Tutto quello che c’è nell’oscurità. “Storia del buio” di Nina Edwards
Il buio come fonte viva e luminosa per la nostra immaginazione. Potrebbe sembrare un controsenso ma è la teoria molto più concreta e reale di quel che può apparire, di cui si fa interprete la saggista inglese Nina Edwards nel suo libro Storia del buio (tradotto da Andrea Ricci; titolo originale Darkness. A Cultural History), uscito il 9 maggio per il Saggiatore, casa editrice attenta alla tematica e con la quale abbiamo visto proprio di recente – tramite un’altra opera alquanto indicativa – i limiti e le contraddizioni dell’individuo di fronte alle dicotomie della vita, rintracciandone il modello nella “tragedia” espressa dalla letteratura e dal teatro.
Stavolta parliamo di un affresco che scruta fra gli interstizi delle tenebre partendo dalle origini, e trova negli opposti che si attraggono il suo centro di gravità, realizzando l’intento (peraltro dichiarato) di sfatare un vecchio mito: non per forza il nero o le ombre sono sinonimo di lugubre o di ripiegamento su se stessi, così non è detto che qualcosa di chiaro sia indice di pace o limpidezza. Il buio completo è l’antitesi della visione ma uno non esiste senza l’altra.
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Per giunta, il bel total black della copertina (in netto contrasto con la tipica serie bianca di solito pubblicata dall’editore) e le numerose immagini in bianco e nero, fanno da cornice all’obiettivo.
Le sfaccettature sono varie perché il valore attribuito al buio non è stato lo stesso nelle civiltà che si sono succedute e nelle popolazioni. C’è chi lo riconduceva al nulla, chi al caos totale, i quali sono, di evidenza, concetti difformi. Nel mondo classico l’oscurità era vista come uno stato percepibile di visione interna nonostante la luce fosse considerata principio basilare di vita.
Cosa c’era prima che esistesse l’universo? Uno sconfinato oceano privo di suoni e di significato? L’assenza di tutto quello che conosciamo sembra evocare l’oscurità, come fosse un qualcosa fatto di niente. Eppure da questo niente è nato tutto.
Nel libro della Genesi è dall’oscurità che trae origine il mondo. Nonostante questa venga spesso interpretata come un’assenza, in questo caso è «una poderosa forza creatrice». Leggiamo infatti:
«In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo».
L’immagine dell’acqua che trasporta la vita suggerisce un parallelismo con la procreazione: quando nasciamo veniamo alla luce, ma siamo stati per un periodo di tempo, deciso da madre-natura, nella tranquilla oscurità. Il buio quindi grembo materno, elemento femminile.
Nel Nuovo Testamento invece – evidenzia l’autrice – è la luce a essere in primo piano; dice infatti Gesù: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre».
L’indagine in questione verte inoltre sullearti figurative e non, attraversando le scienze sociali e umanistiche. La narrativa e la poesia in primis hanno talmente tanti volti e risvolti in proposito da risultare quasi in debito nei confronti del crepuscolo e dei suoi elementi. Non pensiamo solo ai “generi” in quanto tali, come il gotico o il noir, piuttosto agli autori e alle autrici che in proposito hanno lasciato un segno indelebile. Dante in apertura di Commedia ci colloca subito nella “Selva oscura”, allegoria del peccato in cui ciascun uomo può perdersi.Ancora,la giungla nella quale approda Marlow, il protagonista diCuore di tenebra di Conrad, metafora di scoperta della nostra mente e del nostro inconscio.
L’umorismo nero, se ci pensiamo un attimo, permette di capire una determinata espressività letteraria e chi non la comprende passa per ingenuo o ignorante; si pensi allo spleen di Baudelaire. Mary Shelley quando scrisse Frankenstein lo fece in un momento, alimentato dalle scoperte del galvanismo, in cui il pubblico era abituato ai dettagli orribili e se n’era affezionato fino ad amarli. E poi molte delle opere di Shakespeare, sui quali nel testo si indugia parecchio. Del resto, chi meglio di lui ha saputo esprimere le passioni umane, le follie, i sentimenti, le voci, tramite le antinomie e le sfumature di luci e ombre, reali e metaforiche?
