“Tutto il nostro sangue”, storia di una grande famiglia americana
Tutto ebbe inizio nel 1855, in una bella casa coloniale in una piantagione di tabacco. E per “tutto” si intende proprio tutto ciò che ha a che vedere con Tutto il nostro sangue, il nuovo libro di Sara Taylor uscito il 15 settembre per i tipi di Minimum Fax nella traduzione di N. Manuppelli.
Ci troviamo sull’arcipelago delle isole Shore, al largo delle coste della Virginia, e raramente il nostro occhio di lettori si spingerà oltre l’Oceano. Nelle poche occasioni che lo farà comunque raggiungerà appena l’entroterra e ciò che vedrà gli farà desiderare di tornare al sicuro sull’isola… o forse no.
Paradiso terrestre disseminato di gusci d’ostrica e pregno del profumo nauseante emesso dagli stabilimenti in cui si produce carne di pollo, le Shore sono un terreno fertile per i contadini e una riserva naturale di piccoli crostacei, e se sei nata nel 1800 è anche il luogo perfetto in cui ricominciare dopo che il Continente ti ha tolto ogni illusione. E se per Medora – mezzosangue nata dalla passione di un proprietario terriero per un’indiana alle sue dipendenze – le Shore segnano l’inizio di una vita lontana da un padre tiranno e da un passato di privazioni, per tutta la sua doppia discendenza saranno l’unico luogo possibile in cui vivere, e in alcuni casi sopravvivere.
Anno dopo anno, matrimonio dopo matrimonio, le Shore si popolano di personaggi dalla vita tormentata e dal passato inquieto come se una maledizione pesasse sulle spalle della famiglia Day dal giorno in cui Andrew cercò invano di uccidere Medora. Noi li incontriamo un po’ alla volta, questi personaggi senza futuro, come se ci trovassimo davanti a un mucchio disordinato di vecchie foto di famiglia la cui storia ci viene raccontata, scatto dopo scatto, dall’ultimo discendente sopravvissuto. Così incontriamo la figlia di Ellie, Chloe, quando ha appena dodici anni e con una calibro 22 si allena al tiro al bersaglio con una scatola di fazzoletti dimenticata in cortile. Ellie Fitzgerald invece la incontriamo solo parecchie pagine dopo, quando ancora la sua giovane età le fa pensare di avere un futuro, è nubile e lavora, sola in mezzo a un branco di uomini, nella ditta di costruzioni di Chick. Bo, di cui diventerà la moglie – suo malgrado –, lo conosciamo invece per vie traverse seguendo le storie della sorella e del fratello maggiore, Mo e Benny, ma questo avverrà solo dopo aver conosciuto nonno Tom e i suoi nipoti, discendenti dell’altro ramo della famiglia. E questi sono solo gli ultimi personaggi che punteggiano una galassia in cui si vede ancora la luce di molte stelle ormai estinte.
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Ritratto dopo ritratto, come tessere di un puzzle, facciamo la conoscenza di una grande famiglia americana le cui origini risalgono al tempo in cui uomini e donne erano soggiogati da catene spesse e materiali e la cui storia segue le vie tortuose di piccoli nuclei familiari violenti e disgregati su un’isola afosa e puzzolente al largo delle coste della Virginia. Tutto il nostro sangue è un labirinto di quadretti, un dedalo di ritratti a matita che si snoda a partire da Medora, nata nel 1800, fino all’ultimo discendente mutante che ancora abita sulle isole Shore nel 2143. Tanti sono i temi toccati dall’autrice che riesce con puntuale chiarezza a tratteggiare ciò che accade dietro le tende appena scostate; che si tratti di ville coloniali o camper, case sfitte o rifugi di fortuna Sara Taylor restituisce al lettore vivide sfumature di quotidianità violente e brutali che si susseguono sui pochi ettari di una terra isolata e priva di qualsiasi attrattiva. Non c’è pietà in ciò che la Taylor racconta, non c’è redenzione per gli stupratori così come non c’è pace per le vittime: la vita fa schifo e nello schifo devi imparare ad arrangiarti come meglio puoi. Nessuna giustificazione viene fornita per le molte violenze improvvise e gratuite che punteggiano il libro, sono parte del gioco come la famiglia e l’Isola, prima lo capisci prima riesci a digerirle.
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Sara Taylor affresca un intero albero genealogico in Tutto il nostro sangue con una scrittura ipnotica e potente che è stata paragonata a quella di Flannery O’Connor e vale la pena seguirne le ramificazioni dall’inizio alla fine.
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