Un intenso profumo di genuinità. “Fratellastri” di Fabio Modugno
Quando scrivere è sinonimo di mettersi a nudo, esporsi, rannicchiarsi nei propri anfratti per sporcarsi dei sentimenti più veri che si possano provare per poi portarli in superficie, allora chi legge ha l’occasione di entrare in contatto un altro. Ne nasce un incontro in cui non soltanto si indossano i panni dell’altro, ma si sta anche nella sua pelle, ci si tormenta e ci si sporca degli stessi sentimenti dell’altro.
È questa la fragranza più pregnante quando si legge il libro di Fabio Modugno, Fratellastri: un intenso profumo di genuinità. Uscito per Mondadori, si piomba immediatamente in quello che si può solo immaginare come sentimento nello scoprire, attraverso una telefonata, di essere il figlio di un altro. Ma non uno qualsiasi. Il figlio di un «supereroe», di un mito. Fabio Camilli – ci vorranno diciotto anni perché all’anagrafe sia Fabio Modugno – è giovane, sta facendo il militare, il giorno in cui scopre di essere un altro. Ma qui le domande che sorgono sono tante e Fabio Modugno, in questo coinvolgente esercizio di condivisione, le affronta con onestà e coraggio. Perché chi si è, non riguarda solo i casi eccezionali. Semmai, attraverso l’eccezionalità si riesce a delineare meglio una risposta che riguarda tutti.
Di come sia nato il libro, di cosa significhi il concetto di vita felice, della solitudine e di molto altro abbiamo parlato con Fabio Modugno.
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Che effetto ha avuto su di lei la scrittura di questo libro e come mai ha scelto di raccontare la sua storia?
È stato catartico. Inizialmente non avevo l’intenzione di scrivere un libro.
Era il 2017 e sentivo come se si fossero accumulate troppe cose in testa, una serie di cose indelebili, che mi ritrovavo a raccontare a chi aveva la voglia di ascoltarmi. Mi venne paura di dimenticare. Poi, a causa di un tumore che mi ha bloccato a casa e che mi ha privato delle forze necessarie per fare altro, ho deciso di scrivere questi ricordi per non dimenticare.
Gaia, mia moglie, mi disse un giorno che questi miei pensieri avevano la dignità di un racconto e così l’ho fatto leggere ad altri, fino a trasformarsi in un libro.
In uno dei primi momenti, fa riferimento alla solitudine e si riferisci a essa come a «questa particolare condizione umana, che oggi vediamo solo nei film, quando si tratta di rapimenti o torture psicologiche»…
La solitudine è una condizione con cui mi misuro sin da piccolo e che non ho mai rifuggito, ma che considero molto importante. Si è persa. Un tempo, recandoti in una baita in montagna, lontano da casa, potevi sperimentare questa dimensione della solitudine. Ora è impossibile. Attraverso un cellulare e internet resti sempre collegato e in contatto con gli altri. L’assenza di solitudine, però, toglie i momenti di riflessione. La solitudine è come la pausa su uno spartito musicale.
Una nuova identità: cosa ha significato per lei scoprire di essere il figlio di un altro uomo, addirittura di un «supereroe»?
Questa scoperta ha aggiunto un elemento surreale e grottesco.
Da Romano e Maurizia ho carpito molte cose, tra cui l’ironia che mi ha sempre permesso di guardare le cose con un certo distacco. È stato questo lo sguardo che ho adottato anche in questo caso.
L’identità è andata in crisi, a un certo punto. Mi sentivo schiacciato tra due rifiuti, quello della famiglia Modugno e quello di mia madre. Ero rinnegato da entrambi.
Ho sentito con intensità l’esigenza di riaffermare l’identità. È stato un processo complesso (anche in senso proprio).
Dice: «il concetto di vita felice è esprimibile solo a posteriori…»
Una vita è fatta di tanti momenti. La felicità, dal suo canto, è fatta di piccoli momenti che risultano tali solo nel momento in cui li si ripensa, nell’atto del ricordo. Solo allora puoi comprendere se si sia trattato di felicità o no. I tentativi di appropriarsi della felicità in anticipo – che siano le droghe, l’alcol o altro – non hanno senso e sono destinati a creare solo un’illusione.
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È un dettaglio, me ne rendo conto, ma vuoi perché si sta avvicinando il Natale, vuoi perché la sottigliezza del pensiero mi ha colpita, mi è rimasto in mente il fatto che non ama festeggiare il Natale. Di più, trova paradossale l’entusiasmo degli uomini nello scandire lo scorrere inesorabile del tempo…
Non ho mai festeggiato il passare del tempo con particolare entusiasmo.
Iniziamo a sentirci vecchi nel momento in cui non si riesce più a immaginare il doppio della propria vita. Se faticavo prima a entusiasmarmi, figuriamoci dopo aver superato questa soglia.
A proposito del tempo che scorre, mi viene in mente una pubblicità della Levi’s, che non è mai arrivata in Italia. Quando l’ho vista la prima volta ho riso, anche se, pensandoci, è agghiacciante. Siamo in una clinica dove una donna sta partorendo un bambino che esce sparato dalla finestra, vola. Cresce. A fasciargli le gambe, un paio di jeans che gli si adatta, finché piomba poi nella fossa.
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