Meritano qui un cenno le scienze occulte con un dato piuttosto interessante che troviamo spiegato in Storia del buio: alla fine del XIX secolo sono state inserite nel novero delle attività ricreative dal sociologo Thorstein Veblen che sottolineava come erano le classi agiate quelle che più credevano al soprannaturale. Durante il regime nazista si era sviluppato grande interesse per le dottrine precristiane che celebravano la magia nera. Da notare che Hitler e i suoi collaboratori erano ossessionati da una fede con connotazione semireligiosa e semidivina per la razza ariana, e ritenevano che il loro potere, derivato da questa tipologia di credenze, giustificasse lo sterminio degli esseri umani considerati inferiori, unito al sogno del dominio mondiale tedesco sugli altri.
Un peso notevole lungo il corso degli eventi e nel presente discorso lo hanno senz’altro avuto l’Illuminismo e la Rivoluzione industriale che hanno cambiato la percezione dell’oscurità in Occidente, pur se non tutti, si fa notare, vedevano la scoperta della luce elettrica come sinonimo di positività e ottimismo, in quanto rimase in molti un senso di perdita del piacere del buio. Ode a un usignolo,composta da John Keats nel 1819 viene portata a esempio di un certo sentire dell’epoca: i continui riferimenti al buio della campagna contrapposti al mondo nuovo e illuminato. Il canto del piccolo e dolce volatile, dunque, simbolo di una «pacifica oscurità» che si stava perdendo.
Da non dimenticare infine la pittura, che occupa una parte significativa del libro. La tecnica dello sfumato diventa, ed è tuttora, preziosa alleata degli artisti. Acquisisce notorietà grazie a Leonardo da Vinci che la realizza per primo. I contrasti tra il chiaro e lo scuro davano l’illusione di forma e di spazio, oltre che di un’intima umanità. Sarà un metodo utilizzato da altri grandi come Velázquez, Rembrandt, Goya e Caravaggio. Quest’ultimo dipinse il suo studio di nero e lasciava che una sola fonte apportasse una luce minima per creare sui quadri un impatto scenico, di teatrale violenza. Se ne deduce che aveva bisogno di un ambiente costruito da lui per ottenere gli effetti che voleva e questo porta alla ribalta un ulteriore coefficiente, niente affatto scontato: la differenza tra naturale e artificiale con quello che si è portata dietro, soprattutto se pensiamo all’influenza che avrà sulla fotografia e sul cinema.
Innumerevoli i richiami, le suggestioni, le curiosità. Tanto è vero che possono tornare utili a coloro che per studio o la redazione di una tesi devono svolgere una ricerca sulla materia, grazie a un cospicuo elenco di note e a una comunque sempre utile bibliografia.
Storia del buio è un grande saggio evocativo e la potenza delle immagini inserite contribuisce a rendere il contenuto più vivido, oltre che esteticamente più elegante. Una di queste in particolare colpisce e induce a una più attenta riflessione: la foto di un componente del Ku Klux Klan, ovvero quanto di meno angelico possa esserci, ritratto con la tipica divisa bianca.
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Per concludere, è cosa nota che la cupezza della notte incuta timore, minaccia e ottenebra i sensi; ci sentiamo più vulnerabili, disorientati, e se chiediamo a un bambino di cosa ha più paura, con tutta probabilità ci sentiremo rispondere: il buio. Ma è altresì silenzio, riposo, momento per sognare, fase di riflessione di ciò che si è fatto nelle ore appena trascorse e di ciò che si farà, fonte di rigenerazione per il corpo e lo spirito. Nina Edwards cita Hegel il quale, dicendo «la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo», suggerisce che la comprensione sta a metà strada tra l’esperienza e la riflessione. L’operazione da lei svolta in fondo è anche questo: indagare nei chiaroscuri dei secoli addietro per trovare un equilibro tra due poli, quanto mai necessario all’oggi.
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