“Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria” di Tiziano Terzani
Non si esce indenni dalla lettura di Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria, le ultime e toccanti pagine ancora inedite scritte da Tiziano Terzani. Questo libro ha il potere di minare le certezze più granitiche, di insinuare dubbi, di relativizzare i nostri costrutti teorici, di offrirci inattese modalità di vedere e sentire. Se siete sensibili e ricettivi non potrete che migliorare il vostro “essere nel mondo” e questo libro vi accompagnerà, non ho dubbi, per lungo tempo.
Longanesi pubblica, a dieci anni dalla scomparsa, i diari del celebre giornalista, globetrotter e scrittore. Gli scritti disponibili erano davvero tanti: taccuini stipati in bauli provenienti dalla Cina, dalla Russia e dall’India; file in rete e, ancora, tanti floppy disc (era il primo giornalista, in Cina, a servirsi di un computer) per qualcosa come 3500 e più pagine sulle quali hanno messo amorevole cura Àlen Loreti e la famiglia Terzani, in particolare la moglie Angela Staude. La selezione delle centinaia di pagine editate è stata lunga e rigorosa. «Io non credo che lui volesse tenere segreto tutto questo materiale: non lo avrebbe lasciato lì ordinato, numerato, ben esposto nel suo studio», scrive la compagna di una vita nell’introduzione. Lo ricorda negli ultimi mesi, alzarsi nel cuore della notte per eliminare dai suoi portatili tutto quel che voleva scomparisse con lui. «[…] è come se Tiziano stesso balzasse fuori da quelle righe. È come risentire il timbro caldo della sua voce, quel suo vivacissimo parlare, a volte provocatorio ed esuberante, altre nervoso e turbato da pensieri oscuri».
Un’idea di destino prende l’abbrivio col 1981, all’indomani della vittoria dei comunisti sugli americani in Vietnam. Nel gennaio del 1980 Terzani aveva coronato il sogno di una vita: aveva aperto una redazione di «Der Spiegel» a Pechino. Conosceva il cinese e amava la cultura millenaria della Cina; si era fatto accreditare come corrispondente, per testimoniare di un modello alternativo al sistema capitalista ma rappresenta, senza mezzi termini, una Cina povera, affamata e disgregata dalla rivoluzione culturale maoista. Un’economia al collasso, un patrimonio di grandi tradizioni polverizzato e i dissidenti spediti nei killing fields. Al Pcc non piace la sua libertà e onestà intellettuale; prima lo spiano e nel marzo del 1984 lo arrestano per “crimini controrivoluzionari”. Dopo un mese di riabilitazione e l’intervento del presidente Sandro Pertini, Terzani viene espulso dal Paese senza possibilità di tornare. È davvero un duro colpo per lui.
In seguito è a Tokyo, la parentesi più cupa del suo percorso professionale; è vittima di una profonda depressione, a seguito dei fatti cinesi ma anche dell’inquietante ed esasperata evoluzione consumistica della società giapponese. «[…] dobbiamo trovare un modo, qualunque esso sia, di difendere il nostro modo di vivere, dobbiamo difenderci dalla giapponesità e dobbiamo difendere i nostri week end, dobbiamo lasciare che la gente vada a sciare, che scii anzi di più, che la domenica dipinga, che faccia cattedrali, che scriva poesie. Dobbiamo insegnare loro che possono vivere senza i frullatori giapponesi, senza troppa tv».
Sono i decenni del naufragio delle grandi ideologie e il trionfo del capitalismo, dell’organizzazione sistematica del nuovo mondo “globalizzato” e Tiziano Terzani è sempre in prima linea, “testimone dell’universale”: i grandi viaggi a Bangkok, poi Mosca da raggiungere a ogni mezzo, dopo il golpe contro Gorbačëv, per assistere allo schianto definitivo dell’URSS e del Comunismo. Ne ricava gioielli come Buonanotte, signor Lenin!, poi Asia, dove descrive il continente trasformato dalla globalizzazione e cerca ulteriori motivazioni per andare avanti, fino a Un indovino mi disse, pubblicato nel 1995, dove racconta di una vecchia profezia – alla quale decise di dare credito – che lo metteva in guardia dal prendere un aereo per tutto il 1993. Ma questa è solo una faccia della medaglia. È quando Terzani si volge al “particolare” e ci svela il suo sentire più intimo, le sue gioie e preoccupazioni di padre e di marito, che restituisce e rappresenta alcuni dei motivi più fondanti e (di ritorno) “universali” che ogni essere umano che intenda compiere un personale cammino di evoluzione, materiale e spirituale, non smette mai di porsi o esplorare: «Chi sono?», «Dove sto andando?» e «Qual è il mio posto nel mondo?».
