Henrique. Lo pensi anche tu, dopo aver letto di come assieme alla moglie, Henrique tenta di salvare una relazione troppo sfibrata per poter contenere una famiglia.

Dal punto di vista stilistico, Il rovescio della pelle è come un monsone, o meglio, se il monsone fosse uno stile narrativo e non un vento, sarebbe questo, sarebbe lo stile di Jeferson Tenorio. Ti inonda, potente e indispensabile, ti scuote da ogni forma di torpore, da ogni forma di ignoranza, di scusa, di non lo sapevo come ci si sente, di non è colpa mia quello che fanno gli altri, altrove, lontano da me, da qui. In un altro tempo. Secoli fa. Io la parola con la enne manco la dico.


Per la prima foto, copyright: whoislimos su Unsplash.

Per la terza foto, la fonte è qui.

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