Un inno alla letteratura. “Acque strette” di Julien Gracq
Acque strette, opera di Julien Gracq pubblicata questo ottobre da l’Orma Editore, traduzione di Lorenzo Flabbi, è il racconto di un’escursione in barca sull’Evre, piccolo affluente della Loira. Di questo libro è stato detto da Francois Bon: «Una lezione di poetica, senza averne l’aria», e non credo si possa darne una definizione più corretta. Nella prosa di Julien Gracq tutto è perpetua, corposa sospensione letteraria. La lingua pagina dopo pagina, riga dopo riga, non lascia mai la presa: accompagna lo svolgersi della vicenda, che, come nella Riva delle Sirti, è minima, e, dopo tutto, secondaria.
«Per quale motivo si è preso radicata in me la sensazione che, se soltanto il viaggio – il viaggio che non prevedeva l’idea di un ritorno – è in grado di aprirci le porte e cambiarci davvero l’esistenza, un altro tipo di sortilegio, più nascosto, come originato da una bacchetta magica, si leghi invece alla passeggiata prediletta fra tutte, all’escursione senza avventure né imprevisti che dopo poche ore ci riconduce all’attracco da cui partimmo, alla cinta familiare di casa?»
A Urbino c’è una passeggiata che gira intorno alle mura della città, consiste nel tracciare un cerchio spezzato. È una passeggiata lineare, semplice, sempre uguale, eppure così profondamente radicata nella quotidianità di chi ci abita che se si ritorna a farla dopo anni di separazione e lontananza ci si scopre capaci di ricordare esattamente ogni pensiero, inganno, desiderio provato negli anni in cui si era soliti farla ogni giorno. Il passato improvvisamente viene riconquistato. E se nella Recerche Proust scrive «Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza essere astratti, perché subito l'essenza permanente, e solitamente nascosta, delle cose sia liberata, e il nostro vero io che, talvolta da molto tempo, sembrava morto, anche se non lo era ancora del tutto, si svegli, si animi ricevendo il celeste nutrimento che gli è così recato», Julien Gracq in questo racconto rievoca tale suggestione e ce ne mostra pazientemente le tappe. L’Io, sembra volerci dire l’autore, esiste perché ha una memoria, e la memoria ha una continuità perché è intrinsecamente legata a luoghi che non smettono di esistere.
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La descrizione che viene fatta del corso del fiume e di ciò che lo circonda è nitida, e segue l’andare della barca minuto per minuto. L’autore dipinge Notre Dame du Marillais, il Castello della Guérinière, la Fattoria la Jolivière e tutto ciò che i suoi occhi incontrano, ed il lettore ruoterà il capo per provare a scorgerli lui stesso. Essendo la descrizione tanto minuziosa quanto intrisa di soggettività al lettore potrà sembrare di star contemplando un quadro di Camille Pisarro, dimenticandosi della carta e del libro.
«Ogni immagine s’imprimeva sulla vergine ceralacca dell’infanzia, al contempo come l’elemento puro di una lega metallica e come una matrice di riferimento.»
Ogni stazione di questo percorso rievoca in Gracq qualcosa di letterario. La vista del Castello della Guérinière fa riecheggiare nella mente alcuni versi di Nerval, da cui ecco affiorare la poesia di Rimbaud, Balzac, Poe, Valéry. Tutto per l’autore è letteratura. La sua opera trasuda da ogni riga quest’amore infinito.
«È questa la virtù dell'unico, vero, ritrovato contatto con ciò che un tempo mi ha in qualche maniera avvinto, rapito: rianimare, risvegliare e congiungere attraverso un percorso di fulmine tutto ciò che ho mai amato.»
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L’opera arriva anche a enunciare idee programmatiche e articolate nella forma del trattato filosofico, soprattutto in merito alla poesia, che di questo libro è tema e sostanza costituente.
È un libro da leggere in silenzio, con attenzione e cieca fiducia, senza cercare niente.
In un’epoca in cui tutto sottostà alla ferrea legge del mercato e in cui nessun grande marchio editoriale è più garanzia assoluta di qualità credo sia necessario ringraziare l’Orma Editore per il coraggio e l’intelligenza.
Per la prima foto, copyright: Florencia Viadana.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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