Abbiamo seguito, fin qui, il Terzani che conosciamo: il suo sguardo lucido e disincantato, la prosa affilata, la sua ironia e distacco quando descrive gli usi, i costumi, i mutamenti politici e culturali delle società con le quali entra in contatto. Si fa strada, ora, una voce tesa e vibrante, un io talvolta scisso, conflittuale e ctonio, che esplora con coraggio i suoi angoli in ombra e cerca di dare forma ai suoi fantasmi interiori, primo fra tutti il demone della depressione, la «belva oscura» che non smette di tiranneggiarlo. Coglie perfettamente nel segno Angela Terzani Staude quando chiosa: «[…] mi pare bello oggi poter ascoltare nei diari anche quest’altra sua voce, quella adirata, dubbiosa, sofferente, che faceva da contrappunto alla voce forte e convinta con cui si presentava al mondo. È come scoprire le radici affondate nella terra buia di un albero che svetta nel cielo».
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Anche l’idea di tenere un diario, come per il monito al figlio Folco, quando lo sprona (nelle sue lettere) a trattenere in parte, con la scrittura, i momenti più importanti della vita che sta conducendo, è per Terzani una modalità di far sedimentare l’esperienza fuggente delle sue giornate. Compie 55 anni nel 1993 e si propone di «[…] TENERE FEDELMENTE, CON SISTEMA, UN DIARIO degli anni che mi restano, come una cassaforte di cose che altrimenti la corrente della vita si porta. Ce la farò? DEBBO FARCELA. È certo un modo per vivere due volte il tempo che resta».
Dopo la pensione anticipata dallo «Spiegel» nel 1996, nella primavera dell’anno successivo gli viene diagnosticato un cancro allo stomaco. Da lì inizia un suo lungo viaggio per trovare delle risposte alla malattia, e forse a tutta la sua vita. Una permanenza a New York, poi un centro “alternativo” in California. Ancora l’India, il tentativo di coniugare la medicina tradizionale (l’Occidente) con le medicine “altre” (l’Oriente): medicina tibetana, cinese, ayurveda, ki gong, reiki, yoga e pranoterapia. Ma rimane sempre un toscano, Terzani, e il “dubbio” che ha nei geni gli impedisce un’adesione acritica. La malattia diventa una sorta di “opportunità”, quella di scrollarsi di dosso una professione che lo induceva a correre per “rimanere sul pezzo” e occuparsi, finalmente, di sé e della sua aspirazione a una vita più ascetica; e ancora il sottrarsi ai riti di una mondanità che pur lo attraeva, o alle logiche commerciali dei concorsi letterari.
In questo periodo cruciale c’è in Terzani il bisogno di isolarsi; anche dalla famiglia, per la quale sente di essere diventato un peso. Angela è sempre un riferimento inalienabile, l’asse attorno al quale ruota la sua vita affettiva, ma la sua volontà è quella di sperimentare un’ideale “separazione”: si sente malato e il mondo della malattia non gli appare comprensibile da chi è sano. Il filo è, però, sempre rinsaldato dalla scrittura. I diari traboccano di momenti di gioia in cui, nel suo ritiro, Tiziano riceve le mail della moglie, se le stampa e ne centellina la lettura, assaporandole con trepidazione, immerso nella natura, in posti che gli infondano pace e serenità d’animo. Le sue riflessioni sono talvolta brevi, quasi degli haiku; a volte sono articolati e appassionati monologhi interiori, colmi di sfoghi: «Perché si deve sempre godere della vita con gli alti e bassi? Perché solo nel contrasto si deve trovare la felicità?»; a volte sono il racconto di sogni curiosi e rivelatori, talvolta lettere illuminanti, aneddoti che celano misteri o significati reconditi.
Sono queste, forse, le pagine più belle di Un’idea di destino; c’è, in questo sforzo di trattenere la vita, la piena consapevolezza che valga sempre la pena di assaporarla fino in fondo, continuando a domandarsi e cercare. Non è un caso che, nella solitudine dei boschi in Himalaya, nell’ultima parte della sua vita, Terzani abbia incontrato il suo principale interlocutore, il guru Vivek Datta. La sfida è quella che chiude Un indovino mi disse: «Dopo tutto, uno è sempre curioso di conoscere il proprio destino». La visione è, però, squisitamente laica, di una forza e di un coraggio senza pari, e qui riaffiora il toscano che si prepara a “lasciare il suo corpo” nella valle dell’Orsigna: «[…] che non c’è una scorciatoia a nulla e che l’unica soluzione è quella conosciuta e che l’ultima risorsa siamo noi, una volta messa da parte la speranza di una soluzione altrove». Nulla è ancora scritto e Un’idea di destino. Diari di una vita straordinaria è proprio questo: affrontare la transitorietà dell’esistenza e l’inevitabile come ha fatto Tiziano Terzani, che di sé diceva umilmente: «Non sono un intellettuale, sono solo un aspirapolvere: giro per il mondo raccogliendo storie».
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