Ue, sessant’anni e sentirli tutti
Qual è l’Ue che vogliamo, se la vogliamo? E cosa significa oggi Europa, in un mondo che si avvia a erigere sempre più muri, barriere, ostacoli contro la libera circolazione delle persone? A Roma si sono festeggiati i sessant’anni di un’idea di Europa che non esiste più, smentita nella pratica dai nuovi Stati aderenti e da un vecchio modo di intendere il continente: un campo di battaglia per interessi particolari.
In fondo l’Ue nasce per non ripetere più gli errori del passato, quando i particolarismi hanno affossato la democrazia. L’Ue nasce come mercato comune, come interesse comune, ma con un orientamento egemonizzato da alcuni Paesi non sempre all’altezza del compito, come l’Italia e la Germania. In questo scenario, la rinascita dei populismi, esito politico di un impoverimento culturale di cui sono responsabili proprio i governi europei più forti, è la tendenza più vigorosa in atto. Una tendenza che vuole abbattere i sentimenti unitari e ridare fiato alla rugosa politica dei nazionalismi, che tanto male ha fatto all’Europa del primo Novecento. Tuttavia la via d’uscita non ci sembra quella tracciata dal nuovo trattato siglato sabato scorso a Roma.
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Non è con la retorica unitaria che si pratica l’antipopulismo, ma con la ricerca di una ricetta complessa, adatta alla complessità democratica europea. Per esempio innalzando il numero delle giovani persone da accogliere in Europa, perché siamo un continente vecchio e costoso. Servono giovani, il mondo ce ne offre, perché cacciarli? Serve sangue fresco, ambizioso, da inglobare nelle nostre democrazie. Sessant’ani fa non ne avevamo bisogno, perché usciti dalla guerra ci siamo messi a fare figli, a fare economia e società.
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Adesso che abbiamo smesso, dobbiamo importare e fare nostri i desideri altrui, addomesticandoli con la democrazia, con la pratica dei valori e della laicità. Questo è un argomento valido per erodere alle fondamenta qualunque credo nazionalistico che a lungo andare porterebbe l’Ue ad autodistruggersi.
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La scelta di ringiovanire l’Europa è il primo passo per tenerla in vita e per darle un futuro. Ed è una scelta etica, che segnala anche una differenza rispetto al passato, all’esclusione operata dalle democrazie europee e che ha portato ai recenti fenomeni di radicalizzazione fondamentalista. Dunque, un’Europa accogliente è la risposta. Un’Europa coerente con il suo mandato: essere un seme di pace, di civismo, di apertura e di libertà. Per arrivare ai settant’anni dimostrandone diciotto è necessario fare il lifting dell’apertura dei confini e della concessione dei diritti e delle cittadinanze. Questa l’Ue che ce la può fare.
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