“Tutti i figli di Dio danzano” di Haruki Murakami
Tutti i figli di Dio danzano è una raccolta di racconti di Haruki Murakami, pubblicata nel 2000 da Einaudi, nella traduzione di Giorgio Amitrano. Gli appassionati di Murakami spesso si dividono in due categorie: alcuni apprezzano di più i romanzi, altri gradiscono maggiormente i racconti. Se con le narrazioni più lunghe Murakami riesce ad attrarre un buon numero di consensi, con i racconti lascia ai lettori il gustoso sapore del suo talento. In entrambi i casi, Murakami è in grado di mantenere un certo equilibrio stilistico, che lo porta a ripercorrere più e più volte dei sentieri già battuti, ma mai scontati, attraverso un fil rouge che si snoda tra i suoi personaggi.
Murakami non scrive dei semplici racconti, ma romanzi bonsai, del tutto completi e articolati nella loro essenzialità. Questa, tutto sommato, dovrebbe essere la caratteristica fondante di ogni racconto breve, eppure sono in molti a vedere nella sintesi un limite da aggirare, magari attraverso la suspense. Murakami non ha mai bisogno di giocare con il fattore del colpo di scena, perché riesce comunque in poche pagine a delineare un universo autonomo in se stesso.
Tutti i figli di Dio danzano è un esempio perfetto di questa sua grande capacità. Sei splendidi racconti brevi (di massimo una ventina di pagine ciascuno) sbocciano sullo sfondo comune dello sconvolgente terremoto di Kōbe del 1995, che viene riutilizzato in modo eterogeneo nelle varie narrazioni, in veste di vago ricordo televisivo, di incubo indimenticabile o di motivo di fuga. Lo stile di Murakami è lampante, spronato ancora di più nelle sue peculiarità dalla brevità dei racconti. La narrazione è distaccata, asettica, onirica e lineare in ogni suo punto e rispecchia delicatamente la vera essenza dei personaggi e delle vicende che Murakami ama proporre.
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I protagonisti sono uomini e donne ai limiti della banalità e del qualunquismo, con vite alienate, solitarie e prive di un effettivo movimento. Murakami forgia quasi tutte le sue creature avvolte in un sostanziale vuoto di senso, limitate in un’immensa lentezza abitudinaria. Komura, il protagonista del primo racconto, viene abbandonato dalla moglie perché è una bolla d’aria. Junko è scappata di casa, fuggendo da un’esistenza mediocre a un’altra, e passa malinconicamente le sue serate con Miyake, un pittore terrorizzato dai frigoriferi e amante dei falò in spiaggia. Yoshiya, il giovane protagonista del racconto che dà il titolo alla raccolta, è un alienato che cerca di distaccarsi da una vita oppressa, statica e incompleta, cresciuto dalla madre nella convinzione di essere il figlio di Dio.
Molto interessante risulta la rappresentazione del rapporto amoroso e del binomio maschile-femminile che traspare in ogni racconto. È come un doloroso leitmotiv che accompagna il lettore in un’analisi generale degli amori che Murakami crea: incompleti, sospesi e agrodolci. Forse, anche grazie a una sostanziale incompatibilità di base che rompe sul nascere ogni possibile incontro tra il maschile e il femminile. È impossibile non notare come Murakami trasformi l’amore in una lotta vana ed estenuante, che sprofonda i già complessati personaggi ancora di più nel caos.
I protagonisti di Murakami, in questa raccolta in modo esemplare, conducono delle vite intrappolate e opache, inconsistenti, ma è proprio da questi vuoti immensi che sorgono delle vie d’uscita dalla passività, anche secondarie, meno evidenti e non necessariamente a lieto fine. Tutti i figli di Dio danzano è fortemente consigliato ai lettori di Murakami che già hanno avuto modo di sperimentare e di assimilare il suo stile tipicamente giapponese, così lontano da ogni retorica e dai surplus di parole.
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